Stiamo pensando la stessa cosa che pensate voi: anche stavolta sono riusciti a fregarci. Anche stavolta - forse anche più che nelle altre occasioni - Il trono di spade, questo show senza pietà, è riuscito a prenderci in contropiede, a farci sentire illusi, e poi traditi, e poi lacerati. Ad Aspra dimora (Hardhome), probabilmente l'episodio più bello ed eccitante dell'intero corso dello show, sono succeduti due episodi densissimi, sconvolgenti, caratterizzati da un colpo di scena dopo l'altro e da un senso di tragedia irrevocabile che in qualche caso ci induce a chiederci perché ci infliggiamo tutto questo. La risposta non è poi tanto bizzarra: perché questa storia ha una bellezza terribile, ipnotica, che turba l'animo ed esalta lo spirito: quello che in teoria della letteratura si chiama sublime.
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Ma non prendetela come un'iperbole (o, francamente, prendetela come vi pare): è una valutazione critica rivolta all'individuazione di un effetto ricercato. Ne La danza dei draghi (5x09), ad esempio, i nostri autori sono riusciti a mostrarci il ritratto esaltante di una giovane regina riempire di ammirazione i suoi sudditi, subito dopo averci mostrato un padre bruciare viva la sua bambina; è chiaramente un effetto voluto attraverso la struttura delle singole stagioni, con una costruzione lenta e meticolosa della tensione che esplode negli ultimi episodi del ciclo con effetti scioccanti e perturbanti. Questa ricerca del sublime ha portato a qualche forzatura, a qualche momento involontariamente grottesco in passato; ma quando fa centro, come in questo caso, è l'elemento che rende assolutamente unico il trono di spade, capace di spingersi oltre anche alle maestose atmosfere shakespeariane dei momenti più alti di Breaking Bad.
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La tragedia di Stannis
La morte di Shireen Baratheon è uno dei peggiori pugni nello stomaco della storia di questo implacabile serial, e a quanto pare ai pugni nello stomaco non si fa mai l'abitudine. C'era stata una scena, già nel quarto episodio di questa stagione, I figli dell'arpia, che doveva metterci in allarme: il presunto "ingentilimento" dell'animo d'acciaio di Stannis non era fine a sé stesso, serviva a preparare il sacrificio ultimo a cui la sua ossessione l'avrebbe condotto, attraverso la malia irresistibile della Donna Rossa. Nulla di buono può venire dalla morte di Shireen, non solo perché Stannis si macchia del mostruoso omicidio di un'innocente, ma perché cancella la propria discendenza, rendendo vana un'eventuale ascesa al trono tanto agognato. Così, mentre Melisandre ancora s'illude vedendo il ghiaccio sciogliersi, noi sappiamo già - prima ancora di conoscere i veri frutti di quel sacrificio, le diserzioni nell'armata, il suicidio di Selyse (Lady Macbeth redenta laddove Mel invece fa una pessima figura dandosela a gambe prima della battaglia, ma, come vedremo, ci servirà a Castello Nero) - che versare il sangue di Shireen è stato la rovina definitiva di Stannis Baratheon.
Anche lui sembra comprenderlo con la fuga di Melisandre, ma il suo orgoglio lo costringe all'ultima follia, lanciare il suo sparuto esercito contro l'armata, molto più possente, di Ramsay Bolton. Stannis è Stannis fino alla fine, di fronte a quell'inattesa visione, la guerriera che ha giurato di vendicare il giovane Renly: "Fà il tuo dovere", dice Stannis a Brienne. Non vediamo la lama calare su di lui, ma in ogni caso, se anche Brienne decide di risparmiarlo per avere forse un aiuto in soccorso di Sansa, l'epopea di Stannis Baratheon, erede legittimo al trono di Approdo del Re, finisce qui.
