Un film "soave". Così Sergio Castellitto definisce Il materiale emotivo (in sala dal 7 ottobre), il suo settimo lungometraggio da regista e probabilmente anche l'ultimo: "Sono stanco, non ho più la smania di dover fare film, né la cazzimma di una volta", confessa raccontando la genesi di un'opera nata tre anni fa, prima della pandemia, da una sceneggiatura di Ettore Scola diventata una graphic novel "Un drago a forma di nuvola". Castellitto ne affida la riscrittura a Margaret Mazzantini, rinnovando ancora una volta il sodalizio con la penna che ha dato vita alla maggior parte dei suoi film. La coppia di autori mantiene il nucleo originario, la storia di un libraio malinconico Vincenzo dedito alla sua vecchia libreria parigina e alla figlia tetraplegia, ma cambia il resto della narrazione trasformando i personaggi che affollano quel piccolo angolo dal tempo sospeso. Ne abbiamo parlato con Sergio Castellitto in questa intervista.
La video intervista a Sergio Castellitto
Dalla graphic novel al film
Qual è stata la principale paura nell'accostarsi a un testo di Ettore Scola?
Non c'era timore, ho accettato per amore di Ettore di cui sono stato allievo e con il quale ho fatto due film, sapevo che c'era bisogno di una scrittura nuova che non fosse solo l'elaborazione di una trama, ma anche la ricostruzione di sfondi e personaggi. Margaret ha fatto un lavoro incredibile e mi ha riconsegnato un'idea che per me è stata la folgorazione, cioè la metafora del teatro, la rappresentazione, la messa in scena. Da lì è nata l'idea di aprire il film con un sipario che si apre, che fa il suo rumore ed è una cosa materica. Per tutto il film cerco di dire allo spettatore che non sta assistendo a qualcosa di non vero o finto, ma sta guardando ciò che è rappresentato che può essere più vero del vero, messo in scena attraverso segni che possono diventare chiavi attraverso le quali forse capire qualcosa di te.
La scelta di girare in lingua francese?
Il personaggio del libraio nel soggetto originale era francese e abbiamo voluto conservare questo aspetto. Nel mio film Vincenzo è italiano perché mi piaceva che il protagonista fosse straniero in terra straniera, e poi c'è sempre stato un affettuoso conflitto tra francesi e italiani.
Il protagonista è un personaggio tra il clownesco l'ultimo dei romantici...
L'espressione "da clown" è il complimento più bello che un attore possa ricevere, perché il clown ha due facce, una triste e una allegra, che sono il fondamento della commedia umana. La storia, la scrittura, la messa in scena... l'intenzione era lavorare perché si rimanesse continuamente in bilico tra questi due elementi: si sorride, ci si immalinconisce, ma senza i cazzotti del melodramma.
Il materiale emotivo, la recensione: Le parole sono importanti...
"Bisogna rischiare il ridicolo per toccare il sublime", recita una battuta del film.
Penso sia esattamente così e che si debba rischiare di farsi ridere dietro per ottenere dei risultati. Solo i grandi personaggi sono dei grandi falliti, gli altri galleggiano.
Il ricordo di Scola
Qual è il materiale emotivo che le ha lasciato Scola?
Tanti bei ricordi, le serate passate insieme, le cene, i ristoranti, fiori di zucca fritti, le chiacchiere, gli aneddoti. Ettore è stato il primo ad avermi diretto, quando arrivai sul set de La famiglia avevo i nervi a fior di pelle perché non lo vedevo, stava dietro al monitor e sentivo solo la sua voce arrivare dall'altra parte del set. Scola fa parte della memoria, ma anche del futuro e questo non è l'unico film in cui lo omaggio. Lo chiamavo, gli mostravo i film che facevo, venne a vedere Nessuno si salva da solo, e li battezzava con la sua solita affettuosa ruvidezza.
Sarà il suo ultimo film da regista?
Penso di sì. Fare il regista è faticoso, bisogna averci cazzimma che non mi ritorna indietro per soddisfazione, e poi mi diverto così tanto a fare l'attore. Adesso inoltre ho la fortuna di avere un giovane regista in casa, per cui mi limiterò a vedere i suoi film.
E magari a farsi dirigere da lui...
Uhm.. Prima che decida di farmi lavorare!