"Tu sei una persona buona." "Oh, davvero? Perché?" "Perché sei triste, e le persone tristi di solito sono buone perché hanno sentimenti più forti."
Quando nell'episodio finale della prima stagione, God, I'm Tired, si ascolta questo frammento di dialogo, probabilmente ci siamo già resi conto del perché Killing Eve sia una serie diversa da tutte le altre, e anche del perché sia una delle migliori serie approdate sul piccolo schermo in questi ultimi anni. E il suddetto scambio di battute, particolarmente incisivo pure per il contesto atipico in cui viene pronunciato (non vi sveliamo altro), è emblematico di alcuni dei temi al cuore di questo anomalo, indefinibile, gustosissimo thriller.
Il bene e il male, innanzitutto: le categorie canoniche dei racconti dal taglio poliziesco, con la dicotomia fra "buoni" e "cattivi" che, nel caso specifico, viene portata in primissimo piano proprio attraverso il dualismo fra le co-protagoniste. La tristezza, quella tristezza che scorre appena al di sotto del velo dell'ironia, ovvero la principale cifra stilistica di Killing Eve, una serie imbevuta di un umorismo che centra puntualmente il bersaglio. E infine il sentimento: la variabile impazzita che sfugge alla razionalità e alle regole, e che può arrivare addirittura a scombinare la perfetta equazione di partenza, ovvero la divisione fra buoni e cattivi. Per esempio quando, come nel caso in questione, fra il bene e il male esiste un'attrazione misteriosa e reciproca.
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Eva contro Eva
Ed eccoci, per l'appunto, all'autentico fulcro di Killing Eve: il più classico gioco fra il gatto e il topo, declinato però in una formula peculiare e talvolta spiazzante. Fin dall'episodio pilota, Nice Face, firmato dalla creatrice della serie, la trentaduenne inglese Phoebe Waller-Bridge (già artefice, nonché interprete, di Crashing e Fleabag), l'intera narrazione è bipartita in un geometrico equilibrio fra le due protagoniste. Una, Eve Polastri, è un'agente dell'MI5, il servizio di sicurezza britannico: una donna ultraquarantenne, brillante, intuitiva, capace di scherzare su tutto (insomma, non aspettatevi un'altra variante di Carrie Mathison) ma sufficientemente determinata da perseguire fino in fondo i propri obiettivi, pure a costo di rimetterci in prima persona. L'altra, Oskana Astankova, soprannominata Villanelle, è una ragazza di origine russa che vive a Parigi e parla fluentemente un gran numero di lingue: è vivace, affascinante, ha la battuta sempre pronta e lavora come killer professionista.
Fin dal primo episodio, la Eve di Sandra Oh e la Villanelle di Jodie Comer ridefiniscono i relativi archetipi di riferimento, il detective integerrimo e il super-criminale senza scrupoli, e lo fanno proprio mediante una vena umoristica assai insolita rispetto al filone dei crime drama. Eve, già dalla sua prima apparizione, non esita a lanciarsi in un fuoco di fila di frecciate ironiche con il suo capo, Bill Pargrave (David Haig), perfino nei momenti meno opportuni. Villanelle, invece, si sposta da un delitto all'altro con una vitalità gioiosamente amorale: uno spirito 'infantile' (nell'incipit, la vediamo rovesciare un gelato addosso a una bambina) che la induce a non prendere mai del tutto sul serio le sue sanguinarie missioni, portate a termine però con implacabile efficienza.
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Cherchez la femme
Due personaggi complementari, lontani anni luce l'uno dall'altro ma al contempo uniti da una bizzarra, imprevedibile affinità. Perché fin dal loro primo, fugace incontro nella toilette di un ospedale, fra Eve e Villanelle si instaura una connessione assimilabile a una sorta di colpo di fulmine: il reciproco riconoscimento fra due anime opposte che, nello scrutarsi a vicenda, all'improvviso intravedono l'abisso e ne percepiscono la vertigine. Proprio tale vertigine diventerà, per entrambe, un richiamo dal quale non riusciranno a sottrarsi: eccole dunque, l'indefessa detective dai modi un po' goffi e la gioviale assassina priva di qualunque forma di empatia, ingaggiare una "danza macabra" mentre si rincorrono per mezza Europa, in un duello che somiglia terribilmente a un gioco di seduzione.
Ma Phoebe Waller-Bridge, che adatta il romanzo di Luke Jennings Codename Villanelle confermandosi una delle penne più raffinate e divertenti dell'attuale serialità televisiva, è ben attenta a non far scivolare la relazione fra Eve e Villanelle in uno scontato legame psico-sessuale: l'elemento omoerotico è presente (e a tratti anche esplicito), ma è solo uno fra gli ingredienti di un rapporto ben più complesso e sfumato. Anche perché Killing Eve, pur senza volerlo comprimere in una chiave esclusivamente metaforica, è in primo luogo il ritratto di un'ossessione: un'ossessione che, con cadenza progressiva ma inesorabile, spingerà Eve ad allontanarsi sempre di più dalla propria comfort zone - psicologica, familiare ed etica - per esplorare un "lato oscuro" tenuto, fino a quel momento, a debita distanza.
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L'eroina e la villainess
E se questa prima stagione di Killing Eve, trasmesso negli USA su BBC America e confermato per un secondo capitolo ancor prima della messa in onda, funziona in maniera tanto perfetta, gran parte del merito, oltre che in un racconto fluido ed accattivante, risiede nelle due impeccabili primedonne della serie: due scelte di casting ispiratissime per una coppia di attrici che calzano i rispettivi personaggi come un guanto, rendendole due individui unici e straordinariamente credibili. Sandra Oh, l'indimenticata Cristina Yang di Grey's Anatomy, ritrova un altro ruolo all'altezza del proprio talento dando corpo, volto e voce a un'eroina sui generis e decisamente adorabile; mentre la venticinquenne inglese Jodie Comer, fattasi notare in patria due anni fa in Thirteen, sfodera un carisma a dir poco irresistibile, disegnando una villainess che potrebbe davvero entrare negli annali della TV.
E a proposito di una serie con il coraggio di miscelare con estrema disinvoltura stili e registri e di cambiare traiettoria quasi ad ogni puntata, una serie sulla quale ci sarebbe ancora tantissimo da dire e da scrivere, vale la pena evidenziare anche l'apporto dei vari comprimari. Perché è pur vero che Killing Eve rimane in sostanza un two-women-show, ma se le due donne al centro della scena si guadagnano l'attenzione e la partecipazione dello spettatore con tale facilità, ciò è dovuto pure ai personaggi che ruotano attorno a loro: insieme al già citato Bill Pargrave, formidabile partner delle indagini - e delle battute - di Eve, ci sono Niko Polastri (Owen McDonnell), il suo paziente e affettuoso marito, e Konstantin Vasiliev (Kim Bodnia), l'ambiguo mentore di Villanelle, quasi mai in grado di tenere a freno la sua letale 'allieva'. Dulcis in fundo, una sopraffina Fiona Shaw nei panni di Carolyn Martens, serafica e indecifrabile dirigente dell'MI6, la quale offrirà a Eve la più grande occasione della sua carriera... e il rischio più pericoloso ed eccitante di tutta la sua vita.
Movieplayer.it
4.5/5