Un uomo, ex poliziotto con alle spalle un'esperienza drammatica, esce dal carcere dopo 20 anni e inizia ad avere delle visioni. Il solo contatto con gli oggetti gli fa vedere avvenimenti non ancora realizzatisi, o meglio, propositi e progetti delle persone a cui quelle cose sono appartenute. Propositi negativi e distruttivi, in genere. Così Basilio, già poliziotto e poi detenuto per una triste storia di vendetta, ora restauratore in una bottega del centro di Roma, deve decidere se ignorare questo "dono" o metterlo al servizio degli altri.
E' facile, con una trama del genere, pensare al romanzo di Stephen King La zona morta e ai suoi derivati cinematografici e televisivi: tuttavia, la nuova fiction diretta da Giorgio Capitani e Salvatore Basile, con protagonisti Lando Buzzanca e Martina Colombari, sviluppa il tema in una direzione diversa e dal carattere più specificamente locale, presentando un intreccio di mistery, poliziesco e commedia in cui a farla da padrone è il carisma, e l'inesausta vocazione al bene, del protagonista.
Questo nuovo Il restauratore, che andrà in onda su RaiUno in sei serate settimanali (di due episodi ognuna) a partire da domenica 8 gennaio alle 21.30, è stato presentato in conferenza stampa dai due registi, da gran parte del cast, dal produttore Alessandro Jacchia e dalla responsabile di Rai Fiction Paola Masini.
E' stata proprio la Masini ad aprire l'incontro con i giornalisti, inquadrando il nuovo prodotto nella linea della recente produzione fiction delle reti del servizio pubblico: "Nel 2011 abbiamo avuto una tendenza positiva, con le fiction Rai che hanno ottenuto grandi risultati confermando una fidelizzazione del pubblico. Voglio ringraziare pubblicamente tutti coloro che lavorano in questo settore, perché nonostante le difficoltà dovute alla crisi economica e alla conseguente riduzione dei budget, hanno fatto in modo che la qualità dei prodotti non subisse contraccolpi. Questo prodotto è un ottimo esempio di quanto ho appena detto, una conferma. Iniziamo così un anno che si presenta molto difficile, con una fiction di grande qualità. Per noi, la fiction resta un elemento strategico nei palinsesti, e la qualità è un valore: valore produttivo, di cast e registi e di confezione; ma la precondizione è la qualità di ideazione e scrittura, e ritengo che il punto di forza di questa serie sia proprio la storia, scritta da sceneggiatori ed editor giovani e di talento. La serie propone dei valori umani attraverso il quale rivela la sua vocazione a rivolgersi ad un pubblico generalista e trasversale: il fulcro è la generosità del protagonista, che rinuncia al quieto vivere per aiutare gli altri, quasi come un impulso irresistibile. Quello di aiutare gli altri è un valore universale di cui oggi abbiamo molto bisogno. Inoltre, il racconto è costruito secondo uno schema classico che è quello del giallo, arricchito dal "dono" di Basilio, specialissimo detective che indaga l'anima umana attraverso gli oggetti, rimettendo ordine nell'esistenza; non scovando i responsabili dei delitti, ma evitando che altri reagiscano con la vendetta ai torti subiti."
Buzzanca, per lei questo è stato un ruolo non semplice, quello di un personaggio a cui viene data una possibilità di riscatto.Lando Buzzanca: Non è solo questo. Quando mi è stato proposto, questo ruolo mi aveva preoccupato molto, visto che io non credo nel paranormale, lo considero una menzogna. Mi sono chiesto come fare a interpretarlo, come riuscire a credere nel personaggio. Lui si vendica di due criminali che gli uccidono la moglie, e così si fa 20 anni di carcere; in prigione impara l'arte del restauro, ma si porta dietro un dolore lancinante, disperato: la morte non solo della moglie, ma della famiglia tutta, visto che la donna stava per dargli un figlio. Il dolore però gli procura una catarsi, diventa energia: questa è quella che chiamerei miracolistica laica. Secondo me, non sono i "guaritori" che spesso fanno star meglio le persone, ma l'energia sprigionata dalle persone stesse. Basilio subisce uno "shining", una luccicanza, una parola che trovo bellissima: lui vede un crimine che si sta per verificare toccando un oggetto. La sua umanità lo invita ad adoperarsi, e lo vediamo agire con passione, sentimento ma anche ironia. Tutto è stato raccontato con grande umiltà, ho cercato di non mettere l'accento sul paranormale ma di dare al personaggio una fede laica, con alcuni fondamentali principi: quello che la vendetta colloca tra i criminali e non restituisce il bene sottratto, quello della condanna dell'indifferenza, per cui mi sono rifatto a uno scritto di Gramsci che stigmatizzava chi gira la testa dall'altra parte, e quello dell'abnegazione, della rinuncia a se stessi per amore della famiglia e degli altri. Il tutto è stato raccontato con il sorriso, perché in questo modo si ha più probabilità di essere ascoltati. A mezzanotte di domenica sapremo se ha funzionato, se il pubblico ha reagito come speriamo.
Alessandro Jacchia: Aggiungerei che il nostro scopo era raccontare il terzo occhio, una percezione particolare che, credo, tutti abbiamo. Tutti noi dovremmo essere più sensibili agli eventi e alle difficoltà di chi ci sta intorno: se così facessimo, di persone come il protagonista ne troveremmo di più. In fondo, è l'uomo in sé che è sensibile, è la sua natura. Martina Colombari, come descriverebbe il rapporto del suo personaggio con il protagonista?
