Le lacrime, i singhiozzi, la paura vera. La ripresa tremolante, a ritmo con il fiatone, e poi quel primo piano stretto sul terrore, a insistere sul naso infreddolito e l'occhio spalancato di una ragazza terrorizzata. Alle sue spalle il buio pesto, il vuoto più oscuro. Questa è l'immagine-simbolo di The Blair Witch project - Il mistero della strega di Blair, la fotografia di un film che conosci anche se non hai mai visto, sedimentata nell'immaginario per diciassette anni senza alcuna voglia di sottrarsi alla storia del cinema.
Perché l'opera prima di Daniel Myrick e Eduardo Sánchez è stato un fenomeno mediatico andato molto al di là del suo valore puramente cinematografico. È successo per un motivo semplice quanto raro, grazie ad un cortocircuito tra finzione e realtà, messa in scena e verosimile, che ha mostrato al mondo le potenzialità e il potere di un Web da molti ritenuto ancora acerbo. Grazie ad una perfetta sovrapposizione tra linguaggio del cinema e strategia di marketing, legati da un perfetto gioco meta-cinematografico, The Blair Witch Project ha incuriosito, inquietato e scosso milioni di persone ancora prima di arrivare in sala. Oggi, a pochi giorni dall'arrivo del sequel Blair Witch, ci rituffiamo nel fitto fogliame del Maryland per cercare di scoprire i segreti di quella campagna pubblicitaria senza precedenti, quella campagna in cui ci siamo smarriti un po' tutti.
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Incantati dalla strega
Siamo alla fine degli anni Novanta. Il Millenium Bug inizia a farsi strada come spauracchio di fine secolo, Mark Zuckerberg non aveva ancora saccheggiato idee altrui e YouTube era molto lontano dall'inaugurazione. È il tempo dei forum, dei blog, del web 1.0, e diverso tempo prima che termini come hype, virale e storytelling diventassero abusati, ecco arrivare uno strano fenomeno a ridefinirne il significato. È il 1999 quando inizia a spargersi la voce di una brutta storia: la scomparsa di tre giovani studenti nei boschi del Maryland. La sparizione di Heather, Michael e Joshua risale al 1994, ma adesso sono stati ritrovati dei preziosi reperti che documentano con testi e video la loro triste avventura. In rete appare persino un filmato girato dai tre ragazzi dove si capisce che il loro intento è investigare su una misteriosa figura nota come "la Strega di Blair"; si tratta di un video girato con camera a mano, molto grezzo, in cui, assieme a qualche intervistato, assistiamo al loro lento addentrarsi nella zona boschiva di Burkittsville.
Le immagini sono confuse, mosse dall'agitazione, ma emblematiche nel raccontare una sciagura: buio, strani simboli tra gli alberi, il terrore sui loro volti, urla. Questo inquietante ritrovamento inizia a girare on line, a sollevare ansie e, naturalmente, a farsi strada tra i discorsi delle persone, con un passaparola espanso a macchia d'olio, mentre il Web si scopre eccellente messaggero. La strega non è stata ritrovata, i tre curiosi investigatori nemmeno, ma il mondo sta per scoprire qualcosa di altrettanto sconvolgente.
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Mitologia di un depistaggio
No, quel video non è tutto. La storia dei ragazzi dispersi nel Maryland è scrupolosa e condita di altri dettagli disturbanti. E mentre i volantini con i volti dei tre dispersi vengono distribuiti e affissi ovunque (persino al Festival di Cannes), viene pubblicato un librone nero, un dossier reso pubblico soltanto grazie al volere dei parenti dei tre ragazzi. Redatto con estrema cura da un investigatore privato e da un giornalista, il testo contiene una serie di documenti che approfondiscono con dovizia di particolari le indagini svolte sul caso: stralci di giornale, atti di polizia, dichiarazioni di testimoni e soprattutto il diario di Heather. Accanto alle sue parole impregnate di ansia e di una preoccupazione sempre più pressante appaiano anche alcune foto ritrovate nei boschi e qualche teoria sui misteriosi simboli rinvenuti nella foresta.
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Insomma, tutto fa pensare ad un evento realmente accaduto, vivisezionato come spesso capita nei casi più noti e discussi di cronaca nera. La rete, i media, i muri tappezzati della città, l'editoria, tutto ha contribuito a creare uno dei più grandi bluff della storia del cinema moderno. Il celebre filmato arriva finalmente in sala e si scopre che The Blair Witch Project è soltanto un finto documentario, presentato attraverso una geniale campagna pubblicitaria che oggi chiameremmo di "viral marketing".
Anticipato da un racconto verosimile, sviluppato con dinamiche plausibili, il film sdogana il genere del mockumentary, stravolge il modo di comunicare le opere cinematografiche e guadagna 240 milioni di dollari (ne è costato circa 60mila). Mentre la tragedia dei tre ragazzi si sgonfia, alcuni siti italiani etichettano la trovata pubblicitaria come una "tecnobufala", un termine quasi tenero, che svela la totale disabitudine nell'affrontare casi simili a questo. È forse la prima volta che l'operazione supera l'opera. Eppure quel "project" nel titolo, col senno di poi, poteva servire da indizio.
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Blair 2.0
La grandezza di The Blair Witch Project fu quella di presentarsi al pubblico attraverso lo stesso stile del suo linguaggio cinematografico. La realtà presentata con la realtà, una campagna credibile per un film che voleva essere credibile, perché ogni cosa doveva sembrare vera, fuori e dentro lo schermo. Prima e durante la visione. E la sua strategia di marketing fece scuola, ispirando tantissimi film negli ultimi anni (il caso di Paranormal Activity è il più lampante). Da J.J. Abrams (con Cloverfield e Super 8) a Ridley Scott (con Prometheus e Sopravvissuto - The Martian), passando per Christopher Nolan (con Il cavaliere oscuro e Inception), queste tecniche virali approdano anche nel cinema commerciale attraverso siti-fake, operazioni urbane di guerrilla marketing, vlog e finti notiziari. Ma la pesante eredità di quella geniale operazione avrà pesato soprattutto sulle spalle di Adam Wingard, chiamato a dirigere un degno sequel del mitico The Blair Witch Project (Il libro segreto delle streghe: Blair Witch 2 andrebbe dimenticato). Regista e attori firmano in gran segreto per un film il cui titolo non ha alcun richiamo alla mitologia della strega di Blair.
Sui contratti di tutti c'è infatti scritto The Woods. Si racconta che buona parte del cast, tra cui vigeva grande riservatezza sulla lavorazione del film, non sapesse con esattezza a cosa stesse lavorando, per poi diventare tutti complici di un nuovo depistaggio. Questa volta il teatro prescelto per colpo di scena è il Comic-Con di San Diego, dove vengono distribuiti degli inviti per una proiezione speciale (e inattesa) di questo The Woods. Il film inizia e si capisce presto che il legame con The Blair Witch Project è palese e che The Woods è un film inesistente, un finto titolo utile a celare l'imminente Blair Witch. E così anche le locandine presenti all'esterno della sala di San Diego si adeguano al nuovo titolo. La cosa fa notizia perché in questi anni in cui il pubblico sa già tutto prima di entrare in sala, inondato di clip, teaser, teaser del trailer e trailer, nascondere un film equivale quasi ad urlarlo. È il paradosso dei nostri tempi senza meraviglia, senza sorpresa. Perché noi spettatori vogliamo tornare a stupirci. Vogliamo soltanto essere stregati.
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