È un cinema fatto di legami, quello di Jason Reitman. Legami famigliari, legami con la propria nazione, legami con un passato che non si riesce a lasciar andare. Ma per un regista così attaccato al concetto di rapporti così stretti, la morte del padre Ivan si tramuta in un terremoto capace di scardinare gli assetti, e smuovere dall'interno il proprio concetto di cinema. Si apre pertanto un varco nostalgico all'interno della sua poetica, entro il quale muoversi per battere gli stessi percorsi tracciati dall'estro paterno. Lo ha fatto con gli ultimi due Ghostbusters, e lo ha fatto soprattutto con Saturday Night, al cinema il 21, 22 e 23 con Sony Pictures.
Molti degli attori poi diretti da papà Ivan Reitman sono usciti dal numero 30 del Rockefeller Plaza, incrociando il proprio destino con quello di Jason. Dan Aykroyd, Bill Murray e Billy Crystal. Festeggiare i cinquant'anni dello show, riportando sullo schermo tutto il caos che investì i novanta minuti che lo separarono al debutto in TV, significa pertanto per Jason Reitman omaggiare indirettamente l'opera del padre, e con essa tutta quella comicità che ha forgiato le commedie - anche quelle più amare - di stampo statunitense.
Ridere con altri, per ridere di se stessi
È una comicità, quella di Jason Reitman, ben più solida e radicata nel panorama contemporaneo rispetto a quella del padre. Svestita di puro divertissement, l'opera del regista nasce dal sottosuolo dell'ambiente circostante, per abbeverarsi di quell'attualità che finisce per intaccare i legami alla base della sua produzione cinematografica. Sin dal suo film d'esordio, Thank you for smoking, si insinua nel suo stile di racconto una lettura priva di bigottismo e ostentata ipocrisia sulla società americana. Orientando la propria indagine artistica sull'essenza umana come risultato sia di determinati contesti socio-culturali, che di icontri/scontri interpersonali, il regista fa sorridere i propri spettatori con la forza di quelle idiosincrasie, paure, vizi e virtù di cui l'intero ambiente circostante è afflitto. Lo stesso Saturday Night non vuole mostrare gli sketch, o la spensieratezza di un gruppo di lavoro destinato a fare la storia della TV, quanto le insofferenze, la spirale di coinvolgente adrenalina, e la costante tensione, che vive e aleggia nello spazio di un backstage.
Jason Reitman e il racconto di una nazione
Quello di Retiman si fa pertanto uno stile che non ha paura di mostrare senza filtri illusori, o edulcoranti orpelli, i precari equilibri che tengono insieme tanto una nazione, quanto le realtà personali che la abitano. Con sgomento e sarcasmo, a essere maggiormente toccato nel mondo del regista canadese è soprattutto il costrutto famigliare, tra conflitti e incomprensioni generazionali. Da ragazze rimaste incinte troppo presto (Juno) a donne viziate, mai cresciute e poco lucide mentalmente (Young Adult), passando per uomini talmente ossessionati dal proprio lavoro da sacrificare i rapporti interpersonali (Tra le nuvole), fino a senatori candidati alla Casa Bianca oggetti di scandali coniugali (The Front Runner) Reitman tesse, come una sarta della Settima Arte, un fil rouge destinato a tirare i propri protagonisti verso il baratro dell'implosione famigliare. Narcisisti, viziati, capricciosi, affetti da una sindrome di Peter Pan difficile da limare: sono questi i caratteri che abitano il microcosmo cinematografico creato da Jason Reitman.
Ma se da una parte l'essenza maschile denuncia una maschera di sicumera pronta a sciogliersi al sole, la controparte femminile rivela un carattere forte, di chi si porta sulle spalle il peso di una casa, di un futuro incerto, o di un marito fedifrago. Sono donne ben rappresentate dalla sceneggiatrice Diablo Cody e che ritornano nella figura di Rosie Shuster, anche in Saturday Night. Là dove tutto pare crollare, implodere e scoppiare come le luci sul set, ecco che a riportare un senso di equilibrio mentale, e di sicurezza tra i corridoi del backstage, ci pensa Rosie. Non più figura materna pronta a consolare, o compagna di vita che supporta il proprio marito (Lorne Michaels) nella notte più importante della sua vita, il personaggio interpretato da Rachel Sennott (Shiva Baby) entra in scena per smuovere le coscienze, azionare, come un defibrillatore portatile, i corpi di zombie bloccati dall'ansia, facendo sì che la voce di Chevy Chase potesse alla fine urlare "live from New York, it's Saturday Night".
Il montaggio delle relazioni umane
Non solo testimoni di una nazione dalle mille sfaccettature, i personaggi usciti dalla fucina immaginativa di Reitman si elevano anche a portavoce di caratteri e situazioni dalla portata universale. Capitoli eterogenei e mai banali di uno stesso trattato sull'umanità, se le loro vite risultano così reali e mai banali è grazie anche al modus operandi di un regista come Reitman, che pone la propria cinepresa al servizio di una narrazione di stampo umano. Ogni aspetto è studiato nei minimi dettagli, ponendo particolare attenzione alla resa dinamica ed empatica di un montaggio chiamato a sottolineare il ritmo degli eventi portati in scena e la loro portata emotiva. Un'attenzione che ritroverà in Saturday Night il suo massimo approccio, con piani-sequenza, campi e controcampi, e raccordi capaci di tradurre visivamente l'ansia, i timori, e l'adrenalina che si nascondono sottopelle nei personaggi sulla scena.
Jason Reitman e i suoi anti-eroi coraggiosi
Hugh Jackman, Charlize Theron, George Clooney, J. K. Simmons, Adam Sandler, Aaron Eckhart, Kate Winslet, Dylan O'Brien, e i giovani Cooper Hoffmnan e Gabriel Labelle (già visto in The Fabelmans): è una galleria infinita di celebrità la sua filmografia. Eppure a Reitman non interessa la loro aura divistica. Sottratti spesso della loro bellezza, o simpatia, Reitman affida a questi interpreti ruoli di anti-eroi non più coraggiosi, bensì sopraffatti da eventi che li investono senza preavviso. Permeati di ordinarietà, fungono da surrogati del quotidiano, ricettacoli di vizi e virtù, difetti e pregi di umana fattura. Scavando tra le macerie dell'egoismo e lungo le tracce di qualcosa che sta mutando nella società contemporanea, Le sue opere si marcano così di una volontà inquisitoria nei confronti di tematiche scottanti, che non smettono di bruciare facendo respirare al proprio pubblico incertezze e destabilizzanti fragilità.
L'abuso delle sigarette e il conseguente arricchimento delle lobby del tabacco (Thank you for smoking) le gravidanze precoci, e le lunghe trafile per le adozioni (Juno); la tecnologia e i pericoli che ne conseguono (Men, Women and Children); le difficoltà dell'essere madre (Tully); il timore di non far ridere, e la mancata fiducia nel ricambio generazionale (Satuday Night). È un cinema delle difficoltà racontate con un sorriso dolce-amaro, quello di Jason Reitman; un cinema manovrato da un burattinaio che prende le nostre debolezze, le attacca a un filo sottile e ce le mostra sotto le vesti di personaggi psicologicamente complessi, e per questo reali. È una corsa sfrenata e lanciata a perdifiato, all'interno di quella palestra chiamata "vita", l'opera di Reitman. Una favola che sa di vita reale e una vita reale che sa di favola, tenuta insieme da primi piani vivi di speranza, dolore, e ogni sintomo di fallace umanità.