Elisabetta Sgarbi è una presenza costante del Torino Film Festival. La regista, editrice e scrittrice continua a nutrire le proprie ossessioni intellettuali con pellicole che esplorano il limite tra finzione e documentario. Non fa eccezione I nomi del Signor Sulcic, pellicola onirica che racconta un viaggio nella memoria alla riscoperta delle proprie origini, un viaggio in cui si intrecciano riflessione politico-religiosa, elucubrazioni filosofiche ed epifanie familiari.
Lo spunto narrativo nasce dall'indagine della slovena Irena Ruppel, che approda nel Delta del Po con un'amica ricercatrice per rintracciare la tomba della madre, ebrea sopravvissuta alla persecuzione nazista e approdata in Italia. Il viaggio di Irena esplora l'area del nord-est, Trieste e il confine tra Italia e Slovenia dove la donna si ferma a dormire da Gabriele, taciturno valligiano, lasciandogli poi il suo numero di telefono. L'uomo la raggiungerà a Tolmin dove Irena gli svelerà i segreti da lei scoperti sulla sua complessa famiglia. Segreti che incrociano la storia con la S maiuscola, tra spie naziste, fascisti, milizie di Tito, identità mutate. Perché, come sostiene il film, "i nomi sono un inganno e il risveglio della memoria non è sempre positivo".
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La finzione costruita su basi storiche, per uno spettatore attivo
Lo spettatore attento noterà una scritta nei titoli di coda di I nomi del signor Sulcic in cui si avvisa che ciò che abbiamo visto potrebbe essere un sogno. "Questa è la chiave del film" spiega Elisabetta Sgarbi. "La sceneggiatura scritta insieme a Eugenio Lio, filosofo e teologo, è molto letteraria, ma finora ho fatto film su arte, statue e poesia. Non potevo fare diversamente, ma la parte onirica, più libera, è quella più mia. I piani del sogno e della realtà si mescolano e si confondono, ci sono scene significative come il sogno nella valle con gli anziani Claudio Magris e Giorgio Pressburger che, in un rovesciamento tipicamente onirico, nel sogno sono due studenti".
I nomi del Signor Sulcic segna, dunque, una svolta, seppur parziale nella produzione di Elisabetta Sgarbi. Dopo tanti documentari, la regista ha fatto un film di finzione che affonda le radici nella realtà storica. "I cambiamenti di nomi e di identità nel periodo complesso a cavallo delle guerre sono dati reali e questa faccenda ha toccato molto gli attori sloveni" conferma lo sceneggiatore Eugenio Lio "ma il pretesto narrativo di Irena che cerca di conoscere l'identità dei genitori è finzione. La realtà storica dell'area di Trieste è molto complessa, in 40 anni è passata dalla dominazione austriaca a quella italiana, nazista, alleata, jugoslava. Cinque sistemi di potere in aperta opposizione l'uno dall'altro è una situazione unica. Il racconto voleva rendere conto di questa complessità". Di conseguenza lo spettatore ideale di questo film deve essere in grado di districarsi in un labirinto di nomi, date e identità sparsi sulla superficie narrativa. Senza contare la componente onirica che rende la fabula ancor più nebulosa.
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Look da sogno e le musiche di Franco Battiato
Come è cambiato lo stile di Elisabetta Sgarbi in un regime di finzione? La regista ammette di non essersi discostata dal metodo di lavoro che usa di solito. Per la Sgarbi "ogni lavoro si incastra nel precedente. Nei documentari i personaggi li incontri per caso, qua c'era una sceneggiatura, ma questo film nasce dall'esperienza dei lavori precedenti. Mi piace mescolare attori professionisti e non professionisti come Gabriele Levada, la cui intensità è tale che con un gesto ti attira nella storia. Gabriele alleva pesci, vive in una valle, è una specie di sacerdote del Delta, ma non lo avrei sostituito con nessuno, neanche con Clint Eastwood, perché è perfetto".
Degno di nota, ne I nomi del Signor Sulcic, è il lavoro sull'immagine e sulla fotografia che alterna sequenze cupe e misteriose a panorami sognanti. "Quello che volevo fare era ricreare proprio un look da sogno" conferma Elisabetta Sgarbi. "Anche nel mio documentario Il viaggio della Signorina Vila c'erano squarci narrativi, cerco la poesia visiva. Il mio è un cinema inattuale, poco italiano, penso a Manoel de Oliveira, lui ha giocato nella commistione tra documentario e storia narrata". Di particolare impatto anche le musiche del film, curate da Franco Battiato, una costante nella produzione della Sgarbi. Il cantautore non compone le musiche sulle immagini, ma per sua scelta "si fa raccontare la storia e, per non essere didascalico, compone musiche di evocazione o mi suggerisce brani che possano andar bene. Stavolta, in più, ho inserito una mia citazione personale. Nella scena della discoteca ho provato a ricreare il ballo de La prima notte di quiete di Zurlini, nel film al posto di Gabriele Levada c'è Alain Delon e al posto della ragazza Sonia Petrovna. Parlando di sequenze oniriche, quello è il mio sogno di una scena che ho tanto amato".