Isabelle ha il dono straordinario di esprimere emozioni senza modificare il suo volto.
È Claude Chabrol, il regista che con Isabelle Huppert ha lavorato più di chiunque altro (un sodalizio di ben sette film realizzati fra il 1978 e il 2006), a suggerirci un indizio a proposito del segreto del talento della sua attrice musa: l'impenetrabilità. Di frequente (ma non solo) alle prese con personaggi algidi e sfuggenti, Isabelle riesce puntualmente a irretire e a stregare lo spettatore attraverso un equilibrio calcolato al millimetro: al punto che a volte bastano un'inclinazione delle labbra, un'improvvisa luce nello sguardo per rivelarci la natura delle antieroine da lei incarnate sul grande schermo.
Isabelle Huppert, che lo scorso 16 marzo ha festeggiato sessantaquattro anni, non è nota propriamente come una trasformista (a differenza della collega americana Meryl Streep), ma al contrario lavora quasi sempre per sottrazione, agendo sui dettagli e le sfumature: quelle sfumature che, da sole, sono in grado di metterci in contatto con l'anima dei suoi personaggi, più di quanto potrebbero fare intere pagine di dialoghi o di furibonde scene madri. È al contempo il paradosso nonché il 'miracolo' del fenomeno Huppert: quello di indurci, senza neppure rendercene conto, a empatizzare per queste donne misteriose, talvolta altere, talaltra inquietanti, in alcuni casi perfino oscure; a cogliere la profondità insondabile del loro universo emotivo, fino a smarrirci in questo universo. È lei stessa a definire come segue il suo approccio alla recitazione: "Non cerco di simpatizzare con i miei personaggi, cerco soltanto di empatizzare con loro. Di provare a capirli".
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La Première Dame del cinema francese
Ecco, uno dei principali motivi dell'immenso potere di fascinazione di Isabelle Huppert è proprio questo: l'empatia. Un'empatia che punta però alla verità di donne spesso fredde ed ambigue, senza che la loro interprete si conceda alcuna traccia di ruffianeria o di istrionismo gratuito. E nell'arco di una filmografia che conta oltre cento titoli, l'attrice parigina ha saputo coniugare una grande versatilità, il coraggio di non sottrarsi ad alcun tipo di rischio e la coerenza di dedicarsi solo a progetti in cui credesse fino in fondo, collaborando con molti fra i più grandi registi su piazza, da Jean-Luc Godard a Joseph Losey, da Marco Ferreri ad Andrzej Wajda.
All'inizio degli anni Ottanta si è fatta dirigere da Michael Cimino nello sventurato capolavoro western I cancelli del cielo ed è stata co-protagonista di due film candidati all'Oscar, il noir Colpo di spugna di Bertrand Tavernier e Prestami il rossetto di Diane Kurys; nel 1991, per Chabrol, ha indossato i panni di un'icona della letteratura dell'Ottocento in Madame Bovary; nel 2002, accanto ad altre primedonne del cinema francese, ha sbancato i botteghini di mezza Europa con il giallo 8 donne e un mistero di François Ozon, mentre nel 2012 ha recitato in Amour di Michael Haneke, ricompensato con la Palma d'Oro e l'Oscar come miglior film straniero.
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L'ultimo anno e mezzo ha rappresentato per Isabelle una stagione davvero trionfale, soprattutto grazie a Elle, il thriller psicologico di Paul Verhoeven che, dopo gli applausi riscossi al Festival di Cannes, le è valso un clamoroso successo di critica e di pubblico perfino in America, culminato nella vittoria del Golden Globe come miglior attrice e nella sua prima, meritatissima nomination all'Oscar. E mentre Elle sta conquistando anche il pubblico italiano, il 20 aprile è in arrivo nelle nostre sale un altro film magnifico di cui la Huppert è protagonista, Le cose che verranno - L'avenir di Mia Hansen-Løve, insignito del premio per la miglior regia al Festival di Berlino 2016.
