"Mamma coraggio". Quante volte questo epiteto ha intasato le nostre bacheche, i nostri schermi? Anche quella di Into the Fire (documentario in due parti disponibile su Netflix e prodotto da Charlize Theron) è a tutti gli effetti una mamma coraggio; una donna votata al sacrificio personale sull'altare del ritrovamento della propria figlia. Viva o morta che sia. Dopotutto, per chi, come Cathy Terkanian, non ha un corpo da piangere, un epilogo a cui ancorarsi, delle risposte a cui afferrarsi, non rimane che (soprav)vivere in un limbo costante, un'incertezza dilaniante di chi aspetta, ma non sa.
Ricorda molto il caso di Piera Maggio e della piccola Denise, Into the Fire. Ma in questo caso vige uno scoglio in più da superare: Aundria non è cresciuta con quella madre che ora la cerca inconsolabile; la giovane era stata data in adozione a soli nove mesi di vita. Un addio sofferto per Cathy, che alla piccola non voleva proprio rinunciare. Ma cos'altro poteva fare una sedicenne fuggita di casa, se non affidare la propria bambina alle cure di una famiglia chiamata a cullarla e proteggerla? Eppure, come tenterà di dimostrare Cathy, proprio quel nucleo domestico si tramuterà in un nido di serpi, sancendo la condanna a morte della giovane Aundria per avvolgerla di menzogne, sospetti, bugie.
Bruciare per te: la rabbia è il motore di Into the Fire
"La rabbia ti fa agire". È una benzina che ti spinge a cercare, ad andare oltre mentre gli altri sembrano rimanere impantanati in un terreno che li blocca, li ferma, li limita nelle ricerche. Ecco allora che la cinepresa di Ryan White si muove per inseguire il viaggio di questa madre alla ricerca della propria figlia, sapendo quando fermarsi, e immortalare sguardi colmi di rimpianto e rimorso per qualcosa che poteva essere stato fatto, ma non è stato compiuto. Le interviste si alternano a un carosello di fotografie che vanno a intensificare la portata del racconto. Sono prove tangibili e visive di ciò che la mente recupera e la voce restituisce; istantanee di attimi colti per sempre che regista e montatore sfruttano a proprio vantaggio, incrementando il costrutto emotivo e l'avvicinamento affettivo con Cathy sulla scia di un corollario di ricordi condivisi da complici e aiutanti in questa ricerca costante di una ragazza perduta nel vuoto.
Parole brucianti, ricordi raggelanti
Per un caso rimasto bloccato per decenni, il documentario che lo racconta si veste di parole. Sono attacchi di una madre che invoca giustizia; frammenti di dichiarazioni da parte di chi doveva salvaguardare Aundria e che invece l'ha tradita; spiegazioni nozionistiche e dettagliate riguardo indizi da analizzare, e scoperte da assimilare; parole lasciate girare in circolo da voice over colmi di depistaggi, insicurezze, accumuli costanti di "ho sentito che", "si mormora che". E quando l'incuria di un'indagine rimane bloccata perché disinteressata dinnanzi a un caso di una ragazza apparentemente scappata di casa, tutto si raggela, e il microuniverso di Aundria si tramuta in un cold case. Ci vorrà dunque il fuoco di una madre combattiva a scongelare materiali archiviati, pagine vuote di un caso colmo di disinteresse, congelato, come la fotografia che avvolge le sequenze all'interno del commissariato, o le testimonianza dei detective.
Un racconto semplice ed efficace
"Un pitbull con il rossetto", così è stata definita Cathy, e in effetti nella donna brucia un ardore encomiabile, un coraggio che prende e investe tutto, anche a costo di superare certe limiti e sfiorare lo stalking. Perché una madre sa, una madre sente. E Cathy aveva da subito percepito chi potesse essere il presunto assassino della figlia. E non ci saranno ostacoli a limitarla, o mani che tenteranno di zittirla. La sua voce, grazie anche a White, adesso può arrivare ovunque, tanto da ridare giustizia anche a chi, come Kathleen Doyle, una giustizia sembrava non poterla avere. E anche se il racconto finirà per concentrarsi su Dennis Bowman (il patrigno di Aundria) prevaricando la figura di Aundria, in realtà quello compiuto da White è un cambio di rotta intelligente, costruito per permettere allo spettatore di entrare nella mente dell'assassino.
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Gioca sulla semplicità di racconto, Into the Fire: La figlia scomparsa, così da inserirsi con più facilità tra le intercapedini sensibili dell'animo dei propri spettatori. Nessuna incursione virtuosistica da parte del regista, dunque; nessuna complessa sovrastruttura di montaggio: tutto è facilmente leggibile; tutto si lascia scoprire e seguire con semplicità, anche dove di semplice pare esservi ben poco. Eppure, dietro a tale ricerca, ecco rivelarsi altro; come una scatola cinese, attraverso la scomparsa di Aundria, è possibile infatti tracciare i confini di un contesto storico colmo di negligenza, omertà e strati spessi di violenza tenuta nascosta nel contesto domestico. Una coperta di spilli che ti avvolge, spingendoti a scappare nel buio, rischiando di scomparire per sempre.
Se non sai, non puoi immaginare niente
Droni, telefonate, annunci e gruppi su Facebook: Cathy sfrutta la potenzialità della tecnologia per farsi nuova Sherlock Holmes. E la cinepresa di White è sempre lì, pronta sull'attenti a cogliere ogni sforzo, ogni tentativo compiuto dalla donna, svestendosi di quel voyeurismo macabro che tanto attanaglia la società contemporanea. Non vuole sfruttare l'onda del pietismo, o della sofferenza materna, Into the fire. Vuole solo farsi racconto di coraggio, di sfida a un sistema che ha tentato di tagliare le lingue, di assolvere i colpevoli, ridando la parola a chi non l'ha potuta esercitare per anni.
Conclusioni
Che Netflix sa puntare su documentari di rara qualità è ormai consolidato. A confermarlo ulteriormente è Into the fire, docu-serie in due puntate prodotta da Charlize Theron dove il coraggio di una madre riesce a fornire un giusto epilogo a un caso ormai dimenticato da anni come quello della figlia Aundria.
Un viaggio doloroso, dove la caparbietà di questa madre riesce a squarciare le distanze tra lei e lo spettatore, insidiandosi tra le intercapedini della propria anima. Un processo favorito dalla regia di Ryan White, mai intrusiva ma sempre esercitata su un ottimo gioco di distanze.
Perché ci piace
- L'uso delle fotografie che vanno a intensificare la portata emotiva delle testimonianze.
- La forza di una donna come Cathy.
- Il riuscire a non cadere nel facile pietismo, o nel campo del voyeurismo macabro.
- Partire da una storia individuale, per denunciare un'intera società soffocata dall'omertà.
Cosa non va
- La durata. Bastava un solo episodio con qualche taglio qua e là.
- Per quanto necessario ai fini del racconto, essersi concentrati troppo su Dennis può causare un po' di insofferenza nello spettatore.