Per l'imminente uscita di 'C'era una volta a New York', in arrivo in sala la prossima settimana, ripercorriamo la carriera dell'attore feticcio di James Gray: dagli esordi al successo passando per l'apparente (per fortuna) ritiro. Come una fenice, il trentanovenne Joaquin è risorto più volte dalle sue ceneri, divenendo oggi il volto preferito di una generazione di autori che lo usa per rappresentare le nevrosi dell'uomo contemporaneo.
Con il discutibile titolo di C'era una volta a New York, esce in Italia giovedì The Immigrant, l'ultima fatica di James Gray. Si tratta di un fosco melodramma ambientato nella New York degli anni '20 con due memorabili protagonisti, Marion Cotillard nel ruolo dell'immigrata polacca e Joaquin Phoenix nelle vesti del suo amante, protettore e aguzzino. Phoenix, acclamato anche per la recente performance in Her di Spike Jonze, è ormai l'attore feticcio del cinema di Gray e sembra vivere il suo momento d'oro, segnato da un unanime plauso al suo talento. Ma vale la pena fare un passo indietro per ricostruire il percorso di uno dei personaggi più interessanti nella Hollywood di oggi.
Nascita della fenice
Joaquin Rafael Phoenix nasce Joaquin Rafael Bottom a San Juan, il 28 ottobre 1974. È il terzo di cinque figli che, per aiutare la famiglia in ristrettezze economiche, solevano esibirsi nelle strade di Los Angeles e nei programmi televisivi finché non furono ingaggiati dalla talent agent Iris Burton, famosa per aver scoperto numerosi bambini poi diventati celebri attori. La star della famiglia divenne, nel giro di pochi anni, il maggiore dei fratelli Phoenix, River: sarà protagonista di una manciata di film in cui sfoderava una naturale propensione per interpretare caratteri difficili e complessi, tra cui vale la pena ricordare i personaggi di Stand by me - ricordo di un'estate, di Mosquito Coast, di Vivere in fuga e di Belli e dannati (che gli valse la Coppa Volpi alla Mostra del Cinema di Venezia). Com'è noto, River morì il 31 ottobre 1993 per overdose, davanti al Viper Room di cui era co-proprietario l'amico Johnny Depp. Joaquin, che assistette alla scena e chiamò invano i soccorsi, preferì ritirarsi dalle scene. Il ragazzo allora ventenne era già al suo secondo ritiro dal lavoro di attore, dopo che a 15 anni si trasferì in Messico col padre. Gus Van Sant lo convinse nel 1995 a tornare sul set, per girare Da morire in cui interpretava il giovane amante di una perfida e freddissima Nicole Kidman. Da qui inizia realmente la carriera di Joaquin Phoenix...
Fenomenologia di un antidivo
Una delle caratteristiche della carriera di Phoenix negli anni Zero è quella di partecipare con successo alterno a grandi e piccole produzioni. Esempio lampante di questa dicotomia è l'anno 2000, dove veste sia i panni di Commodo, il malvagio imperatore romano del Il gladiatore di Ridley Scott, che quelli di Willie Gutierrez nel secondo lungometraggio di James Gray, The Yards. Se il primo film fu un successo su scala mondiale, e gli conferì anche una certa notorietà, The Yards si rivelò un flop, bloccando la carriera del regista per molti anni. Nel 2002 e nel 2004 è nel cast di Signs e The Village, per la regia dell'allora lanciatissimo M. Night Shyamalan, ma partecipa anche a lavori che ebbero minor risonanza come Le forze del destino (2004) o il controverso Buffalo Soldiers (2001), che venne distribuito due anni dopo a causa della feroce critica che faceva all'esercito statunitense, all'epoca impegnato nelle operazioni militari successive all'attacco al World Trade Center. Questo lavoro mette in evidenza l'interesse di Phoenix anche per progetti di un certo impegno, come dimostra anche il personaggio del cameraman Jack in Hotel Rwanda (2005), in cui Terry George racconta il massacro dei Tutsi in Ruanda all'inizio degli anni 90.
Nel 2005 Quando l'amore brucia l'anima - Walk the Line, il biopic dedicato a Johnny Cash e alla sua storia d'amore con June Carter, frutta a Phoenix il suo primo e finora unico Golden Globe, per la miglior interpretazione in una commedia o musical, sfoderando anche delle ottime qualità canore.