Martina Colombari: Lei è proprietaria di questa bottega, per lei il restauro è la vita, la sua linfa ed energia. Non ha praticamente nessuna vita privata, e trascura del tutto i sentimenti fino all'arrivo di Basilio: quello che inizialmente è un semplice lavorante, che però ha queste visioni, questo dono da cui lei è spaventata. E' un rapporto che da collaborazione diventa amicizia, e allora anche lei inizia ad aprire gli occhi e a vedere che ci sono altre persone intorno a lei: è allora che cerca l'aiuto di Basilio. Se posso usare una parolaccia, Maddalena è una donna cazzuta, una dei giorni nostri che sa quello che vuole. Ma la sua apparente forza mostra una grande fragilità nascosta. Credo che questa componente sia venuta fuori, che siamo riusciti a ricrearla bene: per la prima volta ho interpretato una vera donna, non una semplice ragazza con gli occhi azzurri.
Capitani, questa è una storia forte e potente, per molti versi insolita.
Giorgio Capitani: Io finora ho sempre fatto i film, cinematografici e televisivi, che avrei voluto vedere come spettatore; quando mi hanno proposto questo progetto ho sentito subito una piccola scintilla. Qui ho avuto delle sceneggiature che mi sono piaciute subito, e abbiamo messo insieme un cast su cui tutti eravamo d'accordo: non c'è nessun attore che vorrei cambiare. Io sono uno che ama gli attori, e devo dire che oggi gli attori stessi non sono più solo interpreti, ma veri autori: quelli che ho avuto in questa fiction ne sono un perfetto esempio. Nella mia carriera, inoltre, mancava un mistery fiction come questo, e perciò l'ho fatto con molta gioia.
Basile, come si è interfacciato con Giorgio Capitani?
Salvatore Basile: Ricevere il testimone da lui non è stata una cosa facile, era una bella responsabilità. Alla fine però è stato tutto piuttosto semplice, anche se faticoso: questo grazie alla professionalità di tutti gli attori, ma anche della troupe. In un certo senso questa serie, con questa messa in onda, è come se avesse avuto anch'essa una luccicanza: ogni giallo è un po' un restauro, si parte da una situazione tranquilla, poi c'è un elemento che la sovverte e il detective che deve riportare la normalità. Basilio è un detective che deve "restaurare" le persone, e una storia del genere va in onda proprio in questo periodo, in cui è il nostro paese ad essere in restauro. Spero che questa fiction sia di buon auspicio anche in questo senso.
Alessandro Jacchia: Più che una nostra volontà, è stata una necessità di fatto: la storia è ambientata in gran parte nel centro storico di Roma, ma girare lì, in quei luoghi, per 7 mesi di seguito sarebbe stato impossibile. Abbiamo così deciso di ricreare le strade di Roma in un teatro di posa di Belgrado, e il risultato è stato soddisfacente. L'80-90% della fiction è stato girato lì.
Buzzanca, lei in base a cosa sceglie i copioni da interpretare? Lando Buzzanca: Dagli anni '70 ho sempre scelto personalmente i ruoli da interpretare perché ne avevo la possibilità, ma sceglievo anche precedentemente, quando non ero nessuno. Dopo aver interpretato Sedotta e abbandonata, per esempio, mi hanno offerto una parodia intitolata Sedotti e bidonati, con Franco Franchi e Ciccio Ingrassia; io ho detto ripetutamente di no, nonostante alla fine mi avessero offerto lo stesso caché di Franchi. Io oltretutto non lavoravo da diversi mesi, avevo bisogno di soldi, e alla fine mi sono buttato in ginocchio davanti al produttore dicendo "non me lo chieda più o finisce che accetto!". Quello alla fine ha rinunciato pensando che ero pazzo, probabilmente. Non ho voluto farlo per un fatto di etica: non volevo interpretare la parodia di un film in cui avevo appena recitato. In seguito ho rifiutato anche Rugantino, perché era una maschera romana mentre io sono siciliano: e poi alla fine chi l'ha fatto? Celentano. C'è chi tanti problemi non se li fa, evidentemente.
Ieri sera, una fiction andata in onda su Mediaset, e anch'essa incentrata sul paranormale, ha fatto 7 milioni di ascolti. E' l'indice di un momento particolare, in cui la gente è portata a credere in certe cose? Paola Masini: Non so, ma devo sottolineare che questa nostra serie, a differenza di quella di Mediaset, non ha un concept paranormale. Il restauratore ha piuttosto un elemento incomprensibile, ovvero la capacità del protagonista di guardare nell'animo; ma è una capacità che lui ha acquisito per il dolore che ha subito. Il dolore affina la sensibilità, questo succede a chiunque: noi, facendo fiction, ci siamo permessi di andare un po' oltre. La storia mi ha fatto pensare un po' a una commedia hollywoodiana, What Women Want: lì c'è un protagonista ferito che non riesce a stabilire un rapporto con le donne e poi, dopo una "scossa", acquisisce il dono di guardare nella loro mente. Ci sono delle affinità con la nostra storia. Certo, il successo della fiction di ieri è anche un sintomo che, in una fase di crisi, la gente è attratta da qualcosa che va oltre la sfera del razionale.
Buzzanca, ha mai avuto qualche dubbio sulla partecipazione a questo prodotto? Lando Buzzanca: Sì, sulla sceneggiatura ne ho avuti molti, spesso il copione mi portava fuori dal personaggio come me lo sentivo dentro. Non è il personaggio a sapere a memoria quello che deve dire, ma è l'attore che lo sa, e che deve rendere un personaggio caratterizzato invece da spontaneità: per far questo, bisogna raggiungere un equilibrio che richiede una grande preparazione, non è semplice.