Virzì da Los Angeles a Torino
Paolo Virzì sceglie l'Italia. Ce lo conferma in una lunga chiacchierata che parte a Los Angeles, al Cinema Italian Style, e finisce al Torino Film Festival, dov'è stato guest director e ha curato la sezione Diritti & Rovesci. Scegliere l'Italia per un regista significa essenzialmente una cosa: continuare a credere in un Paese che "cinematograficamente merita ed è molto vivo, nonostante i guai".
Ecco perché, malgrado il suo Il capitale umano sia nella rosa dei favoriti per la nomination agli Oscar come miglior film straniero, non ha al momento in programma di lavorare in America: "Per carità - risponde, con il solito umorismo - Se è vero che ogni film è un giocattolo per intrattenere la gente, da italiani abbiamo il privilegio di poter usare nostri giocattoli per proporre racconti di ampio respiro, mettendoci dentro i guai della vita e il dolore del mondo".
Lei non è un cineasta da studios, insomma.
Quel sistema lì, per quanto potente, lo sento distante. Ai miei amici e colleghi che si pongono il problema di libertà creativa e mentale, rispondo che mi sento un cittadino europeo: trovo che il cinema europeo oggi goda di molta forza.
Come lo spiega?
Vanta talenti importanti e vive di accordi e coproduzione: i cinema nazionali faticano tutti, hanno risorse molto limitate. Vedi Il capitale umano, per cui sono serviti capitali francesi, ad esempio. Il cinema moderno è il cinema degli autori europei che adopera i talenti in modo diverso, e fa emergere spesso nomi e volti potenti: lo star system oggi non è solo chi fa il red carpet a Hollywood, e non credo serva un altro Oscar italiano per dirlo.
L'Oscar? Il capitale umano ha già vinto
Il suo film dimostra che se c'è coraggio produttivo e voglia di guardare oltre la commedia facile si ottengono buoni risultati.
A livello di soddisfazioni, ma anche di incassi. Il nostro film è stato venduto in più di 40 paesi nel mondo. Impressionante. Il 16 gennaio uscirà in America, in Francia è andato benissimo, pur essendo uscito doppiato e con il titolo Les Opportunistes. E' la prova che in questo momento le nostre storie funzionano, anche quelle che in Italia faticano a uscire: vedi Salvo, conosciuto in tutto il mondo e molto meno in Italia.
Cinema a parte, avrebbe voglia di firmare una serie tv?
Perché no. Ma in Italia è difficile, perché c'è un solo canale, non c'è un vero mercato. Mi piacerebbe, come spettatore adoro le serie tv. Ovviamente non mi riferisco alla tv generalista, non mi vedo a firmare storie di santi. E per le web series, le seguo, ma credo sia giusto che ci si facciano le ossa i registi più giovani.