Una curiosità che ci accompagna da sempre, da quando frequentiamo i grandi festival di cinema, è sulla enigmatica figura del "cronometrista di applausi". Un individuo che si occupa di verificare la durata dell'ovazione del pubblico al termine delle grandi premiere. Una curiosità riemersa oggi, mentre ci accingiamo a scrivere la recensione de Il Conte di Montecristo firmato da Matthieu Delaporte e Alexandre de La Patellière, leggendo dei 12 minuti di applausi che hanno accolto la proiezione ufficiale del film. Un dato che avvalora la sensazione avuta guardando il film di trovarci davanti a un prodotto che possa incontrare il gusto del pubblico e ci sembra evidente che ci sia riuscito, con gli spettatori presenti all'anteprima di Cannes, dove è stato presentato fuori concorso. Un'accoglienza, quindi, che consideriamo meritata, perché il film, lungi dall'essere perfetto, ha ritmo e riesce a intrattenere e coinvolgere lo spettatore.
Un nuovo adattamento di Alexandre Dumas
Non c'era forse un reale bisogno di un nuovo adattamento del romanzo di Alexandre Dumas, ma il lavoro fatto da Delaporte e La Patellière dimostra un'attenzione e un gusto per l'intrattenimento che rende questa versione sensata e degna di nota, seppur non la migliore possibile. I due autori, che di recente avevano firmato solo lo script degli adattamenti de I tre moschettieri lasciando la regia a Martin Bourboulon, si caricano sulle spalle la guida completa del progetto e sembrano divertirsi (e quindi divertire), passando da uno all'altro dei generi e dei toni che la storia propone al pubblico.
Storia che ovviamente conosciamo tutti, che parte dal 1815 nell'area di Marsiglia per seguire Edmond Dantès, incarcerato per quattordici anni tra le mura di Château d'If per un crimine che non ha commesso, fino a trovare il modo di evadere e mettere in piedi un elaborato percorso di vendetta, assumendo diverse identità per avvicinare e affrontare i suoi avversari. Ma non senza un prezzo da pagare.
Adattare un classico
Tragedia, storia d'amore, avventura. Spazia tra i generi Il Conte di Montecristo, per la storia che racconta e per l'approccio scelto dai due registi, per la messa in scena che hanno curato, e per il gusto con cui sfruttano le variazioni e le diverse anime del racconto di Dumas. Delaporte e La Patellière alternano ritmi e toni, passano da situazioni più opprimenti in interni a momenti dal maggior respiro e che spingono sul piano dell'epica. Eccedono e si lasciano prendere un po' troppo la mano a volte, sfociando in passaggi della storia fin troppo enfatici sostenuti da musica invadente e incalzante, ma scelgono una via che predilige la componente d'intrattenimento e un'attenzione per la partecipazione emotiva dello spettatore.
Nei panni di Monte Cristo
Una partecipazione emotiva che viene assecondata e sostenuta dalla prova del protagonista Pierre Niney, amatissimo in Francia e del tutto in parte nel ruolo del protagonista, capace di incarnare i diversi momenti della storia, dai più tragici a quelli più carismatici. Funziona il suo Edmond, e lo conferma anche nel suo caso l'accoglienza ricevuta sulla Croisette, così come è riuscita la composizione del cast che gli ruota attorno nelle diverse fasi del racconto che viene portato avanti, a partire dal nostro Pierfrancesco Favino che tratteggia con poche scene, riuscendo a lasciare il segno, il compagno di cella del protagonista, durante i lunghi anni della sua incarcerazione.
Il Conte di Montecristo nella versione di Delaporte e La Patelliére è quindi un discreto prodotto d'intrattenimento, che non lascerà il segno in quanto puro adattamento di un classico letterario, anche per le libertà che si prende rispetto al materiale di partenza per assecondare l'approccio filmico scelto, ma che ha i suoi motivi d'interesse e può trovare un suo pubblico che voglia rivivere una storia già nota che sa essere ancora coinvolgente e attuale.
Conclusioni
Tragico e spettacolare, opprimente e dinamico, il nuovo adattamento de Il Conte di Montecristo firmato da Matthieu Delaporte e Alexandre de La Patellière punta sull’intrattenimento piuttosto che sulla fedeltà totale al romanzo, concedendo divertimento ed emozioni al pubblico. Buona la prova del protagonista Pierre Niney, guida di un cast per lo più in parte di cui fa parte anche il nostro Pierfrancesco Favino. Peccato per dell’enfasi di troppo in alcune sequenze, anche per la presenza di una colonna sonora molto enfatica.
Perché ci piace
- Ritmo e tono dato dagli autori all’adattamento del romanzo di Dumas.
- Il protagonista Pierre Niney e il cast in generale.
- Scenografie, costumi e tutta la costruzione storica che non sfigura.
Cosa non va
- Alcune scelte, dalla musica ad altri dettagli, che finiscono per risultare troppo enfatiche.