Sono passati quattro anni da quando avevamo incontrato Charlie Hunnam per la prima volta a San Francisco, in occasione della presentazione alla stampa di Pacific Rim. Il ragazzo un po' impacciato e schivo di allora ha lasciato il posto a una personalità molto più espansiva e sicura, oseremmo dire contenta di parlare del suo lavoro. Ciò è probabilmente dovuto anche al fatto che stavolta Hunnam ha incontrato i giornalisti per King Arthur - Il potere della spada, dove interpreta una versione del leggendario sovrano che sembra stata scritta apposta per lui, e non solo a livello fisico. Vedendo il film appare indubitabile che l'attore si è calato nel personaggio in profondità, riuscendone a evidenziare sia il lato guascone che, fattore anche più importante, i fantasmi interiori che lo rendono pluridimensionale.
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A trentasette anni Hunnam si trova a un bivio della sua carriera: dopo aver chiuso magnificamente i conti con Sons of Anarchy, la serie TV di culto che l'ha reso celebre in tutto il mondo, il film di Guy Ritchie potrebbe definitivamente imporlo anche come star del grande schermo. Ancora oggi si dibatte se il già citato Pacific Rim di Guillermo del Toro sia stato o meno un successo al botteghino, tanto che il più volte annunciato e poi smentito sequel è ancora un mistero. Dopo di esso Hunnam ha tentato con fortune ugualmente alterne la strada del cinema più autoriale, ancora con Del Toro in Crimson Peak e poi con James Gray in Civiltà perduta. Due lungometraggi affascinanti quanto incompiuti, ma soprattutto non molto amati dal pubblico. Ora King Arthur - Il potere della spada possiede tutto per imporsi come blockbuster: lo stile inconfondibile di Guy Ritchie, lo spettacolo delle megaproduzioni hollywoodiane e una sceneggiatura che presenta personaggi assolutamente non scontati, quasi shakespeariani nei loro dilemmi interiori.
Abbiamo intervistato Charlie Hunnam a New York, dove ci ha parlato del suo nuovo film e di molto, molto altro.
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Re Artù e la giovinezza di Charlie
Partiamo letteralmente dal principio. Da bambino le piaceva impersonare King Arthur o qualcuno dei suoi cavalieri?
Quando ho accettato il ruolo mia madre mi ha ricordato che impatto ebbe Excalibur di John Boorman sulla mia infanzia. Colpì la mia immaginazione non solo per la storia di Arthur ma anche riguardo la logistica del fare cinema. Le domandavo continuamente cose a cui non sapeva rispondere, non sapendo come funzionava la produzione di un film. Sono cresciuto nella campagna intorno Newcastle, passavo le giornate a cercare bastoni da usare come spade per infilzare mio fratello. Penso non sia un caso se più di trent'anni dopo sia finito a interpretare Arthur, è un po' la conclusione di un percorso per me.
Si rivede nella storia di Arthur che il film mette in scena?
Non ho avuto un'infanzia complicata come lui, l'ambiente in cui sono cresciuto è quello della working class britannica ma non abbiamo mai avuto problemi economici o di criminalità nel mio ambiente. La mia famiglia rappresenta ciò che usiamo chiamare il sale della terra, di certo non borghese o di rango più elevato.
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Il rapporto con Guy Ritchie e la lavorazione del film
Come ha lavorato con Guy Ritchie per definire un personaggio che possiede molti più strati della sola superficie guascona?
Guy mi ha dato un compito ben specifico all'inizio del film, divertirci ogni giorno. Riuscire in questo avrebbe significato trasmettere energia al pubblico, e penso alla fine sia ciò che abbiamo fatto. È stato un processo fluido, basato sulla collaborazione di tutti. Se hai dubbi su una scena è difficile parlarne con Guy, che siano due giorni o due settimane prima della scena in questione: preferisce risolvere i problemi sul posto, nell'ambiente che lo circonda, usando quello che ha a disposizione. Insomma, è il set che risolve ogni dubbio quando collabori con lui. È un modo di lavorare che mi ha forzato a essere molto preciso al fine di rendere la lavorazione fluida, ma è stato anche molto liberatorio. Vuol dire presentarsi sul set ogni giorno preparato ma anche aperto a varie soluzioni, perché con Guy sperimenti sempre varianti della stessa battuta o della stessa scena. Soprattutto nelle prime due settimane di riprese abbiamo provato molti toni differenti, poi una volta trovato quello che funzionava meglio siamo andati dritti al punto.
Quale è stato il momento migliore della lavorazione?
Quando abbiamo girato gli esterni in Galles, Guy ha avuto l'idea di evitare alberghi e fare invece una specie di campeggio con tutti i comfort. Sono state quasi tre settimane favolose, ogni giorno a fine riprese, prima di cena, mi concedevo lunghe passeggiate solitarie in questa natura stupenda, ancora incontaminata. La miglior cosa che mi è capitata in vent'anni o quasi che faccio questo mestiere.
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Lei ha già lavorato a svariati film d'epoca. Costumi o acconciature specifici la aiutano a entrare nella psicologia del ruolo?
A dire il vero non ci presto troppa attenzione, cerco sempre il cuore di un personaggio, mi interessano le tematiche e come portarle in vita attraverso il ruolo. Per il resto seguo l'istinto giornaliero, cerco sempre di rendere le mie parti vive e divertenti per me, che si tratti di un film in costume, di una storia contemporanea o di un blockbuster di fantascienza fa poca differenza.
La sfida interpretativa e Jude Law
Che preparazione ha dovuto affrontare a livello fisico per interpretare King Arthur?
Nessun allenamento in particolare, ma ho dovuto mettere su parecchio peso. Ero troppo magro quando mi sono presentato a Guy, era chiaramente preoccupato per la mia fisicità. Mi è capitato spesso di dover guadagnare o perdere peso in fretta per interpretare dei ruoli, per me è una sfida soprattutto psicologica: entro in una zona mentale particolare, sono concentratissimo su cosa devo fare. È come quando ti rimetti in sesto dopo un infortunio, devi essere molto attento a ogni momento della giornata, a come affrontarlo. Ti prendi cura del tuo corpo in maniera molto più precisa. C'è una componente emotiva e spirituale in questo processo che per me è assolutamente positiva, come espellessi tossine dalla mente prima che dal corpo.
Il suo antagonista nel film è un Jude Law da antologia. Cosa ci può raccontare di questa collaborazione?
Jude è un Vortigern delizioso, per nulla piatto o superficiale. In qualche modo è l'altra medaglia di Arthur nel modo di affrontare i propri demoni: il mio personaggio tenta di sfuggire loro, quello di Jude li abbraccia a costo di soffrirne immensamente. Fin dalla prima scena che ha girato ho capito che sarebbe stato formidabile in quel ruolo, ci si è immerso come fosse un personaggio shakespeariano, il che in fondo non è poi così lontano dalla realtà.