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Nel frattempo, il mese prossimo l'infaticabile Isabelle tornerà a Cannes accanto a Michael Haneke per il nuovo progetto del regista austriaco, Happy End, una delle sei pellicole con la Huppert in uscita nel 2017: Barrage, già presentato allo scorso Festival di Berlino, la commedia Madame Hyde con Romain Duris, La caméra de Claire di Hong Sang-soo (anch'esso a Cannes 2017), il dramma Eva accanto a Gaspard Ulliel e Marvin di Anne Fontaine. Quella che segue, pertanto, è un'impresa quasi proibitiva: provare a 'sintetizzare' la carriera della Huppert in una classifica di dieci, indimenticabili ruoli della sua filmografia. Dieci maestose performance da scoprire o da riapprezzare, nel tentativo di trasmettere le dimensioni del talento di un'attrice unica che, per nostra fortuna, non ha mai smesso di sfidarci e di sorprenderci...
10. Loulou
La fatua leggerezza e l'intima malinconia di Nelly, una ragazza divisa fra il marito André (Guy Marchand) e il suo nuovo amante, l'irruento Loulou (Gérard Depardieu), sono gli ingredienti della prova di Isabelle Huppert in Loulou, grande successo datato 1980 e uno dei film più applauditi del regista Maurice Pialat. In questo spaccato degli amori e delle "notti brave" di una coppia nel turbine della passione, la Huppert sfodera una spontaneità e un candore che ammantano la sua Nelly di uno spigliato sex appeal. A ben trentacinque anni di distanza, nel 2015 Depardieu e la Huppert sono tornati a recitare fianco a fianco in Valley of Love.
9. Bella addormentata
In Bella addormentata, il dramma corale diretto da Marco Bellocchio nel 2012, in cui diverse storie parallele affrontano i temi dell'eutanasia, della perdita e del confronto con il dolore, a Isabelle Huppert bastano una manciata di scene per lasciare il segno grazie a un personaggio memorabile: la Divina Madre, una celebre attrice che ha abbandonato la professione per dedicare tutta se stessa alla figlia Rosa, ridotta da anni in uno stato di coma vegetativo. Figura silenziosa e autoritaria, che percorre con passo solenne i corridoi della sua villa e riserva fugaci occhiate al proprio riflesso, la Divina Madre viene dipinta dalla Huppert come un un coacervo di contraddizioni: una donna che sta scontando un'espiazione impossibile, che ha scelto di abbracciare appieno la propria sofferenza al punto di rinunciare agli affetti familiari, e il cui fervore religioso non è che una maschera indossata con consapevole opportunismo (la sua confessione-monologo è un pezzo di recitazione da levare il fiato).
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8. Violette Nozière
Basato sulla vera storia di Violette Nozière, una ragazza diciottenne processata per omicidio nel 1933, Violette Nozière segna un capitolo particolarmente importante nel percorso di Isabelle Huppert: si tratta infatti della sua prima collaborazione con il grande Claude Chabrol, uno dei maestri del cinema francese, nonché del primo confronto con un personaggio controverso e 'tenebroso', insofferente nei confronti della condotta borghese della propria famiglia e sfrontatamente amorale (si prostituisce all'insaputa dei genitori). La Violette della Huppert, che sfoggia il fascino sofisticato e impenetrabile di una perfetta Greta Garbo, è il prototipo di una vasta galleria di antieroine caparbie e dall'indole ribelle; per questo ruolo, Isabelle si è aggiudicata il premio come miglior attrice al Festival di Cannes 1978.
7. Gabrielle
Adattato nel 2005 dal racconto di Joseph Conrad Il ritorno, Gabrielle è uno dei film più elogiati del regista e sceneggiatore Patrice Chéreau, che attorno a Isabelle Huppert ha costruito il personaggio del titolo: Gabrielle Hervey, raffinata signora altoborghese nella Parigi di inizio Novecento, sposata con il ricco Jean (Pascal Greggory), che la donna abbandona all'improvviso nel decimo anniversario del loro matrimonio, salvo rientrare a casa pochi minuti più tardi, dando inizio a un terribile confronto coniugale. In un melodramma rigorosissimo, alla Huppert è affidata una sfida quanto mai ardua: prestare il volto a una donna che costituisce un enigma vivente, una sfinge decisa a non svelare le ragioni delle proprie scelte, ma i cui sguardi lasciano trapelare una tempesta di sentimenti contrastanti e di atroce rimpianto.
