Non sentivamo il bisogno di un nuovo film della saga de Il pianeta delle scimmie. Non ne sentivamo la necessità in primo luogo perché il ciclo di storie da poco concluso, andato avanti dal 2011 al 2017, era risultato compiuto in tutto e per tutto. In fin dei conti, e ce lo ha confermato anche Wes Ball nella nostra intervista, una trilogia è un qualcosa che percepiamo in automatico come completo, perché soddisfa la nostra esigenza di un inizio, uno svolgimento e una fine. Cose che abbiamo avuto con L'alba del pianeta delle scimmie, il suo seguito Apes Revolution e infine The War. Poi sono successe un paio di cose che hanno acceso i riflettori sul nuovo progetto, un quarto film che è in realtà un nuovo inizio: prima di tutto il regista Wes Ball è stato scritturato per dirigere l'adattamento di Zelda, facendoci incuriosire sul lavoro fatto per questo film in vista del progetto successivo, e non per ultimo è arrivato in rete un trailer che ci ha lasciato ben sperare. E ora che il film l'abbiamo visto e possiamo raccontarvelo nella nostra recensione, non possiamo che ritenerci soddisfatta dal risultato finale.
Nel nome di Cesare
La storia de Il Regno del Pianeta delle Scimmie si pone nel futuro rispetto al capitolo precedente, un futuro vago, definito solo da un generico "Molte generazioni dopo". Cesare non c'è più, le scimmie sono la specie dominante e vivono in armonia tra loro, mentre gli umani sono costretti a tenersi nell'ombra. Un contesto molto diverso da quello che avevamo lasciato, sullo sfondo del quale un nuovo leader emerge e cerca di costruire il proprio impero con metodi tirannici e tradendo il nome di Cesare a cui si ispira. In questo contesto si muove la storia di Noa, una giovane scimmia che inizia il proprio viaggio con intraprendenza, imbattendosi in un'umana che mette alla prova le sue idee e trovandosi a dover mettere in discussione tutto ciò che conosceva del passato, arrivando a dover fare delle scelte per poter ridefinire il futuro. Per se stesso, per le scimmie e per gli umani.
Guardare avanti
La scelta di spostarsi nel futuro rispetto ai capitoli precedenti, e di tenerlo un tempo non meglio definito, permette alla sceneggiatura di Josh Friedman di muoversi con molta libertà, di poter costruire l'ambientazione che fa da sfondo al racconto senza rigidi vincoli né col passato e la trilogia appena conclusa, né col futuro conosciuto nei film degli anni '70: il film di Wes Ball è un nuovo interessante inizio che in questo modo va a riempire una duplice caselle, sequel da una parte, prequel dall'altra. Il regno del pianeta delle scimmie si muove in modo agile in questo spazio che si è andato a creare da solo e con intelligenza, facendo da ponte tra due anime del franchise che abbiamo già conosciuto. E riesce a farlo raccontandoci una buona avventura, un viaggio che riesce ad appassionarci alle figure che lo compiono.
A cominciare da Noa, giovane scimmia che deve scoprire il mondo e mettere in discussione ciò che credeva di sapere, resa con profondità dal suo doppiatore Owen Teague e il team degli effetti visivi, un duplice lavoro, artistico e tecnico, che lo rende una figura tridimensionale, credibile, con cui è facile empatizzare. Questo sforzo nella costruzione visiva viene messo continuamente alla prova da Wes Ball, che non si tira indietro quando si tratta di osare sul piano dei mezzi da mettere in gioco e non rinuncia a mostrare a schermo un numero elevato di scimmie, e quindi personaggi totalmente creati in digitale, e altre importanti sfide per tutto il comparto tecnico.
L'umanità e la conoscenza
Il mondo de Il regno del pianeta delle scimmie è visivamente imponente nella sua decadenza, con scenografie e ambienti che trasmettono il senso di tempo passato, le "tante generazioni" a cui fa riferimento la didascalia iniziale: è il nostro regno ormai decaduto, pronto a diventare quello delle scimmie, abili ad attingere a ciò che trovano per sfruttarlo e farlo proprio. È un mondo di passaggio, ben rappresentato anche dai pochi personaggi umani, dalla Mae di Freya Allan al Trevathan di William H. Macy. Perché c'è umanità nel film di Wes Ball, al di là di loro, nelle scimmie e in una conoscenza che va preservata o conquistata. Perché è lì che risiede il vero potere: nella conoscenza, in quel sapere che rischia di decadere come il nostro mondo umano. Un monito che accogliamo in tempi che appaiono fin troppo di declino.
Conclusioni
Non ne sentivamo il bisogno, ma alla fine ci ha convinti: Il regno del pianeta delle scimmie è un buon film d’avventura che sfrutta il tempo passato dalla fine dei capitoli precedenti per costruire qualcosa di nuovo e personale, andandosi a collocare in quel vuoto narrativo che c’è tra la trilogia conclusa di recente e i classici degli anni ’70. Wes Ball riesce a creare l’atmosfera giusta e sfrutta buoni effetti visivi per tratteggiare il suo mondo che si colloca tra la fine dell’umanità e l’esplosione della civiltà delle scimmie, lasciandoci con la curiosità di vedere come questa storia tra essere sviluppata ulteriormente.
Perché ci piace
- La scelta di collocarsi in un tempo indefinito e lontano dai film visti di recente.
- Gli effetti visivi, che sanno costruire un mondo decadente, desolato e credibile.
- La recitazione dei (tanti) personaggi virtuali.
- I pochi personaggi umani, ben costruiti e calibrati.
Cosa non va
- Non tutti i passaggi della storia funzionano a dovere.
- Alcune riflessioni restano in superficie… ma potranno essere sviluppate in futuro.