Cannes, 2024. Notiamo un titolo che ci incuriosisce, Robot Dreams, che risulta in animazione ed è marchiato con leggerezza e superficialità come Kid Screening. Lo vediamo, lo apprezziamo, ci stupiamo della noncuranza con cui un grande evento come il Festival di Cannes possa ancora considerare un titolo come per bambini solo perché in animazione. Perché Il mio amico robot, questo il titolo con cui arriva da noi, è sì un film animato, ha sì uno stile che ricorda l'animazione per un pubblico per i più piccoli, ma è anche un film che tratta tematiche mature in modo profondo e compiuto, che riflette sui rapporti umani, sull'amicizia e la necessità di saper anche lasciar andare le persone a cui vogliamo bene. Sensazioni che il pubblico più giovane non potrà capire fino in fondo e di cui abbiamo parlato, proprio lo scorso anno a Cannes, con il regista Pablo Berger. Lo avevamo già conosciuto per il suo Blancanieves e Abracadabra, ma al suo terzo film è a un nuovo debutto: quello nel media animato. Ed è un debutto splendido, come vi abbiamo raccontato nella recensione de Il mio amico robot.
La genesi di Robot Dreams
Nella nostra chiacchierata con Pablo Berger abbiamo scoperto una persona gentilissima, disponibile, appassionata del proprio lavoro, e abbiamo iniziato la nostra chiacchierata proprio dalla genesi de Il mio amico robot e dal perché abbia scelto di adattare la graphic novel di Sara Varon e perché farlo proprio in animazione: "lessi la graphic novel e l'amai. Era divertente, sorprendente, ma più di ogni altra cosa arrivai alla fine del libro commosso, emotivamente coinvolto" ci ha raccontato. "Poi sono passati dieci anni. Ho fatto Blancanieves, ho fatto Abracadabra e quando mi sono trovato a dover fare un terzo film mi sono ricordato delle sensazioni provate leggendo quella storia. L'ho ripresa dallo scaffale, l'ho riletta e mi sono commosso di nuovo a fine lettura. Anche se non avevo mai diretto un film d'animazione, e non avevo mai pianificato di farlo, mi sono detto che se avessi voluto raccontare quella storia sarebbe potuto essere solo in animazione."
Robot Dreams, la recensione: un viaggio nei sentimenti e nella potenza espressiva dell'animazione
Il protagonista è infatti un cane antropomorfico che vive a Manhattan e si costruisce un robot per non stare solo. E il film racconta l'amicizia tra i due, sulla quale non vi anticipiamo altro. È però, in effetti, materiale per una storia da raccontare in animazione, così Pablo Berger si è detto che se avesse realizzato uno script che funzionasse, sarebbe riuscito a coinvolgere la casa produttrice con cui abitualmente lavorava, la Arcadia Motion Pictures, per poterlo finanziare. E così è stato, regalandoci quel piccolo grande gioiello animato che è Il mio amico robot - Robot Dreams. È stato necessario creare uno studio d'animazione, assumere molte persone, imparare le tecniche e tutto ciò che c'è di diverso rispetto al realizzare un film in live action. "È stata una sfida" ci ha detto, "ma come regista amo le sfide!"
Adattare Robot Dreams
"I personaggi della graphic novel sono molto semplici" ci ha spiegato Pablo Berger, "nell'adattarli abbiamo rifatto il protagonista ma abbiamo mantenuto la stessa semplicità". Un adattamento del character design, quindi, all'insegna della fedeltà. Laddove Berger ha aggiunto qualcosa di personale è nella location, in quella che lui chiama "il terzo personaggio, New York". "I fondali della graphic novel sono molto semplici e non è nemmeno dichiaratamente New York. Capisci che è quella città se la conosci, perché i posti sono quelli. Ho vissuto dieci anni lì e avrei sempre voluto fare una lettera d'amore a New York, la città in cui sono diventato un cineasta, dove ho incontrato mia moglie e sono cresciuto." E questo amore è palese guardando Il mio amico robot, che immerge lo spettatore nelle atmosfere cittadine con background molto puntuali.
