Kong: Skull Island, Animali giurassici e dove trovarli

Dodici anni dopo il kolossal di Peter Jackson, una delle icone cinematografiche più antiche di sempre torna al cinema con un reboot visivamente curato, dove l'approfondimento dei personaggi latita e la scrittura zoppica. Tutto in favore di una messa in scena spettacolare, dedicata all'enorme gorilla che regna sovrano, senza un vero avversario.

Kong: Skull Island - Una foto del film
Kong: Skull Island - Una foto del film

Da qualche parte nel Sud Pacifico c'è un mistero avvolto da un temporale perenne. Un denso concentrato di nubi oscure e lampi che celano una terra sperduta, un'isola a forma di teschio inesplorata, misteriosa, e per questo affascinante. Un luogo ghiotto di navi, aerei ed esploratori, tutti scomparsi nelle sue vicinanze, un luogo che nel tempo, tra terrore e curiosità, ha alimentato il suo stesso mito. E quando parliamo di mito, emerge subito il ricordo di uomini capaci di spingersi oltre i limiti, di raccogliere sfide impossibili pur di dare voce alle proprie ambizioni. Così, come tanti Ulisse e tanti Icaro con pale di elicottero al posto di remi e ali di cera, alcuni esploratori americani, divisi tra soldati e scienziati, decidono di esplorare l'Isola dei Teschi.

Kong
Kong

Una compagnia di avventurieri eterogenea, in cui ognuno parte con le sue motivazioni, più o meno sincere, più o meno credibili: il cacciatore Conrad (Tom Hiddleston) presta le sue abilità, la fotografa Weaver (Brie Larson) si imbarca alla ricerca di straordinarie meraviglie, mentre l'ufficiale Packard (un rancoroso Samuel L. Jackson) riversa nella missione tutta la frustrazione di un guerrafondaio reduce dal Vietnam. Una volta atterrati nella terra selvaggia, la sbeffeggiante boria umana verrà ridicolizzata da una natura antica e irrefrenabile. E all'uomo non resta che inchinarsi dinanzi al ritorno di un mito grande, enorme come lo schermo del cinema.

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Il rito del mito

Kong: Skull Island, Brie Larson e Tom Hiddleston in una scena del film
Kong: Skull Island, Brie Larson e Tom Hiddleston in una scena del film

Abbiamo parlato del dove, ma c'è un elemento di Kong: Skull Island che forse è persino più importante del luogo che porta nel titolo: il quando. In questo avventuroso reboot diretto con mano divertita da Jordan Vogt-Roberts, e seconda tappa di un ormai dichiarato MonsterVerse (universo narrativo che lo congiunge con Godzilla), emerge subito la volontà di staccarsi sia dal primo King Kong che dalla rivisitazione di Peter Jackson, entrambi ambientati negli anni Trenta, accomunati dal grande sogno del cinema e dalle selvagge ritorsioni del sommo King Kong tra i grattacieli di New York. Questa volta, invece, si fugge subito dalla civiltà per non farvi più ritorno, e soprattutto siamo nel 1973, un'epoca che il film rievoca nell'estetica, nei suoni e nella mentalità. È l'America delusa dal Vietnam, che si lecca le ferite e per questo ha ancora sete di sangue, ha ancora bisogno di un nemico. E se lo va a cercare, lo istiga, lo brama e lo rincorre anche quando è impossibile vincere anche una sola battaglia di una stupida guerra.

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Kong: Skull Island, una scena del film
Kong: Skull Island, una scena del film

Sull'Isola dei Teschi avviene così uno scontro totale già visto e rivisto, quello dell'individuo contro l'animale, del solito uomo usurpatore contro una Natura indomabile, per poi trovare un punto di contatto: la necessità del mito. Se sull'isola conosciamo una comunità indigena e primitiva che alimenta antiche leggende fondanti per la loro società, anche gli americani si fanno portatori dei loro simboli, di qualcosa in cui credere, dei propri miti (e di qualche mitomane). C'è chi crede nella guerra, chi nella famiglia, chi tiene un'action figure di Nixon nel proprio elicottero, e chi si fa sostenere dalla musica. Senza toccare le vette di Guardiani della Galassia, ma nemmeno arrivando al forzato "effetto jukebox" di Suicide Squad, Kong: Skull Island è sostenuto da una colonna sonora piena di celebri hit, che fa del rock americano un fedele alleato per il rimo e una preziosa fonte di ispirazione per alcuni personaggi. L'America dei miti contro il proprio stesso mito. Una strana scelta, perché dopo 84 anni siamo ancora qui, ad aver bisogno di un altro King Kong.

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Se questo è un uomo

Kong: Skull Island - La foto del mostro
Kong: Skull Island - La foto del mostro

Oltre al suono, ovviamente, ci sono le immagini impregnate di citazioni, alcune rievocano gli scontri giurassici visti nel King Kong jacksoniano (mascelle spaccate, infinite risse tra creature), altre rimandano ancora una volta alla mitologia cinematografica made in USA, con Apocalypse Now a farla da padrone, tra tramonti evocativi su cui si stagliano enormi ombre, elicotteri, elmetti personalizzati, e un protagonista di nome Conrad, proprio come lo scrittore di Cuore di tenebra (a cui si ispirò Francis Ford Coppola). Al di là di queste rievocazioni, la domanda da porsi dinanzi a questo film è la stessa dei suoi personaggi: "Che cosa stai cercando qui?". Se cercate lo spettacolo trascinante e feroce, siete nel posto giusto. Qui Kong è più maestoso, più umano (nelle movenze e nell'espressività ricorda molto quanto visto in Apes Revolution - Il pianeta delle scimmie), persino più indomabile delle altre volte, assoluto sovrano di un film roboante quando in scena ci sono le sue meraviglie in computer grafica. Forte di un bestiario vario e ispirato, Kong: Skull Island dà il meglio di sé quando in scena vediamo le sue creature, tre duelli ben coreografati e scontri abbastanza cruenti.

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Kong: Skull Island, Samuel L. Jackson in una scena del film
Kong: Skull Island, Samuel L. Jackson in una scena del film

Se, invece, cercate emozioni indelebili, vissute da personaggi tridimensionali, fuggite, perché per voi qui non c'è nulla. Vogt-Roberts fa una scelta precisa, ovvero far prevalere l'artificio computerizzato sulla componente umana, e i suoi attori ne escono con le ossa rotte. Samuel L. Jackson non sopravvive al suo stereotipo, Tom Hiddleston, vestito come Nathan Drake, non ha alcuno spessore e fatica nei panni di un duro senza un vissuto e senza un credo, Brie Larsson si aggira con occhi spalancati alla ricerca del sublime, ma serve soltanto a ribadire il forzato concetto "girl power" ormai tanto caro al blockbuster americano. Gli unici a sopravvivere nelle simpatie dello spettatore sono alcuni ironici comprimari, perché in questo film, come su questa isola, non c'è posto per l'uomo, visto solo come un inutile impiccio. Per una volta, dinanzi all'enorme Kong, i personaggi non si accorgono solo di essere piccoli. Perché sono soprattutto vuoti.

Movieplayer.it

3.0/5