Nonostante l'origine televisiva, sarebbe errato considerare Penance un'opera minore nella carriera di un maestro come Kiyoshi Kurosawa. Pur con un ritmo più sostenuto ed un occhio più attento al pubblico (nella fattispecie quello del piccolo schermo) rispetto ai film che hanno dato notorietà al regista nipponico, questa riduzione per il grande schermo dell'omonima serie televisiva contiene molti dei temi preferiti da Kurosawa, e riesce a mantenere un'ottima tensione nonostante la durata comunque notevole (quattro ore e mezza sulle cinque originarie). Del film, proiettato fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, della sua genesi e dei suoi stessi temi hanno parlato il regista e la produttrice Tomomi Takashima, nella conferenza stampa di presentazione tenutasi proprio al Lido.
La serie è andata in onda nel 2012, ed è tratta da un romanzo molto famoso in Giappone. Cosa l'ha colpita di più di questa storia? Il romanzo è strutturato nella stessa maniera?
Kiyoshi Kurosawa: Sì, si tratta di cinque capitoli con cinque protagoniste diverse. Sono come dei monologhi, delle confessioni. Nel romanzo vediamo descrizioni estremamente soggettive della realtà: l'uomo che ha ucciso la ragazzina, per esempio, non viene mai descritto in modo oggettivo, ma sempre filtrato dai ricordi delle ragazze. I dettagli si sviluppano intorno alle protagoniste, ma i personaggi satellitari sono più delineati che descritti. E' stato difficile trasporre questo aspetto del libro, ma è stato anche interessante.
Tomomi Takashima: Sì, certo. Ho avuto modo di leggere il romanzo e ho capito il modo di essere delle protagoniste. Ci sono molti omicidi di questo genere, nel mondo; qui, la madre fa un discorso molto duro rivolto alle bambine, e in 15 anni loro crescono insicure, con sentimenti contrastanti. E' un tema femminile, ma anche profondamente umano.
Kurosawa, le caratteristiche del suo cinema sono molto riconoscibili, c'è l'uso dei piani sequenza, la fotografia, la profondità di campo. E' possibile mantenere questo stile lavorando anche per il piccolo schermo? Kiyoshi Kurosawa: Sì, è possibile. Io cerco di creare qualcosa di simile per entrambi i mezzi, il mio scopo è creare un'opera che possa comunque avere una forma valida. La sceneggiatura è stata pensata comunque per un pubblico televisivo, è a loro che doveva arrivare; è stata comunque la prima volta in cui ho scritto una sceneggiatura così ricca di dialoghi, ed è in questo che ho avuto un approccio diverso.
E a livello produttivo, l'approccio è diverso? Tomomi Takashima: Basilarmente no. Non ho avuto indicazioni particolari, in questo senso, ho solo deciso di dare carta bianca al regista. Non ci siamo allontanati dal modo di lavorare che adottiamo normalmente per il cinema. Non credo si possa percepire uno stacco netto, rispetto ad una produzione cinematografica.
Questa versione è stata snellita per il grande schermo. Cosa è stato espunto? Kiyoshi Kurosawa: Io volevo lasciare quanto più possibile. La serie era divisa in 5 episodi, e c'erano alcune sequenze che venivano riutilizzate per ogni episodio: erano il tema comune della storia. Abbiamo deciso di tagliarle, poiché al cinema sarebbero state ripetitive, e di condensarle in un'unica proposta.Gli episodi sono abbastanza diversi l'uno dall'altro, c'è quasi un'esplorazione di diversi generi e stili. Cosa voleva focalizzare in ogni singolo episodio?
Intanto c'era il romanzo originale, quella era la base di partenza e ho cercato di muovermi lungo i suoi temi. Al primo segmento io stesso non sapevo bene come approcciarmi, visto che c'erano solo due protagonisti che parlavano l'uno con l'altra; il centro della storia è una donna che, dopo aver subito alcune situazioni estreme, decide di uccidere suo marito. Il secondo episodio era anche il primo che mostrasse la storia di fondo, quella comune a tutti e cinque; la protagonista diventa violenta e mostra la sua solitudine, il suo allontanamento dalla società; lei cerca di superare questa fase e non ci riesce, e l'episodio in generale mostra lo stacco tra l'individuo e l'organizzazione. Il terzo è molto particolare, visto che tratta il rapporto dell'individuo con la famiglia: dalla società passiamo quindi a un universo più piccolo, il tema è quello delle relazioni familiari che poi sfociano in tragedia. Troviamo una donna che sviluppa fantasie in modo ossessivo e diventa un individuo irregolare. Nel quarto segmento abbiamo due esseri umani ormai stabilmente inseriti nella società, e assistiamo a uno scontro tra di loro; l'interazione mostra forse qualcosa di 'comico', quegli elementi teppistici che si sviluppano in un certo tipo di mente. Nell'ultimo episodio, la protagonista Asako va alla polizia e parla molto dell'episodio di cui è stata protagonista; non potevo trasporlo letteralmente, e ho scelto così di inserire un contatto col colpevole in modo di mostrare la relazione tra i due. E' stato questo uno dei miei contributi originali alla storia.
L'interpretazione, da parte di un uomo, degli eventi narrati nel romanzo può essere anche quella che ti porta semplicemente a dire 'ma che cosa crudele'. Si prova rancore ed odio nei confronti dell'individuo responsabile di quel crimine; ma nonostante questo, per me è stata comunque una lettura piacevole. Trasporre cinematograficamente questi temi comunque è più difficile che narrarli su carta: la scelta dell'attore che doveva interpretare l'assassino, per esempio, è stata tutt'altro che facile.
Nel film ci sono l'individuo e la società sempre a confronto, così come l'universo maschile contro quello femminile. Cos'è che non va, quindi, nella società giapponese?
La domanda non è facile. La società giapponese, tuttora, non riesco a comprenderla del tutto, nonostante ci viva; c'è bisogno di una separazione tra società e individuo, ma poi vediamo spesso omicidi per futili motivi. Capiamo che nella mente di chi compie questi atti qualcosa ha ceduto, una parte della loro personalità si è distaccata; ma i problemi della società, secondo me, hanno motivazioni più profonde. E' un discorso che comunque, secondo me, si può applicare anche alla società europea.