Il fascino in-discreto della femminilità
Anni '70. La Feminist Film Theory avvia acute e originali riflessioni, più che altro spunti per problematiche mai considerate, sulle dinamiche di genere che mostrano lo spettacolo schermico e l'esperienza spettatoriale. Le relazioni tra il cinema e l'identità sessuale sono esaminate e ricercate a partire dal cinema classico hollywoodiano, in America più che in Europa. Si tratta di un approccio teorico e critico, di una metodologia analitica che supera gli aspetti tecnici, i principi di autorialità e le configurazioni visive e narrative per porre al centro dell'attenzione la figura della donna, il suo costituirsi come corpo degno di protagonismo, come oggetto di puro spettacolo al servizio della visione maschile (o maschilista?), come icona di una trasgressione che squilibra ordini sociali precostituiti, come fattore determinante in certi processi psicanalitici quanto mai controversi. Oggi considerazioni di questo tipo sulla dialettica uomo-donna sembrano essere cadute nel dimenticatoio, abbandonate dagli spostamenti che il flusso della comunicazione massmediatica opera nei contesti culturali contemporanei. Tuttavia esse riemergono dalle tematiche secondarie delle pellicole
come MacGuffin insabbiati dalla stessa critica e dagli sguardi disattenti. Portare sullo schermo storie prettamente femminili è diventata una prassi comune, il contrario per le questioni di gender, mascherate dalle prove attoriali, dai costumi, dai procedimenti della messa in scena.Così passiamo dalla spregiudicatezza e dalla carica sensuale delle protagoniste di triangoli amorosi alleniani come in Vicky Cristina Barcelona alla fragilità delle madri coraggio come quella dell'ultimo Eastwood in Changeling, soppiantata dalle forze dell'ordine, dalle reginette e dalle duchesse patinate dei film in costume più o meno riusciti in cui i fasti coprono le sofferenze interiori alle stradonne animate dalle dimensioni e dai poteri sovrumani come in Mostri contro alieni. Visi e corpi di star e di nuove dive si alternano sulle passarelle festivaliere mentre magazine modaioli vi dedicano copertine e speciali con interviste e foto esclusive. Lontani da questa nuova conformazione iconica, pochi film riescono a trarre la forza del messaggio nel plot, nella protagonista, oltre l'attrice. Se poi l'attrice è fusa, mai confusa, con l'immagine del personaggio cui rinvia la critica riesce a oltrepassare i fasti e le glorie della dimensione rosa cui talvolta si lascia asservire. Coco Avant Chanel, liberamente tratto dal romanzo di Edmonde Charles-Roux "L'Irrégulière ou mon Itinéraire Chanel", è un film che ha creato scandalo nella sua nazione, la Francia, prima ancora della visione in sala: il suo manifesto pubblicitario con la bella silhouette di Audrey Tautou alias Coco Chanel nella posa aggraziata della fumatrice rilassata ha destato clamore ed è stato "proibito". Non occorrerebbe ricordare che parliamo della stessa nazione della Nouvelle Vague, il cui manifesto godardiano schiaffeggiava l'immagine femminile di Jean Seberg con un vendicativo complimento tutt'altro che _politically correct _proprio nell'exploit finale. Fortuna che un film possa superare certi incidenti del percorso promozionale e fare presa sul suo pubblico al di là degli ingiusti in-convenevoli. Gabrielle Bonheur Chanel, nata nel 1883, è una bambina che guarda spesso in alto come a cercare una libertà che la vita duramente le ha negato. Dopo la morte della madre infatti il padre la chiude insieme alla sorellina in un orfanotrofio, dove passerà tutta l'adolescenza. Le due sognano luoghi migliori di quel tetro palazzone e rincorrono un po' di benessere, anche economico, lavorando di giorno come sartine, di notte come showgirl in cabaret di serie b. L'incontro con due omoni ricchi e possidenti le divide e le allontana dalla campagna e dal suo grigiore. Gabrielle, chiamata Coco dal motivo musicale con cui s'esibisce e con cui dà il meglio delle sue performance, non è innamorata del nobile che la vorrebbe accanto a sé come un bambino capriccioso, ma decide di approfittare della situazione per sfuggire a un presente poco promettente. Le ipocrisie dell'alta società la annoiano e le fanno capire di non appartenere a quel mondo vacuo e imbellettato. Inizia allora a creare un proprio stile, in contrapposizione con quello alla moda, che la ritagli negli ambienti burrosi tra le donne-oche e gli uomini-padroni. L'incontro con l'inglese Boy Capel cambia però la sua visione della realtà e le offre una possibilità d'innamorarsi e di amare. Il giovane vede in lei una straordinarietà che la separa dal resto del mondo femminile e, credendo in lei, l'aiuta a sconvolgere le regole del contesto sociale patriarcale parigino e a deformarne le tendenze visive. I primi passi di una donna che ottiene successo proprio mentre le si restringe nuovamente il cuore.
Coco Avant Chanel - L'amore prima del mito non è la storia della stilista che ha rigenerato il concetto di eleganza a Parigi e in tutto il mondo, che ha fondato la maison più famosa della storia della moda. E' un film che ci porta per mano lungo un percorso, di cui ci mostra una fase significativa, spesso dimenticata, quella degli esordi. Non è tuttavia un percorso di formazione: Coco rivela la propria identità fin dal bellissimo incipit in soggettiva: il cielo da un finestrino, che cambia se si inclina il capo sul collo, che è più luminoso durante un viaggio e può oscurarsi all'arrivo alla meta. A interpretare una donna tanto forte quanto fragile la dolce Audrey Tautou, minimal nei gesti, nella prossemica e nella corporalità esattamente quanto la vera Coco.
La magrezza sorprendente, il portamento chic, l'atteggiamento androgino, lo sguardo profondo fanno di Coco una precorritrice del movimento femminista. Coco anticipa una rivoluzione, lanciandosi come testimonial di un messaggio di cui le donne non si rendevano conto di avere bisogno. I cappellacci che impedivano di pensare alle donne, così rimpinzati di piume e di fronzoli, i corsetti rigidi che costringevano l'ossigeno nei ventri, gli abiti impreziositi dai gioielli al limite del kitsch sono protesi di una femminilità esibita ma soprattutto esigita in una società dal chiaro e forte stampo patriarcale. I simboli diventano allora metafore di una nuova estetica, vettori di una comunicazione limitata dai recinti contestuali. La storia moderna di Coco Chanel, che si costituì come amante consapevole e volontaria, è come la dicotomia cromatica che caratterizza il film della Fontaine: un mondo in bianco e nero, come quello dell'infanzia tipicamente dickensiana, come quello dello sguardo che riattiva l'esplorazione degli ambienti e dei suoi manichini come sotto una speciale lente d'ingrandimento e di anticonformismo, come quello del mitico abito che suggella finalmente una nuova libertà. Ma l'immagine speculare, che s'irradia e si moltiplica con semplicità sullo schermo nella sequenza finale, sancisce l'inversione di un trionfo: l'ambizione che si concretizza mentre il cuore, innamorato, per dirla con le parole di Coco, 'spacciato' s'affoga nella malinconia. Il ricorso alla felicità garantita e assicurata della storia romantica viene così aggirato rimarcando un realismo che le donne (emancipate di oggi), a differenza forse delle femministe impenitenti di ieri, potranno anche apprezzare.