Una figlia visto dal regista Ivano De Matteo: "Oggi l'aggressività è uno strumento per apparire"

L'autore romano dirige Stefano Accorsi e Ginevra Francesconi in un dramma di grande impatto emotivo. La nostra intervista. Al cinema dal 24 aprile.

Ivano De Matteo nella nostra video intervista

Ci sono i film, e poi ci sono i film come Una figlia. Liberamente ispirato al romanzo di Ciro Noja, Qualunque cosa accade, Ivano De Matteo punta dritto alla sfumatura emozionale, prefiggendosi l'obbiettivo di porre le giuste domande al pubblico. Scritto insieme a Valentina Ferlan, il film è, essenzialmente, un dramma in cui la vittima e il carnefice sono figure da rivedere "con estrema cautela". La protagonista è Sofia (Ginevra Francesconi), figlia di Pietro (Stefano Accorsi), che in uno scatto d'ira, uccide Chiara (Thony), la nuova compagna del papà. Quel papà che sarà poi interdetto davanti ad una reazione scollata dalla sua figura, ponendosi gli stessi quesiti che, a guardar bene, sono riversati sullo spettatore.

Una Figlia Recensione Film Ivano De Matteo Stafano Accorsi Ginevra Francesconi Zemdgpm
Accorsi e Ginevra Francesconi

"Non cerchiamo di fare film a tesi, non abbiamo questa presunzione", spiega Ivano De Matteo durante la nostra intervista. "E poi le domande ce le continuiamo a porre sempre. Me le pongo anche d'autore, da genitore, me le pongo come è giusto e com è sbagliato. Dipende in quale zona della storia mi pongo. Dipende da molte cose".

Una figlia: intervista a Ivano De Matteo

Una Figlia Recensione Film Ivano De Matteo Stafano Accorsi Ginevra Francesconi Edle866
Un primo piano di Ginevra Francesconi

La parte centrale di Una figlia si svolge nel carcere minorile dove è rinchiusa la protagonista (straordinaria la prova di Ginevra Francesconi). Su questo spunto, De Matteo ha lavorato sul contesto, sul senso di costrizione attraverso il suono (Mario Iaquone, Emanuele Giunta). "Ho fatto un lavoro speciale, nel senso che io ho già girato un documentario, si chiama Codice a sbarre, tanto tempo fa, realizzato in carcere. La cosa che che mi colpiva molto erano i rumori, i rumori assordanti e ripetitivi. Quindi io ho ripreso molti di quei rumori del documentario, facendoli diventare rumore ossessivo. Diciamo, è una sorta parte di colonna sonora del film. La chiusura, le chiavi dei portoni, è un rumore continuo e costante che entra dentro la testa, in questo caso, di una ragazza di 16 anni".

Una figlia racconta in punta di piedi la storia di un carnefice, e il film suggerisce quanto sia facilissimo diventarlo. "Abbiamo ascoltato un giudice del tribunale dei minori, per capire che tipo di reato dovesse compiere questa ragazza. Cioè, io non volevo un reato, come dire, efferato... Doveva essere qualcosa che potesse capitare a chiunque, nel senso posso darti una spinta, sbatti la testa e muori, posso darti un pugno... Rabbia, impeto. Nel corso del film la scommessa era farti dimenticare l'accaduto, e stare dietro la ragazza, empatizzare con lei e vedere questo percorso di rinascita o di ricostruzione o di riparazione, un termine tecnico che si usa in questi casi".

La rabbia contemporanea

Una rabbia alimentata da un mondo costipato dalle etichette, e da un desiderio fine a se stesso. "C'è molta aggressività", prosegue Ivano De Matteo. "Ho vissuto gli anni '80, ed era un periodo comunque molto duro. Io l'ho vissuto nelle strade. Ora c'è un'aggressività, a volte dico senza senso, quasi senza una motivazione. Il paradosso è che se tu puoi commettere un reato, poi magari ti filmi e lo pubblichi perché almeno esisti. Cioè, ci sono alcuni siti per cui si pubblica tutto ciò che fai, è improponibile. Si fa tutto col viso scoperto. E ciò ti porta ad alzare sempre più l'asticella. Questo mi mette paura".