Il complotto di Tirana, la recensione: un documentario geniale per raccontare una truffa geniale

Manfredi Lucibello ripercorre le tappe che hanno portato ad una delle più grandi e ingegnose frodi ai danni dell'arte contemporanea. Di mezzo una Biennale, Oliviero Toscani, quattro autori inesistenti e un artista capace di beffare tutti mentre dava vita a un happening memorabile.

Un'immagine de Il complotto di Tirana

"Caro Direttore, il suo giornale mi fa vomitare in quanto nella classifica dei migliori artisti degli ultimi cinquant'anni trovarmi all'ultimo posto mi ha veramente infastidito, perché credo di aver lasciato più segni io nel panorama iconico contemporaneo di idioti quali Ottani o Cingolani. Le sue classifiche comunque se le può infilare su per il culo". È la mail che Oliviero Toscani scrive a Giancarlo Politi, il critico e direttore della rivista d'arte contemporanea Flash Art, dopo aver scoperto il suo nome in fondo alla lista redatta dal magazine.

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Marco Lavagetto

Da lì inizia tra i due un carteggio virtuale fatto di insulti che, nel giro di qualche mail, si trasforma in amicizia e nella più grande e ingegnosa truffa ai danni dell'arte contemporanea conosciuta come Il complotto di Tirana. Come il titolo scelto da Manfredi Lucibello, presentato alla Festa del Cinema di Roma e poi al Festival dei Popoli, per ripercorrerne le tappe ora che i reati sono prescritti e i protagonisti della vicenda possono parlare.

Una beffa all'arte contemporanea

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Marco Lavagetto in una scena de Il complotto di Tirana

Politi nel 2000 chiede a Toscani di diventare uno dei curatori della prima edizione della Biennale di Tirana. L'artista accetta e realizza anche il manifesto. Un'aquila nera a due teste posta al centro di uno stendardo rosso è l'immagine raffigurata sulla bandiera albanese. Oliviero Toscani quell'immagine la prende e la distorce "in un Paese circondato da guerre per la bandiera, come il Kosovo e la Macedonia" ricorda Bekim Doka, volontario alla Biennale di Tirana del 2001. Politi addirittura l'apostrofa come la sua "opera più bella degli ultimi vent'anni".

Inoltre Toscani decide di presentare quattro artisti, autori di opere provocatorie e scandalose: Dimitri Bioy, un presunto pedofilo; MarcelloGavotta, un pornografo dichiarato; Bola Equa, un'attivista ricercata dal governo nigeriano; e Hamid Picardo, il fotografo ufficiale di Bin Laden (a quattro giorni dall'attentato alle Torri Gemelle). Poi all'artista italiano viene recapitato a casa il catalogo ufficiale della Biennale e vede il suo nome coinvolto in qualcosa che non conosceva. Sì, perché la persona che aveva inviato mail a Politi, firmato manifesti e selezionato artisti - che si scoprirà essere inesistenti - non era affatto Olivieri Toscani.

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Marco Lavagetto

Il complotto di Tirana non è altro che la ricostruzione di una delle più grandi performance artistiche della storia e una beffa gigantesca all'arte contemporanea tutta e a chi ne deteneva il potere (non a caso nessuno di loro si siede davanti l'obiettivo di Lucibello). Oltre che sembrare una sceneggiatura cinematografica di un autore brillante. Toscani si ritrova a doversi difendere da accuse di cospirazionismo visto il recente attacco di matrice islamica a New York e confida si tratti di uno scherzo di Maurizio Cattelan. Ma dietro, secondo le indagini della procura di Milano, c'è un'altra figura: Marco Lavagetto.

L'enigma Marco Lavagetto

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Una scena de Il complotto di Tirana

Arrivare a lui, in realtà, non era difficile. L'ultimo nome in fondo alla famosa classifica che aveva dato il via a tutto era il suo e non quello di Toscani. Manfredi Lucibello ne Il complotto di Tirana lo rintraccia e lo va a trovare sul suo posto di lavoro a Cogoleto, Genova, dove per vivere imbottisce bare. Ma lì non trova solo lui. Ci sono anche le sue molteplici personalità. E così scoprire la verità assoluta su quello che è successo nel settembre del 2001 diventa impossibile. Marco Lavagetto è un vero enigma. Esattamente come questa storia assurda, divertente, inquietante, geniale, bizzarra.

Così il documentario diventa anche una riflessione sull'arte e l'artista. Su cosa e chi si possa definire tale. Senza nessuna volontà di dare risposte, Il complotto di Tirana prova a raccontare nell'arco di un'ora i fatti così come sono accaduti. O almeno è quello che vuole farci credere Mucibello che, proprio come ha fatto Lavagetto prima di lui, prova a prendersi gioco (riuscendoci) dello spettatore. E a farlo attraverso la forma documentario che per sua natura ha con la realtà un rapporto ontologico. Non diremo come per non rovinarvi la sorpresa. Ma vi ritroverete a chiedervi come sia riuscito a farvela sotto il naso. Un po' quello che si sarà chiesto anche Giancarlo Politi oltre vent'anni fa.

Conclusioni

Una riflessione su cosa definisca l'arte e l'artista attraverso il racconto di una delle più grandi truffe ai danni proprio di quel mondo contemporaneo e di chi definisce cosa sia l'una o l'altro. È quello che racconta Manfredi Lucibello in un documentario presentato alla Festa del Cinema che, in un'ora, ripercorre le tappe del cosiddetto complotto di Tirana. Una frode, un happening, una beffa. In mezzo la Biennale d'arte della capitale albanese, Oliviero Toscani e un artista geniale quanto enigmatico ad orchestrare il tutto. Per farlo il regista utilizza la forma documentario che dovrebbe essere una rappresentazione non filtrata dei fatti. Ma in una storia in cui nulla è come sembra, anche Lucibello decide di prendersi gioco dello spettatore lasciandolo a bocca aperta.

Movieplayer.it
3.5/5
Voto medio
5.0/5

Perché ci piace

  • La storia di per sé sembra una sceneggiatura
  • La struttura narrativa scelta da Manfredi Lucibello
  • La figura enigmantica di Marco Lavagetto
  • La riflessione sull'arte
  • Il prendersi gioco dello spettatore

Cosa non va

  • Chi ha bisogno di risposte non le troverà in questo documentario