Ma mentre si consuma la tragedia di Stannis nella piana di fronte al castello, a Grande Inverno viviamo l'unico momento di consolazione dell'intero episodio finale: la morte di Myranda per mano di Theon, dopo la disperata escursione di Sansa fuori dalla sua cella. Per lui c'è un'insperata redenzione (che, diciamocelo, non avrebbe avuto la stessa forza se l'avesse fatto per salvare un personaggio secondario, come avviene nel romanzo A Dance with Dragons) per Sansa c'è una nuova speranza, che ha l'efficacia scenica di un salto nel vuoto, e l'affermazione decisa della sua dignità. In tanti ancora lamentano la "passività" di Sansa Stark; la sua incapacità di reagire fisicamente agli eventi che la travolgono; la sua strada non è quella di Arya, ma continua ad avanzare.
Se devo morire, che succeda mentre c'è ancora qualcosa di me
La regina degradata
Il titolo dell'episodio finale La misericordia della Madre (Mother's Mercy, 5x10) fa riferimento alla "misericordiosa" apertura della Fede nei confronti della pentita (si fa per dire) Cersei Lannister: piegata, ma non spezzata dalla dura prigionia, la regina madre si decide a confessare, ammettendo di aver avuto rapporti extraconiugali con il cugino Lancel (ma non che il fratello è il vero padre dei suoi figli). L'Alto Passero/ Septon le concede di tornare alla Fortezza Rossa in attesa del suo processo, ma non prima di aver subito una punizione esemplare.
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La scena, potentissima, è uno dei momenti della quinta stagione in cui lo show ha reso al meglio la forza delle pagine di George R.R. Martin (che si è ispirato, per l'ordalia di Cersei, a un fatto storico, la sorte che toccò alla nobildonna Jane Shore, amante di Edoardo IV, nel quindicesimo secolo), ma è stata anche una delle più lunghe e ardue da girare: non solo per Lena, tra l'altro incinta, ma per l'intera produzione, che ha affrontato ritardi, ostacoli e ovvie difficoltà logistiche. Ne è valsa la pena: perché potrà sembrare poca cosa, ma ciò che subisce Cersei in quel lungo cammino dal tempio al castello è traumatico moralmente, psicologicamente, fisicamente; è una rappresentazione realistica e intollerabile del modo in cui la società ha degradato e degrada le donne, con o senza corona, per aver fatto ciò che vogliono del proprio corpo.
Ancora una volta Lena Headey offre una prova magnifica, trascinandoci passo dopo passo nell'abisso della vergogna di quella che è stata la donna più ammirata e invidiata dei Sette Regni. Spogliata dell'oro dei suoi capelli e del fasto dei suoi abiti, dei colori della sua casata e delle vestigia del suo potere, Cersei fa i primi passi cercando di non perdere la propria fierezza, ma alla fine è per la prima volta solo una donna umiliata, sola, inerme. Che trova però un mostruoso cavaliere che attende di soccorrerla, gentilmente offerto dalle arti magiche di Qyburn.
Arya e l'orrore della vendetta
Se Sansa riesce a non sporcarsi le mani per fuggire da Grande Inverno, Arya a Braavos prende in mano il proprio destino nella maniera più violenta e sanguinosa quando mette in atto un piano di vendetta nei confronti del "primo nome della sua lista", Meryn Trant, membro della Guardia Reale di Re Tommen, che avevamo già visto maltrattare e picchiare Sansa nella seconda stagione, spedito sull'isola per far da scorta a Lord Mace Tyrell e qui dedicatosi alla piena soddisfazione delle sue orride perversioni. Ma come per le colpe di Cersei la penitenza inflitta dalla Fede appare sproporzionata anche per una donna colpevole e crudele, così l'infierire di Arya su Ser Meryn trasforma lei nell'essere più abietto tra i due.Qui Arya passa il segno: non è più assassina per necessità, come è stato nelle precedenti occasioni, non è più soltanto sprezzante, come quando ha negato il suo Dono all'uomo disperato che l'ha protetta cercando di restituirla alla sua famiglia. Arya è psicotica. E' una forza oscura, distruttiva, e inquietante, a sua volta punita per il suo gesto con l'ennesima atrocità: uno dei tanti shock di Mother's Mercy e il passaggio ad una nuova fase dell'addestramento che sembra destinato a trasformarla nel più letale agente del Dio dai Mille Volti.
