Presentato alla stampa italiana a una settimana dalla sua uscita nelle sale il nuovo bel film di Marco Tullio Giordana: Quando sei nato non puoi più nasconderti. Presenti all'incontro, oltre il loquace e disponibile regista e il giovane sorprendente protagonista Matteo Gadola, l'autrice del libro che ha ispirato la pellicola Maria Pace Otteri e gran parte del cast, partecipi di un divertente e spontaneo scambio di opinioni su quale sarebbe dovuto essere il finale del film.
Qual è la molla principale che l'ha portata a girare questo film? Marco Tullio Giordana : Principalmente la voglia di dire qualcosa sull'Italia di oggi, o meglio uno dei tantissimi pezzi dell'Italia di oggi. Prima di questo film avevo raccontato gli anni '70, inizialmente per aderenza temporale, essendo quelli gli anni dei miei esordi, poi per interesse personale come nel caso dei miei tre ultimi film. E' un decennio che da sempre mi interessa molto, ma stavolta sentivo l'esigenza di raccontare una storia su delle persone che vedo, conosco e mi incuriosiscono ma che molto di rado si vedono al cinema. Mi interessava chiedermi cosa pensano, cosa vogliono e come vivono queste persone senza fornirne una stereotipizzazione semplificatoria, televisiva per intenderci. E' importante avere questo tipo di curiosità, genera il voler raccontare una realtà senza mai sentircisi superiori ma amandola, perché ogni personaggio ha qualcosa di particolare ed interessante da raccontare.
Scegliendo di vedere la storia dagli occhi del bambino, ha dovuto rinunciare a molte cose? Marco Tullio Giordana : Assolutamente no, non ho dovuto rinunciare a nulla. Scegliere di vedere le cose e la realtà dal punto di vista di un ragazzo di dodici anni significa scegliere di privarsi di qualsiasi sociologia e ideologia e trovo che questo sia solo che un vantaggio per illustrare qualcosa. Un altro punto di vista ce l'avrebbe spiegata quella situazione, rendendola una spiegazione. Il cinema non deve spiegare ma raccontare, quando non fa questo diventa pretenzioso e pecca di falsa coscienza.
E per quanto riguarda i distinguo con il libro? Maria Pace Otteri: Ce ne sono e moltissimi essenzialmente perché il mio libro non è un romanzo ma un reportage narrativo sul fenomeno della clandestinità. E' conseguente quindi, che ha fornito solo una suggestione, un input creativo a Marco Tullio che l'ha trasformato in questa bellissima storia. Io credo fermamente, che l'emigrazione possa essere considerata come l'epica dei nostri giorni. C'è un materiale narrativo biografico assolutamente sconfinato ed inesauribile dietro queste storie ed il cinema non può assolutamente non accorgersene.
Ha mai temuto che il tipo di tematiche del film fossero a rischio di retorica? Marco Tullio Giordana : : La dimensione del retore che consapevolmente so che accresce con l'invecchiamento la respingo assolutamente e la aborrisco. La retorica è solo un modo per nascondersi non per raccontare e l'unica possibilità per affrancarsene sta nella secchezza dello sguardo, nel gettarsi completamente nella realtà, in modo da trovare una mediazione tra una certa antiretorica un po' di maniera tipica dei giovani e la tragica dimensione del vecchio trombone che emette sentenze. Sotto questo aspetto il libro di Maria ha esercitato un valore fondamentale nella scrittura del film, molto più di quanto lei modestamente si è attribuita.
Ci dice qualcosa riguardo la citazione musicale da Lezioni di Piano? Marco Tullio Giordana : E' stato un episodio molto particolare su cui la mia partecipazione è praticamente nulla e si è limitata all'espressione di un consenso. Montando con Roberto Missiroli la scena in cui Sandro grida disperato in mare aperto, mi sono reso conto di quanto potesse essere straziante. Specie per chiunque abbia un figlio, l'idea di essere inconsapevoli della tragedia che sta vivendo fa troppo male e quindi ho lasciato tutta la scena a Roberto che ha scelto anche la musica. Una volta vista la scena, ho capito non avrei più potuto mutarla minimamente, quel commento sonoro è straordinario per simboleggiare l'inabissamento, il perdersi, la voglia di farla finita.
Deve essere stata dura anche da girare quella scena, specie per Matteo, hai avuto paura? Matteo Gadola: Quando mi è stato detto che dovevo girare questa scena in mare aperto mi sono un po' preoccupato in effetti. Era decisamente fuori dal mio quadro, dall'idea di quello che mi ero presupposto di fare nel film. E' stata dura, ma Marco è sempre stato con me in acqua a supportarmi. La cosa più imbarazzante era però il silenzio nel quale dovevo gridare come un matto, tanto che ho perso la voce per una settimana.
Ci dice qualcosa sul finale del film. E' vero che non è quello inizialmente stabilito? Marco Tullio Giordana : Assolutamente vero. Il finale originale era molto più drammatico e comprendeva anche una strana colluttazione tra i tre protagonisti della scena. Nonostante fosse drammaturgicamente perfetto e chiudesse il film in modo ineccepibile non lo sentivo mio. Trovo, che avrebbe reso la storia troppo estrema e così sopra le righe da non essere più il paradigma di niente; sarebbe diventato un ottimo noir probabilmente, ma troppo dimostrativo nel voler spiegare tutto, senza riuscire a comunicare la mia vera esigenza. D'altronde io volevo dare una speranza e riporla nei giovani, non dimenticando però che non si può chiedere a degli adolescenti di fare ancora di più che di ribellarsi dal destino. Tocca agli adulti poi incanalare e saper sfruttare questa ribellione.