Tante sono le opere a sfondo bellico firmate dal pacifista Hayao Myiazaki, ognuna di diverso genere e ambientazione. Da Nausicaa della valle del vento a Laputa - Castello nel cielo, da Porco Rosso a Principessa Mononoke, il grande maestro dell'animazione giapponese ha sempre inserito un dialogo tematico critico contro la guerra e le dinamiche militaristiche e violente che sono emblema della stessa. Tra i molti capolavori dell'autore, a spiccare in questo senso c'è anche Il castello errante di Howl, adattamento cinematografico dell'omonimo romanzo di Diana Wynne Jones trasporto sul grande schermo nel 2004, anche candidato all'Oscar come miglior film animato e presentato alla 62° Mostra Internazionale del Cinema di Venezia. Ora torna in sala come ultimo titolo della rassegna "Un mondo di sogni animati" proposta da Lucky Red, sempre attuale e potente, almeno dove sceglie di esserlo.
In fuga dalle bombe
Mentre lo splendido e più ironico e meno compassato Porco Rosso rappresentava una grande riflessione anti-bellica di stampo anti-fascista, un po' il Comma-22 myiazakiano, Il castello errante di Howl è il film dell'autore che con guizzo più favoloso e romantico tratta in modo diretto "il conflitto" interno ed esterno ai protagonisti del racconto. Più che nel romanzo originale della Jones, rispetto al quale il maestro ha scelto di prendersi molte libertà traspositive, così da autorializzare l'opera secondo il proprio stile formale e contenutistico, il film pone infatti particolare accento sull'amore taciuto di Sophie per Howl e sull'orrore e il ribrezzo di quest'ultimo per la guerra. La storia è infatti ambientata in un modo dove imperversa il conflitto tra due grandi regni, e uno di questi vuole ingaggiare proprio il potente mago Howl tra le sue fila, considerandolo più arma che uomo. Lui sfrutta le sue capacità per rifuggire il conflitto ed evitare di essere strumentalizzato da un regno a cui sente di non appartenere, scegliendo anzi d'interferire come parte terza, intralciando diverse operazioni e distruggendo gli armamenti. Paradossale, per altro, come sia un uomo letteralmente "privo di cuore" a comportarsi nel modo più umano possibile, rigettando la guerra e le relative crudeltà in un'anelito pacifista simbolo dell'ideale etico di Myiazaki, votato un'imparziale e vitale serenità.
Il fuoco dell'amore
Parte di questa ricercata e desiderata tranquillità, Howl la trova in Sophie, giovane ragazza con cui il mago crea un legame praticamente immediato. Candida, di animo puro, gentile, empatica: Sophie rappresenta in qualche modo la bellezza della vita stessa, che non a caso viene deformata e invecchiata nell'aspetto da un sortilegio.
Certo, quest'ultimo aspetto è correlato nell'intreccio alle mire della Strega delle Terre Desolate su Howl, ma in una lettura più profonda e tematica la ratio della scelta è certamente funzionale agli effetti spaesanti e decadenti della guerra. La purezza e il rifiuto bellico di Howl gliela fanno però riconoscere subito, e quando Sophie si trasferisce nel castello errante del mago, la sua vicinanza e la conoscenza dei carnevaleschi personaggi che occupano la residenza fanno scattare in lei un forte e irriducibile amore per Howl. Lo stregone ha però donato concretamente il proprio cuore a Calcifer, una stella cadente trasformatasi poi nel fuoco che alimenta la vita stessa di Howl, circondata dalle fiamme e in esse imprigionata.
Il cuore intrappolato nel fuoco è simbolico di un'amore impossibile da vivere in un mondo in pieno conflitto, di una vita che mai sarà pacifica se tutto intorno brucia. Come per Sophie è allora proprio l'amore il solo sentimento capace di "farla tornare giovane" e spezzare momentaneamente (perché ancora instabile e non ricambiato) gli effetti decadenti del sortilegio della strega, così per Howl è la possibilità di tornare ad amare e riconquistare il proprio cuore a separarlo dal desiderio di una vita serena e circondato dagli affetti cari. È l'amore e la capacità di empatizzare con le tragedie altrui a migliorarci e renderci più umani e "sani", a non trasfigurarci in versioni di noi stessi in cui non riusciamo a riconoscerci e a porre fine ai conflitti, tanto intimi quanto concreti.
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