Quando parliamo di peplum intendiamo quello che volgarmente si può definire un "sotto genere" cinematografico, per lo più a basso costo, del più ampio genere storico in costume, del successivo kolossal storico e, infine, del fantasy vero e proprio. Un sotto genere molto importante e antico quasi quanto il cinema stesso (il primo Ben Hur risale al 1907 per la regia di Sidney Olcott, mentre Cabiria di Pastrone è del 1914) che ha vissuto però un'esistenza altalenante durante i vari anni.
L'origine è quella di un linguaggio in grado di esprimere nel modo più muscolare e spettacolare il potenziale immaginativo della Settima Arte, persino prima della Golden Age hollywoodiana, che ne riscoprì il fascino stanziando budget molto consistenti e cercando di fare con esso un'operazione di revisione storica parallela, ma differente, a quella del western. Se infatti quest'ultimo partiva dalla necessità di una riscrizione della Storia statunitense, il primo la spiegava attraverso dei parallelismi contemporanei molto semplici in storie ambientate in contesti biblici o nel periodo della Grecia antica o della civiltà romana. Esattamente il formulario de Il gladiatore e Il Gladiatore 2 di Ridley Scott.
La rivoluzione della pellicola del 2000 sta, infatti, nella sua capacità di essere riuscita a rispettare a pieno la ricetta, sfidando il trend del cinema nordamericano dell'epoca (che aveva abbandonato il peplum praticamente da 40 anni), vincendo la sfida sia sul piano commerciale che linguistico. Il sotto genere funzionava ancora per raccontare il mondo presente e per creare immaginario. Quasi un quarto di secolo dopo questa vittoria è stata confermata? Forse è troppo presto per dare una risposta completa, ma proviamo.
La ricetta de Il gladiatore
Il nome peplum deriva dalla parola latina "peplo", una tunica femminile greca, che era semplice da realizzare e quindi facilmente riproducibile dai reparti costumi, testimoniando da una parte l'origine umile e "povera" del sotto genere e, dall'altra, la sua completa appartenenza ad narrazione di tipo mitologico. Una precisazione importante questa, che permette all'autore di turno di poter lavorare di fantasia inserendo alterazione storiche varie ed eventuali senza per questo andare mai fuori contesto.
Ridley Scott, all'epoca de Il gladiatore, era perfettamente al corrente di tale cortocircuito, che gli permise di creare un fantasy, pur rivendicando quel grado di realismo storico tale da poter avvicinare lo spettatore. Di fondo nella pellicola c'era tutta l'America di fine millennio scorso e ben poco della Roma del secondo secolo dopo Cristo. Questo è forse il motivo principale per cui il cineasta britannico se la ride quando gli vengono mosse accuse di inaccuratezza storica.
Il film affondava nel sentimento di crisi del pensiero imperialista legata fatalmente a quella dell'apocalisse profetico del Duemila e la articolava, dandole, tramite la storia di Marco Aurelio, Massimo Decimo Meridio e Commodo, un rivestimento epico attraverso una vicenda classica, ma moderna, di padri e figli. Un filosofo che rifiuta il suo erede di sangue perché conscio della necessità democratica della nuova era e affida l'onere del passaggio alla forza di un eroe che proprio con suo figlio (simbolo dei suoi errori) deve scontrarsi. Un uomo che solo nella sublimazione elabora le sue sofferenze. Un maschio eroico contemporaneo destinato ad immolarsi per un futuro di cui non sarà parte. Conclusione tipica di una storia da peplum. Sipario.
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Il Gladiatore 2 e il peplum del 2024
E il futuro? Il futuro sarà raccontato da altri e da altri linguaggi. Di fatto tutti i film successivi appartenenti a questo sotto genere (di cui alcuni, anche molto pigri, riproposti da Ridley Scott stesso) non hanno fatto altro che ripercorrere gli ennesimi passi. Poi il dubbio: "ma se invece il futuro (che poi sarebbe il nostro presente) può essere ancora raccontato dal peplum?"
Il registra britannico raccoglie un'altra volta la sfida e con Il Gladiatore 2 tenta il miracolo di creare la sua epopea raccontando il 2024 ancora con "spada e sandalo". Per farlo rilegge il prequel smentendolo passo passo, partendo dal fallimento dell'eroe del Novecento, che è morto lasciando un mondo allo sbaraglio e dei figli inadeguati perché soli con l'onere di avere lui come padre. Ragazzi senza guida e senza scelta e per questo pieni di una rabbia primordiale che si oppone alla stanchezza di stare al mondo. Il trentenne occidentale medio, alle prese con una figura materna complessa, una paterna profondamente egoistica, un sistema politico al collasso e con i fantasmi prodotti dai loro nonni redivivi e pronti, legittimamente, a prendersi la loro rivincita.
Il Gladiatore 2 è un peplum puro, ma rinnovato, che vive dentro il suo predecessore per smontarlo senza però rifiutarlo, perché convinto che la consapevolezza storica sia da abbracciare visto che in essa ci sono le risposte per capire chi siamo. Specialmente per il trentenne occidentale medio, a cui il futuro appartiene e che non può permettersi di lasciarlo ad altri, comportandosi come i propri padri. L'assenza dell'eroe novecentesco è ancora troppo ingombrante, motivo per il quale probabilmente la sfida non poteva essere del tutto vinta (come testimonia il box office), ma è stata comunque ben interpretata e ha molto per poter essere un punto di riferimento per chi arriverà dopo, a prescindere da generi o sotto generi vari ed eventuali. Forse il senso del peplum contemporaneo è proprio testimoniare una fatica nel trovare un'alternativa a questa mancanza.