"Lo scenografo, Jose Luis Agreda, è uno dei più grandi artisti spagnoli e ha messo tutto il suo mondo nei fondali del film. Abbiamo creato delle scenografie molto dettagliate in contrasto con i personaggi molto semplici. Questa è stata per me la chiave di tutto." Uno spunto che gli ha permesso di rendere personale la storia e l'adattamento. "L'opera di Sara Varon è molto semplice e mi ha permesso di aggiungere qualcosa di mio: nuovi personaggi, nuove scene, cambiare l'ordine. Ho avuto da parte dell'autrice carta bianca e supporto totale" pur non essendo direttamente coinvolta nella realizzazione.
La New York viva de Il mio amico Robot
Sentir parlare di "nuovi personaggi" ci ha stuzzicato la curiosità e non potevamo non chiedergli quanto si fossero divertiti a disegnare i tantissimi personaggi che appaiono in scena e sullo sfondo. "Il character designer è Daniel Fernandez, molto giovane e molto di talento. Ha lavorato in Klaus e o quattro o cinque film di Illumination. È bravissimo e ha creato migliaia di newyorkesi. Migliaia! Ogni personaggio è unico, ognuno ha la sua personalità, non ci sono due personaggi uguali. E quindi ci siamo divertiti tantissimo a farlo." Un lavoro stimolante sia per le figure di contorno che per i protagonisti: "hai la graphic novel e un riferimento preciso, ma devi renderlo tridimensionale, devi modificarlo in modo che sia pluridimensionale." Ed è stato un gran lavoro di squadra realizzare ogni aspetto di New York e del film in generale: "Fare un film animato è la stessa cosa di uno in live action per un regista. In live action dirigi gli attori, ma tutto il resto è uguale in animazione. Ho avuto tantissimi animatori al mio servizio che hanno disegnato senza sosta, perché si tratta di animazione tradizionale con 24 fotogrammi al secondo."
Animatori che sono andati a sostituire il lavoro con gli attori: "Gli animatori sono stati i miei attori in questo film. Gli animatori senior sono stati come degli attori, ho lavorato a stretto contatto con loro e proprio come per gli attori hanno differenti personalità: alcuni hanno bisogno di essere guidati in modo più preciso, altri hanno bisogno di più spazio per creare. Altri ancora hanno bisogno di fare più tentativi prima di arrivare al risultato. Da questo punto di vista è un lavoro che ha più in comune con le prove teatrali che col cinema, ha bisogno di un raffinamento continuo."
La scelta dello stile e degli anni '80
Pablo Berger non esclude di realizzare altri film in animazione in futuro, ricordando come altri colleghi che vengono dal live action ne abbiano realizzati più d'uno, come Wes Anderson o Richard Linklater, ma siamo curiosi di capire perché la scelta dell'animazione tradizionale invece della CGI: "è lo stile con cui sono cresciuto, quello che guardavo. Ho dei ricordi fantastici. Non parlo solo dell'animazione di Hanna-Barbera o Braccio di ferro, ma anche orientale come Heidi o le opere di Takahata, un tipo di animazione che mi toccava molto. Penso che da voi in Italia siano stati popolari come da noi in Spagna." La scelta è stata quindi naturale per il regista: "ci sono grandi film in CGI, e penso a Pixar o Spider-Man, ma volevo fare qualcosa che mi riportasse al passato."
A questa idea si deve anche il periodo scelto per l'ambientazione: non solo New York, ma la New York degli anni '80, quella in cui Pablo Berger è vissuto, con tutte le citazioni di cultura popolare del caso, da MTV a Pong o Pet Sematary di Stephen King. "Lo abbiamo trattato come un film storico: volevamo che ogni cosa fosse corretta. Le maniglie delle porte, gli interruttori, i pavimenti, tutto doveva sembrare autentico. Abbiamo cercato di renderlo il più preciso possibile. Sono un regista molto barocco, mi piacciono i fondali, mi piace la densità, mi piace l'idea che qualcuno possa guardare il mio film più volte e scorgere sempre nuovi dettagli o personaggi." E Il mio amico robot è un film da guardare e riguardare, non solo per le emozioni e le sensazioni che trasmette ma anche per questo motivo: incontrare ogni volta un newyorkese animato che ci era sfuggito alla visione precedente. E non vediamo l'ora di tornare a immergerci nella New York di Pablo Berger per farlo.