"Se vogliamo che tutto rimanga com'è, bisogna che tutto cambi" dice Tancredi Falconeri in Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. In quel romanzo, pubblicato nel 1958, vediamo come la nobiltà siciliana decaduta si rassegni all'idea di mescolarsi con i "nuovi ricchi", di estrazione sociale più bassa, ma dai portafogli gonfi. Sessant'anni dopo, Stefania Auci ha scritto la risposta al libro portato sul grande schermo da Luchino Visconti, con protagonisti Burt Lancaster, Alain Delon e Claudia Cardinale. La sua storia è infatti il riflesso di quella di Tomasi di Lampedusa: i protagonisti sono i Florio, proprio quei nuovi ricchi che, a colpi di ingegno e sudore, hanno fatto la scalata sociale. Lo scritto di Auci, pubblicato nel 2019, ha avuto un grandissimo successo. Inevitabile quindi che diventasse materiale per un film o una serie. La recensione di I leoni di Sicilia, parte proprio da questo dato di fatto.
Dal 25 ottobre su Disney Plus con i primi quattro episodi (gli altri quattro saranno disponibili in streaming il primo novembre), la serie di Paolo Genovese doveva necessariamente confrontarsi con due enormi sfide: rendere giustizia a una storia amatissima e realizzare un prodotto il più possibile internazionale. I leoni di Sicilia ha un potenziale troppo forte per non pensare in grande, per non tenere conto dei "190 paesi", resi ormai proverbiali da Nanni Moretti. Ecco quindi che l'opera di Stefania Auci diventa lo spunto per non pensare, per una volta, al passato come qualcosa di splendido e perduto, un mondo in cui forse tutto era più semplice ma più vero. Al contrario, i "bei tempi andati" qui sono un periodo che è giusto conoscere, ma da cui bisogna distaccarsi, imparando dagli errori fatti, proiettandosi quindi verso il futuro.
Grazie alla storia di Paolo, Vincenzo e Ignazio Florio, realmente esistiti, interpretati rispettivamente da Vinicio Marchioni, Michele Riondino ed Eduardo Scarpetta, questa volta siamo dalla parte dei non nobili, di quelli che, nonostante la sorte avesse già scelto per loro una vita a testa bassa, decidono invece di alzarla, prendendo in mano il proprio destino. E lo stesso fanno le donne che li accompagnano, con in più l'aggravante di essere, appunto, donne, in un momento storico in cui la moglie era proprietà del marito. Giuseppina Saffiotti, Giulia Portalupi e Giovanna d'Ondes, ovvero Ester Pantano, Miriam Leone e Adele Cammarata, sono il dark side dell'Angelica di Claudia Cardinale in Il Gattopardo: non solo bellezza e sorrisi a 32 denti, ma portatrici di una rabbia e un senso di rivalsa che trasmetteranno ai loro figli. Parlando direttamente alle donne contemporanee.
Alto valore produttivo e un buon cast
Il valore produttivo di I leoni di Sicilia è alto: grande sfoggio di location e costumi, cura formale. Genovesi però aggiunge l'elemento che non ti aspetti. Grazie soprattutto all'utilizzo di musiche moderne e atteggiamenti più contemporanei, trasforma i suoi protagonisti quasi in rockstar. Quando il Vincenzo Florio di Michele Riondino si prende una bella rivincita personale, non soltanto si allontana con espressione luciferina sulle note di Supermassive Black Hole dei Muse, ma ha una camminata spavalda, mettendosi il sigaro in bocca come farebbe un Michael Jordan che ha appena vinto il campionato e non un uomo dell'Ottocento.
Pur con i loro difetti da uomini e donne del passato (stiamo parlando comunque di mariti che trattano le loro mogli come se fossero cose più che persone, almeno il capostipite Paolo), questi personaggi non sono figure polverose, ma esseri umani fatti di carne e sangue, che vivono di passioni. Gli amanti del period drama tout court potrebbero storcere il naso, così come i fan duri e puri dei romanzi, necessariamente traditi e riadattati per il piccolo schermo. Ma qui stiamo parlando di un'opera volutamente popolare, che aspira al pubblico più ampio possibile, con mire, come dicevamo, internazionali. Il tradimento storico e letterario è quindi perfettamente contestualizzato, in nome di un'ambizione che in un certo senso riflette quella della famiglia Florio.
Auguriamo tutto il successo possibile a I leoni di Sicilia: è bello vedere che anche l'Italia prova a portare una grande saga, che racconta parte della nostra storia, in tutto il mondo. E sopratutto che c'è qualcuno con l'ardire di provare a realizzare un prodotto esportabile, in un mercato tristemente orientato spesso soltanto verso l'interno.
Conclusioni
Come scritto nella recensione dei primi tre episodi di I leoni di Sicilia, la serie di Paolo Genovese ispirata ai libri di Stefania Auci è un prodotto volutamente popolare e di ambizione internazionale, con alto valore produttivo e un buon cast. La fedeltà storica e i romanzi originali vengono in parte traditi per rendere la serie un prodotto che parli sopratutto al pubblico moderno, invece che raccontare il passato in modo nostalgico.
Perché ci piace
- L'alto valore produttivo.
- Il cast.
- La scelta di Genovese di rendere più moderni i personaggi.
Cosa non va
- Gli amanti duri e puri dei libri e del period drama potrebbero trovarsi di fronte a qualcosa di inaspettato.