Daenarys, il trionfo e la fuga
Non può mancare, in questo ultimo scampolo di stagione, almeno una scena di una certa grandiosità epica dedicata a Daenerys Targaryen, la madre quei draghi che sono il baluardo finale delle sorti di Westeros. Ne La danza dei draghi lo show ci offre una delle sue sequenze più complesse e ambiziose, che impallidisce solo a confronto con gli impareggiabili venti minuti finali di Hardhome. Questa scena è anche il momento più significativo della stagione per Emilia Clarke e Iain Glen: se a lui viene chiesta una prova fisica notevole (e se la cava al livello dei migliori spadaccini dello show), Emilia lavora sulle espressioni del volto per comunicare le contrastanti emozioni - la sorpresa, la rabbia, l'affetto, l'angoscia - che lo spettacolo a cui assiste le trasmette; anche se, dopo la sanguinosa rivolta dei Figli dell'Arpia, l'importanza dell'atto di salire in groppa a Drogon ci viene trasmessa più efficacemente dalle espressioni di Tyrion, Daario, Jorah e Missandei, per uno dei rarissimi momenti di euforia della parte finale di questa stagione.
Il paradosso di Jon Snow
E veniamo all'ultimo, più sconvolgente addio, l'evento che ha seminato sconforto e disperazione tra i fan de Il trono di spade. Questa quinta stagione è stata trionfale per Jon Snow/ Kit Harington: l'abbiamo visto trionfare sulle proprie debolezze, diventare Lord Comandante, sforzarsi di trovare una soluzione ragionevole e produttiva per gli attriti tra I guardiani della Notte e il Popolo Libero, brandire con risolutezza Lungo Artiglio e uccidere il suo primo Estraneo. L'abbiamo visto diventare il condottiero di cui un mondo sull'orlo della distruzione ha bisogno per aggrapparsi a un'ultima, forse illusoria ma preziosa speranza. E invece.
Il tradimento non giunge del tutto inaspettato: il personaggio del piccolo Olly era stato utilizzato per dare un volto "umano" allo scontento e all'inimicizia di molti Guardiani verso il loro Lord Comandante amico dei Bruti, instillando un sottile senso di minaccia. Jon stesso si rende conto dell'ostilità che lo circonda. Ma il momento dell'agguato arriva comunque inaspettato, coglie noi e lui con la guardia bassa, e il risultato è devastante. Non solo perché Jon è l'ultimo eroe, un personaggio che, con il suo valore e la sua purezza, è stato capace di conquistarsi l'affetto degli spettatori stagione dopo stagione, ma per la studiata irrevocabilità con cui la scena è girata.
Il sublime, dicevamo all'inizio. Come illustrarlo meglio se non con l'immagine di un ragazzo valoroso, giovane, bellissimo, che guardiamo increduli spirare in un lago di sangue? Nell'estetismo studiato di quest'ultima inquadratura, e nella tremenda gravità di questa morte noi vogliamo vedere nonostante tutto una speranza. Ghiaccio e fuoco. Fuoco e sangue.
C'è il sangue e c'è il ghiaccio, e, con Melisandre, il fuoco: il dio della luce R'hllor, le cui profezie che hanno portato Stannis alla rovina ma che potrebbero mostrarci il destino del vero campione della Luce, l'eroe della Lunga Notte, il nuovo Azor Ahai. Ne riparleremo a breve in un nuovo articolo, per cui, se volete, restate a vegliare con noi. Perché, vada come vada, la sua Guardia si è conclusa.
Movieplayer.it
4.5/5