Prima di parlare compiutamente dei personaggi dei film di Gray interpretati da Phoenix, va posto l'accento su quell'assurdo esperimento di vita e di cinema che è Joaquin Phoenix - Io sono qui!. Dopo la presentazione a Cannes di Two Lovers, l'attore annuncia il suo ennesimo ma più ufficiale ritiro dalle scene, stavolta per dedicarsi a una carriera da rap-star. Sempre schivo verso il glamour dei divi del cinema, l'attore, allora trentaquattrenne, fa il suo gran rifiuto verso quell'industria alla quale mal si conciliavano le sue intemperanze. Si imbruttisce, cambiando radicalmente look, e si presenta con capelli e barba sempre più lunghi e incolti: celebre la sua partecipazione a una puntata del Letterman Show in cui risponde svogliato e laconico alle domande e alle battute di David Letterman, che non nascondeva una certa perplessità. In realtà ogni partecipazione televisiva e qualsiasi spettacolo di cui fosse protagonista facevano parte di una performance giocata a tutto campo che è durata svariati mesi, seguita passo passo dalla videocamera invisibile di Casey Affleck. Questa sorta di grande beffa ai danni degli spettatori e, soprattutto, dei media venne presentata a Venezia 2010 con il titolo di I'm Still Here, sebbene sia rimasto inedito per le sale italiane. A questo punto, Phoenix riprende in mano la sua carriera d'attore e lavora insieme a Philip Seymour Hoffman in The Master, sotto la direzione di Paul Thomas Anderson. In concorso alla 69° Mostra d'Arte Cinematografica di Venezia, The Master vince il Leone d'Argento per la miglior regia e la Coppa Volpi per la miglior interpretazione maschile andata ex-aequo a Hoffman e a Phoenix, che ritorna prepotentemente sulla ribalta della critica e della cinefilia internazionale.
Il volto di una generazione
A partire dai personaggi di Phoenix, soprattutto nei film più importanti e caratterizzanti della sua carriera, si potrebbe provare a formulare una vera e propria fenomenologia delle interpretazioni: non essendo questa la sede, analizzeremo brevemente soltanto i panni indossati per James Gray e negli ultimi titoli che l'hanno visto protagonista. In The Yards è Willie Gutierrez, il migliore amico di Leo (Mark Wahlberg), un ragazzo appena uscito di prigione, che ha scontato una pena più severa per non aver fatto i nomi dei suoi complici per un furto d'auto (tra cui, appunto, Willie). Il personaggio di Phoenix è il tirapiedi di Frank, un imprenditore coinvolto anche in loschi affari per gli appalti della metropolitana di New York, per conto del quale corrompe politici e possibili concorrenti negli appalti. Il suo sodalizio con Gray prosegue ne I padroni della notte (2007) e in Two Lovers (2008), entrambe interpretazioni complesse e perfettamente riuscite. Nel poliziesco I padroni della notte, Phoenix è il figliol prodigo di una famiglia di poliziotti, prima in forte contrasto con il padre e il fratello, dai quali si è allontanato, infine, roso dal dolore e dal senso di colpa, si riavvicina col fine di fare la scelta giusta: la sua immedesimazione sottolinea il dissidio interiore anche tramite un'espressività catatonica su cui la regia si sofferma spesso; il Leonard di Two Lovers è un personaggio ancora più memorabile, attraverso il quale Phoenix dà volto e anima a un uomo sconfitto e alienato: calato nei quartieri di New York più plumbei e asfissianti, il protagonista si barcamena tra due donne, come se fossero i due poli opposti del suo vacillante equilibrio psicologico.
Nel C'era una volta a New York di imminente uscita, Phoenix è Bruno, un magnaccia che distrugge la vita di Ewa ma che al contempo la ama disperatamente. Come e ancora più che negli altri ruoli che ha vestito per Gray, Phoenix compone l'ambiguo ritratto dell'uomo moderno che implode o esplode in condizioni estreme - come può essere il trauma post-bellico di The Master o la povertà che spinge allo sfruttamento criminale di C'era una volta a New York. Apparentemente esula da queste caratteristiche Theodore, il protagonista di Her: nel lavoro di Spike Jonze, Phoenix è un malinconico uomo medio che cerca di elaborare la fine del suo matrimonio. Con toni teneri e romantici, l'attore spazza via i lati più duri e inquietanti dei suoi personaggi, lavorando comunque sul mettere in evidenza le contraddizioni e le possibili alienazioni di un rapporto sentimentale completamente virtuale, come quello instauratosi tra Theo e l'avanzato software Sam: bellissima la scena di sesso costruita interamente sul primo piano dell'attore intervallato a schermate nere, virtuali controcampi di Sam, posizionata nell'infinito spazio del web.
Phoenix, come ha confessato durante la conferenza stampa all'ultimo Festival di Roma, non possiede una ricetta per calarsi nei ruoli: legge il copione, parla col regista e si presenta sul set cercando di creare di volta in volta il mood recitativo adatto. Corpo da cinema come ne sono rimasti pochi, le sue sono interpretazione viscerali, basate sulla sua fisicità dirompente, connotate da un'irrequietezza felina e da una furia animalesca che le rendono sempre sorprendentemente potenti. Con quegli occhi blu asimmetrici, lo sguardo obliquo, il volto pulito ma segnato dalla cicatrice sul labbro che si evidenzia in un sorriso che somiglia a uno strafottente ghigno, Phoenix è protagonista di performance ora titaniche, ora splendidamente equilibrate: come Jack Nicholson nella New Hollywood degli anni 70, è diventato l'attore-feticcio di una generazione di registi indipendenti di cui sembra incarnare perfettamente le nevrosi. Lo attendiamo al varco con Inherent Vice, prossima opera di Paul Thomas Anderson.