I tradimenti, la recensione: Paul Schrader e l'inesorabile discesa della cultura americana

La recensione de I tradimenti (Oh, Canada): a tratti confuso, e probabilmente anticlimatico, il film di Paul Schrader trova però la sua logica nell'affrontare la morte come metafora dello stato artistico occidentale. Protagonisti Richard Gere, Jacob Elordi, Uma Thurman.

Il poster di I tradimenti di Paul Schrader

Un ammasso di ricordi, sfocati e accartocciati, lasciando che siano gli spettatori - a volte spiazzati, a volte coinvolti, a volte pure infastiditi - a tirare le giuste fila di un film che mette sullo stesso piano la morte e la libertà. Il sottotesto, che arriva da uno degli autori cinematografici più influenti del Novecento, non è banale: la verità sta morendo, il mondo com'era prima non esiste più, restano solo pochi giorni e pochi respiri (visione troppo pessimistica?). Magari il tempo di tracciare le fila, inventare e stupire, ancora una volta, sul punto di morte. Accade allora che I tradimenti di Paul Schrader diventi un'opera disinteressata alla plausibilità, e molto più vicina ad un testamento che rilega le memorie di un passato con un presente che sembrano operare in due film totalmente diversi (inficiando sul risultato? Probabilmente).

I Tradimenti 2
Richard Gere e Uma Thurman ne I tradimenti

Presentato in Concorso a Cannes 77, I tradimenti (tra i titoli adattati per l'Italia più insensati, essendo l'originale Oh, Canada, decisamente cruciale all'interno del film) adatta per il grande schermo l'omonimo romanzo di Russell Banks (optando per due formati diversi, 4:3 e widescreen), a cui Schrader dedicherà il film. E va detto subito che la pellicola, che sguscia, risultando spesso inafferrabile, è un'ulteriore riprova di quanto la poetica americana (e quindi l'Occidente) stia vivendo un'inesorabile discesa. Non perché I tradimenti sia poco fruibile, ma perché Schrader ci tiene a sottolineare quanto la narrativa occidentale stia facendo davvero i conti con le proprie eredità, verso un futuro schiavo dell'apparenza e della perfezione. Acerrimi nemici della libertà artistica, nonché spirale da cui sembra impossibile uscire.

I tradimenti, tra verità e menzogna

In fondo, I tradimenti, scinde e rimette insieme tanto l'uomo quanto l'artista. Paul Schrader, di conseguenza, gioca con il mezzo cinematografico: nei primi cinque minuti osserviamo Malcolm (Michael Imperioli) e Diana (Victoria Hill), ex studenti di cinema divenuti filmmaker, allestire il set a casa di Leonard Fife (Richard Gere), scrittore e documentarista, asfissiato da un cancro allo stadio terminale. Per lui, accompagnato dalla moglie Emma (Uma Thurman), sarà l'ultima intervista. "Ho fatto carriera convincendo la gente a dirmi la verità. Ora tocca a me", dirà, prima di cominciare, dettando i tempi verso quel regista senza scrupoli che sembra rispecchiare l'egocentrismo moderno.

Prima di scoprire l'epopea di Fife, sappiamo poche cose. La più importante, è quella relativa al fatto che alla fine degli Anni Sessanta abbia scavalcato il confine per entrare in Canada. Obiettore di coscienza e reticente alla leva, inquieto davanti la Guerra del Vietnam (ma nel film l'aspetto anti-militarista è sommesso). I ricordi di Leonard diventano flashback, che partono da lontano e hanno come volto quello di Jacob Elordi. Ricordi che, ve lo anticipiamo, potrebbero essere diversi da come potreste immaginare. Anche per questo, I tradimenti è una negazione diretta alla cultura americana, andando a rappresentare, tra le righe, una delle sue ultime e sincere confessioni.

La vitale confusione di un uomo sul punto di morte

I Tradimenti 1
Jacob Elordi, la scelta contemporanea di Paul Schrader

Una confessione, un'ammissione di colpa e di merito, un tracciato sociale che mescola il disgusto alla quiete, fino ad una scelta, che rivelerà il finale, meno appariscente e meno romanticizzata. Del resto, se vi sembrerà confuso, I tradimenti è il discorso di un uomo sul punto di non ritorno. Uno stato mentale trascritto, questo sì, in modo ineccepibile da Paul Schrader: sentiamo il fiato pesante di Leonard, tocchiamo la sua pelle ormai ruvida, sentiamo l'inconfondibile tanfo della morte. Allora, il regista, che con Richard Gere aveva già lavorato in American Gigolò (un ritorno focale, che gioca sul diretto contrario), resta aggrappato alla vita mescolando la storia, a suo piacimento.

Il montaggio di Benjamin Rodriguez Jr. altera ogni regola (e sfrutta a dovere diverse ballad di Phosphorescent, alias di Matthew Houck, musicista folk) e il volto di Gere si alterna (e altera) repentinamente con quello di Elordi (un contrapposto generazionale, in scia ai cambiamenti di Hollywood: chi è cresciuto con i film di Schrader, e chi non ha fiducia nel futuro). Una trovata che potrebbe non funzionare nella struttura narrativa, ma che ha comunque una sua logica rispetto allo status attuale del protagonista: andare oltre le apparenze, inventare e s-mitizzare, seguire il flusso di un cinema che riflette su di sé i tormenti e le inquietudini di una realtà profondamente discrepante, e poco attrattiva. Ma sarà nel gesto potente di Leonard che I tradimenti potrà alla fine essere letto nel giusto modo (nonostante un baricentro generale gracile e precario, anticlimatico): l'opposizione alla retorica degli Stati Uniti d'America, e l'abbraccio verso il Canada. Una metafora splendidamente attuale e rivelatoria, nonché l'avvertimento di un regista che, mai come ora, parla di morte con uno spirito insolitamente vitale.

Conclusioni

Paul Schrader con I Tradimenti (sconcertante titolo italiano) sceglie la morte come metafora per parlare di arte, di eredità, di cultura occidentale portata al limite, verso un tramonto che appare sempre più chiaro. Se l'epopea del protagonista può soffrire di confusione anticlimatica, la rivelazione che non arriva serve in parte per s-mitizzare la figura dell'artista, qui interpretata da Richard Gere e Jacob Elordi, alternanza costante di un flashback che racchiude l'opera.

Movieplayer.it
3.0/5
Voto medio
4.7/5

Perché ci piace

  • La metafora sulla morte come dipartita della cultura occidentale.
  • La fotografia.
  • L'equilibrio tra apparenza e verità.

Cosa non va

  • Potrebbe soffrire di una certa confusione.
  • A tratti anticlimatico.
  • L'imbarazzante titolo italiano.