I nomi del Signor Sulcic esce nella settimana in cui celebra il Giorno del Ricordo ed è curioso per un film che svela quanto la memoria, a volte, si riveli ingannevole. Elisabetta Sgarbi prosegue nella sua esplorazione colta del mezzo cinematografico, a cavallo tra storia, teologia e antropologia, raccontando una vicenda fictional, ma che affonda le radici nel complicato vissuto del Nord Est. L'esplorazione parte dalla natia Ferrara per spostarsi a Trieste e poi valicare il confine fino ad arrivare in Slovenia. Lo spunto da cui prende il via I nomi del signor Sulcic è l'indagine di una ricercatrice universitaria di Ferrara voluta dall'amica Irena Ruppel, affascinante e misteriosa donna slovena che ha scoperto verità clamorose sulla vera identità dei suoi genitori. Irena coinvolgerà nella sua ricerca anche il rude valligiano Gabriele attirandolo fino a Tolmin, località di confine sul Fiume Isonzo, tra Italia e Slovenia.
Per I nomi del signor Sulcic, Elisabetta Sgarbi accantona lo strumento del documentario accostandosi alla docu-fiction, se così la vogliamo chiamare, innestando una trama fictional in un contesto storico reale e ben documentato. A livello tematico e formale, il nuovo lavoro della Sgarbi è debitore dei numerosi documentari colti diretti dalla regista e scrittrice. Un cinema non per tutti, d'altro canto l'autore del canovaccio su cui è costruito il film è il filosofo e teologo Eugenio Lio, suo fidato collaboratore, e il suo zampino spiega il ritorno costante di suggestioni e ossessioni dotte.
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Trieste, l'Isonzo e il respiro della Mitteleuropea
I nomi del Signor Sulcic è figlio dei luoghi in cui è ambientato. La trama del film film si apre con l'apparizione di Roberto Herlitzka nei panni di un rabbino, custode del cimitero ebraico in cui è sepolta la madre di Irena Ruppel e guardiano della memoria di un intero popolo. Dalla valle del Po il viaggio di Irena e della ricercatrice Ivana, che la accompagna, prosegue verso oriente, lungo l'Isonzo, a Trieste, Gorizia, Lubiana e infine Tolmin (in italiano Tolmino, nome della città sotto la dominazione italiana). L'intreccio di etnie che popolano questi luoghi, le vestigia delle dominazioni che si sono succedute, gli echi della Prima Guerra Mondiale, della cospicua presenza ebraica, dell'occupazione jugoslava e del regime di Tito risuona per tutto il film mettendo a dura prova lo spettatore che non maneggia nozioni storiche complesse. Ma al di là della componente più colta, I nomi del Signor Sulcic si muove su un ulteriore livello.
L'apparizione di Roberto Herlitzka sopracitata che inaugura il film risulta straniante, vista l'atmosfera onirica che la avviluppa. Questa sensazione si intensifica poco più avanti, quando nel film fanno la loro comparsa due figure chiave della cultura mitteleuropea, Claudio Magris e Giorgio Pressburger nei panni di due studenti seduti su un banco di scuola. A questo punto appare chiaro che si tratta di un rovesciamento onirico e che la natura ondivaga di I nomi del Signor Sulcic è tale proprio perché il film imita l'andamento di un sogno.
Cinema con la stoffa del sogno
A metà tra operazione intellettuale e fantasia culturale, I nomi del Signor Sulcic si permette la libertà di costruire una drammaturgia priva dei vincoli della coerenza e del realismo. Il tessuto onirico di cui si nutre si riflette nella ricerca formale, nella fotografia notturna sgranata, nella scelta di suggerire gli aspetti più evocativi dei luoghi, senza fornire coordinate precise. La stessa interazione tra personaggi - in primis le tre donne che animano il film, Lučka Počkaj, Elena Radonicich, Ivana Pantaleo - a cui si affianca, con una presenza che buca lo schermo, il non attore Gabriele Levada, risulta spesso nebulosa. Lo sforzo di Irena Ruppel di ricostruire la propria storia familiare e materna è pari allo sforzo dello spettatore di rimettere insieme questo complicato puzzle in cui si intrecciano eventi storici, cambi d'identità, fughe, spionaggio, nazisti, fascisti e comunisti.
Al di là dello spessore intellettuale, I nomi del Signor Sulcic si permette perfino momenti ludici riproponendo una citazione molto cara a Elisabetta Sgarbi nella scena ambientata in una discoteca in cui risuona La cura di Franco Battiato, autore delle musiche del film. Divertissement che contribuisce a comporre questo affresco della memoria che al tempo stesso ribadisce l'importanza del ricordo e mette in guardia dal suo potere. Il suo film scava in un passato collettivo e condiviso per poi mostrare come non sempre il ricordo sia positivo e l'identità che credevamo nostra si fonda sull'inganno.
Movieplayer.it
3.0/5