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6. Il buio nella mente
Le trecce, il berretto fucsia, l'aria naïve e un sorriso quasi da bambina: così ci si presenta Jeanne, la vivace postina di un villaggio nella provincia bretone che stringe amicizia con l'introversa Sophie Bonhomme (Sandrine Bonnaire), nuova domestica presso la facoltosa famiglia Lelièvre. Ma a dispetto delle apparenze, la Jeanne de Il buio nella mente è uno dei personaggi più folli e angosciosi mai interpretati da Isabelle Huppert: una donna imprevedibile, in grado di esercitare un carisma sinistro sulla psiche di Sophie, pur mantenendo un atteggiamento di infantile lievità. Trasposizione del romanzo La morte non sa leggere di Ruth Rendell ad opera di Claude Chabrol, Il buio nella mente è uno dei più bei thriller realizzati dal maestro del giallo francese; e grazie alla sua performance, la Huppert si è guadagnata la Coppa Volpi al Festival di Venezia 1995 (ex aequo con la Bonnaire) e il premio César come miglior attrice.
5. La merlettaia
Nella carriera di Isabelle Huppert, La merlettaia è il film che ha segnato un fondamentale punto di svolta: diretta nel 1977 dal regista svizzero Claude Goretta sulla base dell'omonimo libro di Pascal Lainé, questa pellicola è valsa infatti a Isabelle, che all'epoca aveva appena ventitré anni, il suo primo, grande successo in un ruolo da protagonista, coronato dalla vittoria del BAFTA Award come miglior attrice emergente. Ben lontana dalle donne complesse e determinate che la Huppert avrebbe impersonato in seguito, la sua Béatrice, soprannominata Pomme, è una diciannovenne parigina contraddistinta da un candore immacolato e da una profonda timidezza; ma l'amore per il giovane François (Yves Beneyton), incontrato durante una vacanza in Normandia, cambierà nettamente la vita di Pomme. E il senso di innocenza, di purezza e di fragilità che la Huppert conferisce al suo personaggio contribuiscono a rendere La merlettaia un vero gioiello da riscoprire.
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4. Un affare di donne
Secondo dei sette film frutto del sodalizio fra Isabelle Huppert e Claude Chabrol, Un affare di donne è basato sulla reale vicenda di Marie-Louise Giraud, madre di famiglia nella provincia di Cherbourg con un marito, Paul Latour (François Cluzet), prigioniero in Germania durante la Seconda Guerra Mondiale; da un iniziale gesto di solidarietà, Marie fiuta la possibilità di sfuggire allo squallore della propria condizione praticando aborti clandestini. All'interno di un tagliente affresco della Francia di Vichy, la Huppert regala una performance da antologia, portando a galla i diversi aspetti del suo personaggio: generosa ma anche opportunista, spesso fatua nella sua compiaciuta vanità e affetta da una forma di inconsapevole bovarismo. Raggelante la sequenza dell'Ave Maria blasfema pronunciata da Marie, trasformandola in una bestemmia. Per Un affare di donne, Isabelle ha vinto il premio come miglior attrice al Festival di Venezia 1988.
3. Le cose che verranno
A testimonianza di come il 2016 sia stato un'annata professionalmente ricchissima per Isabelle Huppert c'è il "racconto delle quattro stagioni" di Nathalie Chazeaux, docente di filosofia in una fase di radicale trasformazione della propria vita, con il tradimento e l'abbandono da parte del marito Heinz (André Marcon) e la malattia della madre Yvette (Edith Scob); a fornire a Nathalie nuovi stimoli sarà un suo giovane e brillante ex studente, Fabien (Roman Kolinka), verso il quale la donna ha una speciale connessione. Scritto dalla regista Mia Hansen-Løve apposta per la Huppert, ispirandosi alla figura della propria madre, Le cose che verranno offre all'attrice uno dei suoi ruoli più felici e compiuti. La densità emotiva di Nathalie, rigida intellettuale costretta a fronteggiare i piccoli e grandi imprevisti del quotidiano, permette infatti a Isabelle di costruire un personaggio assolutamente vivido e credibile: che discuta di filosofia e piani editoriali, si abbandoni a una risata liberatoria a bordo di un autobus o insegua la gatta Pandora fra i boschi, la sua Nathalie arriva dritta al cuore.
