Un consiglio, andate a vedere The Apprentice di Ali Abbasi, e se possibile andate a vederlo in lingua originale. Il motivo? Jeremy Strong. Nella parte del fixer Roy Cohn, colui che ha letteralmente creato Donald Trump (nel film con il volto di Sebastian Stan), l'ex Kendall Roy di Succession (un Emmy e un Globe, mica poco) è semplicemente strepitoso. Un dosaggio vocale, una cadenza perfetta, tanto da sembrare una cantilena, tanto fredda quanto ficcante. Così, mentre lo intervistiamo in esclusiva, collegato su Zoom da Zurigo, non possiamo non ritrovare nella sua voce quelle inflessioni folgoranti.
Sfoggiando un baffo perfetto, prima di iniziare la chiacchierata (ben venticinque minuti) si versa un bicchiere d'acqua. Un sorso, ed eccolo già al centro del discorso, soffermandosi in apertura "sulla piacevole sensazione" scaturita dalla nostra prima domanda che, per parafrasare The Apprentice, gioca sull'istinto killer di un interprete "Non so come rispondere. Ma credo che l'istinto sia tutto per un attore. L'istinto è fondamentale. Si dovrebbe avere il coraggio del proprio istinto e seguirlo", ci dice Jeremy Strong. "Di certo, io e Sebastian abbiamo sempre fatto ciak diverse, seguendo le intuizioni. Non utilizzerei la parola killer, bensì... coraggioso. L'istinto coraggioso".
The Apprentice: intervista a Jeremy Strong
Lei ha svolto un lavoro sulla voce incredibile. Come ha fatto a non eccedere, restando assolutamente credibile? Si parte da zero ogni volta che ci si avvicina a un'opera. Si cerca di imparare tutto quello che si può sull'argomento. Cerchi di padroneggiarlo. Si cerca di assorbire e interiorizzare tutto. Bertold Brecht diceva che gli attori sono scienziati del comportamento umano, e in un certo senso si tratta di un processo di investigazione scientifica. E poi c'è anche questa certa alchimia che accade, difficile da spiegare. Un po' misteriosa, in cui prende possesso di te.
Lei e Sebastian Stan siete un duo formidabile. Com'è stato duettare con lui? C'è qualcosa che l'ha stupita? Le cose devono accadere organicamente, in modo sentito e persino inconsapevole. Ali (Abbasi ndr.) ha creato per noi un ambiente incredibile in cui essere liberi. Tra Cohn e Trump c'era una storia d'amore probabilmente platonica. Un pensiero che deriva da tutte le ricerche e le letture su Roy. Certe cose non le puoi recitare. O ci sono o non ci sono, ma non si possono recitare. Quando hai un partner di scena come Sebastian, la cosa diventa viva.
Secondo lei, Trump e Cohn, credevano davvero in quei discorsi populisti, oppure era solo suggestione, una persuasione? Roy Cohn ci credeva, e dovevo crederci anch'io in quel momento sul set. C'è un salto dell'immaginazione che bisogna fare, ma bisogna trovare la strada per arrivare a questa convinzione. Ricordo che molto tempo fa, negli anni '70, Pacino disse in un'intervista: "Recitare è molto semplice. Devi dire sul serio tutto quello che dici". Ma sì, Roy era una persona molto convinta. Credeva davvero che il suo compito fosse quello di difendere la democrazia dalla minaccia del comunismo. Vedeva le cose in termini di apocalisse biblica. Naturalmente io la percepisco in modo diverso, ma devo mettere alla porta i miei giudizi soggettivi per entrare nel fanatismo del suo credo. Ma Oliver Wendell Holmes scrisse: "La certezza porta alla violenza". Roy Cohen era una persona molto sicura di sé, e credo che abbia trasmesso questa certezza a Trump.
La reazione di Trump al film
Trump ha reagito molto male al film. Se l'aspettava immagino... Trump ha postato all'una di notte un pensiero su questo argomento perché ha abboccato all'amo. Il film è in realtà un ritratto molto corretto, e umanizzante, credo. Roy Cohn ha detto: "L'odio è un'arma potente. Tiro fuori il peggio dai miei nemici e così li convinco a distruggersi". Trump in un certo senso sta cedendo a questo pensiero. Credo che con il post sul film stia provando ad adescarci. Ma non possiamo unirci a questo mischione divisivo, fomentando l'odio. Siamo qui come attori ed essenzialmente umanisti, che cercano di raccontare una storia complessa su persone molto complesse. Ma credo che sia giusto lasciargli sputare veleno su questo argomento. E se questo attira le persone a vedere un film e un'opera d'arte, allora è una cosa meravigliosa.
Anche se vi ha definito "feccia umana"? Se da una parte sono felice che richiami l'attenzione sul film, dall'altra mi sento anche molto turbato e preoccupato. Mi sento turbato dal linguaggio, ecco. Ci ha definito feccia umana, una frase che storicamente è stata usata molto da Hitler, da Stalin, da Kim Jong Un, da Bolsonaro. Non è una bella frase, viste le situazioni storiche che richiama. La trovo terrificante.
Il pensiero di Roy Cohn
Quanto è difficile approcciarsi ad un film con figure così importanti? Uno dei grandi maestri di recitazione ha definito la recitazione come vivere in modo veritiero in circostanze immaginarie. Si crea un senso di fiducia nella realtà, qualunque essa sia, qualunque sia il lavoro che si sta svolgendo. Il reale è una parola un po' complicata da usare. È un gioco di prestigio quando si interpretano personaggi storici. Avevamo entrambi un sacco di materiale da cui attingere, ma poi è difficile reggere la pressione, pensare all'accuratezza ed è anche difficile trovare qualcosa di più di un semplice mimetismo.
Avete subito pressioni? Anton Čechov ha detto: "Dimmi cosa vuole una persona e ti dirò chi è". In un certo senso, questo è l'obiettivo del film. Si propone di esplorare l'evoluzione di Trump e ciò che voleva, ciò che vuole ora, in modo da poter capire meglio chi sia. Un'impresa creativa molto valida.
Cosa ha scoperto rispetto all'ideologia di Cohn in riferimento agli Stati Uniti? Ho scoperto l'idea di Roy Cohn, ossia: attaccare sempre, negare tutto e non ammettere mai la sconfitta. Le prime due di queste regole sono esemplificate nella risposta di Trump al film. Queste regole che esplora The Apprentice sono attuali, e stanno plasmando il nostro Paese, ora, nel 2024.
Cosa direbbe a Donald Trump? Non lo so. È una domanda complessa. Credo che sarei sinceramente curioso di sapere se qualcosa nel film lo ha colpito, o gli ha almeno fatto provare qualcosa. Immagino di sì. Ci sono alcuni momenti teneri, del resto. Onestamente, potrebbe essere uno strumento in grado di toccare qualche angolo della sua umanità. Sarebbe una cosa molto potente, credo.