Recensione Salvate il soldato Ryan (1998)

Spielberg ci porta nel mezzo di una battaglia e ci descrive il vero aspetto della guerra.

In guerra per trenta minuti

Steven Spielberg è un regista in grado di far provare emozioni molto intense: che sia stupore, commozione, orrore, sgomento, sa presentare i fatti in modo da sottolineare ed enfatizzare la potenziale carica emotiva che trasportano.
Salvate il soldato Ryan non è da meno, anche se, vedremo, l'operazione è riuscita solo in parte.

Il film si svolge nei giorni successivi l'invasione degli alleati in Normandia, nella Seconda Guerra Mondiale, e in particolare si concentra su una missione di recupero di un singolo soldato, il Ryan del titolo, i cui tre fratelli sono stati uccisi in guerra.
Dopo una breve sequenza introduttiva, Spielberg ci porta direttamente dentro la guerra: siamo sulle navi cariche di soldati che stanno per sbarcare, qualcuno prega, qualcuno vomita, gli ordini vengono urlati, accompagnati da un profetico e realistico "Dia sia con voi".
Poi lo sbarco ed inizia il vero inferno di una battaglia: spari, urla, corpi che saltano in aria, un soldato che vaga alla ricerca del suo braccio, un altro che tenta disperatamente di tener dentro i suoi organi interni, alcuni trascinano i compagni caduti... Spielberg non ci risparmia niente e sottolinea l'intera sequenza con una regia perfetta, confusa perché è la stessa battaglia ad esserlo, ma lineare e arricchita da trovate di grande effetto.
Al termine dello sbarco, la cinepresa si calma e vola sulla distesa di corpi e l'acqua del mare rossa.
Sono passati trenta minuti dall'inizio del film, ma ci sembra di aver vissuto in prima persona l'intera battaglia.

Da qui in poi, il film cambia di ritmo.
La regia di Spielberg resta accorta e precisa, ancora ricca di sequenze ben riuscite e fotografate elegantemente da Janusz Kaminski, ma non riesce ad eguagliare l'impatto della prima mezz'ora.
Per dirla sinteticamente, le rimanenti due ore e passa di film soffrono di una eccessiva lentezza in alcuni passaggi, dosi eccessive di sentimentalismo in alti, e di una scontata ed eccessiva enfasi nel suo essere americano.
Questo ultimo punto è forse il più fastidioso, con la bandiera americana presentata in apertura e chiusura e la storia interamente incentrata sul punto di vista americano, e non solo nei fatti, cosa giustificata dallo svolgimento del plot, ma anche e soprattutto nello spirito.
I rimanenti due difetti diventano fastidiosi solo laddove occorrono contemporaneamente: la lentezza si avverte con fastidio nella parte centrale, laddove anche il sentimentalismo supera gli argini e le si mescola in due o tre scene che avrebbero necessitato di essere riviste, forse riscritte con dialoghi più asciutti.
I venti minuti finali perdono questa patina che offusca la fascia centrale del film e tornano ad essere freschi e diretti con vitalità.

Gli attori fanno bene il loro dovere, capitanati da un buon Tom Hanks, anche se non al suo meglio assoluto, accompagnato da un convincente Tom Sizemore e da un cast che in generale non delude.
Forse un po' tutti soffrono di alcuni dialoghi poco efficaci, e quindi di una sceneggiatura farraginosa nella sua parte centrale.

Bella ed efficace la fotografia di Kaminsky per tutta la durata del film, con i suoi colori spenti e scelte stilistiche sempre adatta alla situazione.

Nonostante le sue imperfezioni, Salvate il soldato Ryan non è un brutto film: gli va dato il merito di essere uno dei più duri e realistici affreschi di ciò che è una guerra, con quei suoi trenta, intensi, crudi, minuti iniziali. Resta il rammarico per un'occasione mancata, per un discreto film che avrebbe potuto diventare un capolavoro con poco sforzo, più equilibrio e qualche sequenza affrontata con maggior dinamismo.

Movieplayer.it

3.0/5