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2. Elle
Fin dallo scorso Festival di Cannes si è parlato tantissimo della prova di Isabelle Huppert nel thriller di Paul Verhoeven, e non avrebbe potuto essere altrimenti: perché quella nella parte di Michèle Leblanc, dirigente di una società di videogame aggredita e stuprata nel proprio salotto da un uomo mascherato, ma refrattaria all'idea di indossare le vesti della 'vittima', è senza mezzi termini la performance dell'anno, nonché una punta di diamante in una filmografia spettacolare. Se la Huppert è stata del resto il modello di riferimento di Philippe Djian, il cui romanzo Oh... è alla base di Elle, la sua Michèle è uno di quei personaggi impossibili da dimenticare: di volta in volta altera o sensuale, prudente o avventata, amorevole o implacabile, e capace ancora più spesso di fondere entrambi gli opposti, la "lei" dell'instant cult di Verhoeven domina la scena con un magnetismo inarrivabile, trascinandoci nel mistero di quello sguardo di ghiaccio sempre in procinto di prendere fuoco. Un ideale best of dei grandi ruoli della Huppert, che grazie a Elle ha ricevuto il suo secondo premio César, il Golden Globe come miglior attrice e una sacrosanta nomination all'Oscar.
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1. La pianista
Forse sarebbe stato più giusto un ex aequo con Elle, ma dovendo decidere un primo posto la scelta non poteva che ricadere sul capolavoro (non certo l'unico) di Michael Haneke. Anche perché, per chi scrive, l'ammirazione sconfinata per Isabelle Huppert è nata proprio da qui: dalla spaventosa oscurità celata negli occhi di Erika Kohut, insegnante di pianoforte presso il Conservatorio di Vienna, già figura chiave del romanzo omonimo di Elfride Jelinek portato al cinema da Haneke con La pianista, opera per la quale la Huppert è stata insignita dello European Film Award e del premio come miglior attrice al Festival di Cannes 2001. "Io non ho sentimenti, e anche se ne avessi per un giorno non prevarranno mai sulla mia intelligenza", dichiara con ostinata fierezza questa gelida musicista ultraquarantenne al cospetto del suo giovane e ardimentoso allievo/corteggiatore Walter Klemmer (Benoît Magimel), prima di intraprendere con lui un feroce rapporto di sadomasochismo e sudditanza psicologica.
Sessualmente repressa ma dedita al voyeurismo, a pratiche di autolesionismo genitale e altre parafilie (lei, che umilia i propri studenti solo per aver sbirciato delle riviste porno) e vessata da una madre opprimente (Annie Girardot), Erika è il punto più estremo nella carriera di un'attrice che non ha mai rifiutato le sfide. E Isabelle si immerge in questo ruolo con convinzione totale, riuscendo in una scommessa che ha del miracoloso: farci provare, almeno per le due ore di visione, i silenziosi tormenti e la divorante solitudine della sua protagonista. Parlando della Fantasia in Do maggiore di Schumann, Erika spiega: "Sa bene che sta perdendo la ragione, ne soffre profondamente ma tenta il tutto per tutto. È il momento in cui sappiamo ancora che significa la perdita di se stessi... prima di lasciarsi andare completamente". Le medesime parole possono applicarsi anche a lei: Erika è cosciente di trovarsi sull'orlo del baratro, ma quel barlume di consapevolezza non le impedirà di tuffarsi corpo e anima dentro l'abisso. Lei, così come la sua straordinaria interprete.