Ammettiamolo: girare un film di fantascienza dopo il 1969, anno d'uscita del capolavoro di Stanley Kubrick, 2001 Odissea nello spazio, era un atto di coraggio da non sottovalutare, non tanto per la paura, lecita, di un confronto, ma piuttosto per una manifesta difficoltà a dire qualcosa di nuovo su di un argomento analizzato così profondamente dal grande regista del Bronx. E' lo stesso Steven Spielberg ad ammettere, vent'anni dopo, che la sua scelta fu qualcosa di simile ad un azzardo.
"Non so se 2001: a space odissey mi abbia più ispirato o intimidito: era un tale capolavoro!"
Spielberg era a tal punto ossessionato dal capolavoro kubrickiano, da decidere di proiettarlo a più riprese prima e durante la lavorazione del suo Incontri ravvicinati del terzo tipo, quasi volesse inculcare alla troupe la "esemplare plasticità" del film di Kubrick, quella sorta di perfezione plastico stilistica che la pellicola sfoggiava nel più impeccabile dei modi.
Quando Spielberg arrivò in Inghilterra, nel marzo del 1978, per promuovere il lancio di Incontri ravvicinati del terzo tipo, confidò ad un giornalista che il motivo principale della sua visita non era incontrare la regina ma piuttosto incontrare Kubrick, con il quale passò la giornata.
Kubrick e Spielberg dimostrarono però di aver ben poco in comune. Il secondo impersonificava la generazione di cineasti del dopoguerra, la cosiddetta New Hollywood. Cresciuti coi fumetti, la televisione e i fast food, erano alla ricerca di risposte facili e di ritmi più rapidi. Il loro emblema era lo story board, con cui ogni film veniva pre-visualizzato e pre-visto come fosse un fumetto. Kubrick, formatosi in una scuola diversa, non usò mai gli story board. Egli si chiudeva per mesi in sala di montaggio, ponendosi di fronte alla propria visione più come un pittore rinascimentale che come un fumettista. Con così poche basi in comune, la relazione tra Kubrick e Spielberg, che cominciò all'insegna della cordialità e del mutuo rispetto, si sarebbe incrinata durante la post produzione di Shining, quando Spielberg si trasferì nello studio appena utilizzato da Kubrick, per girare il suo nuovo film I predatori dell'arca perduta.
Ciò che successe, l'episodio che incrinò il rapporto tra i due registi, è curioso e degno di nota.
Per girare alcune scene de I predatori dell'arca perduta, Spielberg utilizzò migliaia di serpenti, che fece portare in studio e porre in grosse vasche, per poi gettarli, a centinaia, sopra la finta sabbia che aveva fatto portare sul set. Vivian, la figlia diciottenne di Kubrick, grande amante degli animali, si accorse che i serpenti venivano maltrattati e che alcuni di essi erano addirittura morti durante la ripresa di quelle scene. Per nulla preoccupata dal fatto che Spielberg stesse girando, salì sulla piattaforma dove era montata la cinepresa e domandò al regista se pensava alla salute dei rettili. Spielberg le assicurò che non c'erano problemi, e che se ce ne fossero stati lui aveva troppo da fare per preoccuparsene. Non ci si sbarazza così facilmente di nessun Kubrick. Infatti Vivian chiamò la protezione animali e la produzione de I predatori restò bloccata fino al giorno seguente, quando i serpenti vennero posti a piccoli gruppi in vasche pulite e piene di lattuga. Lo scandalo giunse alle orecchie di Stanley Kubrick, uomo semplicemente ghiotto di scandali. Il giorno seguente egli si recò negli studi per difendere la figlia e ci fu la rottura (non definitiva, visto il seguito e la collaborazione per il recente Artificial intelligence) tra Kubrick e Spielberg. Il montatore di Shining Gordon Stainforth, ricorda che Kubrick, fumando il sigaro e sogghignando, disse semplicemente:
"Steve è un coglione".
La rottura tra Spielberg e Kubrick fece rumore, tanto che, poco dopo, cominciò a girare una barzelletta che faceva pressappoco così:
Spielberg è morto e si presenta in Paradiso. Viene bloccato ai cancelli dell'Eden da San Pietro e gli viene impedito di entrare. "Ma come!" sbotta Spielberg, "E perché non potrei entrare?!". "Vede" gli sussurra San Pietro, "Dio non ama i registi". Proprio in quel momento passa di lì in bicicletta una squallida figura, in pantaloni di tela lerci e scarpe da ginnastica bucate. "Ehi" domanda Spielberg, "Ma quello non è Stanley Kubrick?!". San Pietro lancia al ciclista uno sguardo preoccupato. "No" risponde, "E' Dio. Solo che è convinto di essere Stanley Kubrick"
Spielberg e Kubrick. Incontri ravvicinati e 2001. Mai due film furono così diversi. Il capolavoro di Kubrick non era affatto un film incentrato su "mondi altri", su vita extra terrestre, su UFO, alieni: il suo era un film piuttosto "antropocentrico", un film sull'uomo e sul suo sviluppo, sul progresso, sulla religione (il monolito nero, tema ricorrente del film), sulla spersonalizzazione dei rapporti umani e sull'introduzione corposa della tecnologia nella vita, sull'umanizzazione della stessa tecnologia che rischiava di diventare - ed in effetti accadeva questo, nel film - qualcosa di ancor più malefico dell'essere umano, qualcosa che poteva ritorcersi contro chi l'aveva ideata pensando unicamente al proprio benessere. Il film di Kubrick era un abisso di domande, d'interrogativi sull'uomo. Era, forse, un monito. Un monito ed una speranza: che alla fine del suo ciclo, la vita avesse comunque la meglio su qualunque altro evento.
Incontri ravvicinati del terzo tipo non è niente di tutto questo. E' altro e, proprio per questo motivo, per la sua distanza dal film di Kubrick, è un grande film, che non richiama affatto il paragone. La bravura di Spielberg - giovanissimo all'epoca, non dimentichiamolo - sta in questa sua volontà di fare una storia diversa. Il film di Spielberg non si addentra in questioni profonde e lancinanti come l'analisi del uomo nel suo progresso, esso rimane al di fuori - da quel di fuori giungono gli extra terrestri - dell'uomo, pur analizzandone il comportamento dinanzi a qualcosa d'inspiegabile, di enorme, di "diverso". Il film di Spielberg è più simile ad una favola.
E' una favola, lieto fine incluso.