Per il suo quarto lungometraggio, Bonifacio Angius ha ammesso di essersi ispirato al western. Un western sardo decisamente atipico in cui si parla di "speed", "lockdown" e "gente conosciuta online". Tante le commistioni in un'opera dolorosa, che oscilla tra omaggio a una certa tradizione cinematografica e stringente contemporaneità, come evidenzia la nostra recensione de I giganti. Ma chi sono i giganti del titolo? Sono cinque uomini, anzi, quattro uomini e un ragazzo, troppo piccoli e meschini per superare con dignità un momento di crisi personale e globale.
I giganti arriva qualche mese dopo la conquista dell'Oscar da parte del danese Un altro giro. Anche lì avevamo un gruppo di amici, tutti di mezza età, che decidono di usare l'alcool come mezzo per migliorare le loro esistenze. I personaggi de I giganti - interpretati da Stefano Deffenu, Michele e Stefano Manca, Riccardo Bombagi e dallo stesso Bonifacio Angius - non ci provano neppure a puntare a un vita migliore e affogano il dolore nel consumo massiccio di droghe e alcool assecondando pulsioni nichiliste e autodistruttive. L'azione si rarefa. Tutto ruota attorno a quattro amici che si rivedono dopo un lungo periodo di tempo (il lockdown istituito per arginare la pandemia) e si ritrovano nella grande casa dei genitori di Stefanì (Stefano Deffenu, già protagonista di Perfidia). Uno di loro (Stefano Manca), che ha il compito di procurare le droghe, porta con sé il fratello minore, elemento perturbante che pian piano si trasformerà nella coscienza critica del gruppo. Mentre il tempo passa, i cinque amici sprofondano nelle loro ossessioni fino a che la violenza non esplode improvvisa.
Una casa fuori dal tempo
I giganti è figlio della situazione vissuta nel 2020 che, pur non essendo mai citata apertamente, viene suggerita da certi dialoghi ("Ho conosciuto tanta gente. Gente colta, importante..." E dove?" "Online"). La poetica sanguigna di Bonifacio Angius universalizza il dolore della privazione della libertà, della solitudine e dell'abbandono trasformando il microcosmo in cui si ritrovano i cinque amici in una sorta di auto-lockdown volontario. La grande casa semibuia in cui si svolge la quasi totalità dell'azione si materializza come una prigione che si chiude intorno al gruppo. Le uniche sortite all'esterno si verificano per osservare il passaggio di una fantomatica Cometa del Cigno, che quasi nessuno riesce a vedere, per urlare insulti all'indirizzo di una processione religiosa attraverso le persiane, aperte per l'occasione. Nella visione pessimistica di Bonifacio Angius, la salvezza non passa né dalla religione organizzata né da una generica spiritualità ecologista.
I giganti è un film calato in un contesto realistico curato fin nel minimo dettaglio. La casa di Stefanì viene fotografata con cura dallo sguardo acuto del regista. Tutto contribuisce all'atmosfera di degrado interiore ed esteriore, dalle poltrone polverose che sembrano appartenente a un'altra epoca al rubinetto della vasca ricoperto di ruggine. Paradossalmente, questa attenzione maniacale contribuisce ad alimentare l'atmosfera surreale che circonda il film. I gesti, i toni, la fotografia polverosa e chiaroscurale, le canzoni demodé, le reazioni dei personaggi, la voice over strascicata di Stefano Deffenu che apre e chiude il film inquadrandolo in uno spazio e un tempo diversi da quelli dell'azione, tutto sembra suggerire un'apertura verso una dimensione altra che non è il qui e l'ora del post-lockdown. I cinque amici sembrano prigionieri di mondo sospeso, un purgatorio in cui ciascuno di loro è chiamato a rispondere dei propri peccati anche se all'orizzonte non c'è alcuna possibilità di redenzione.
Pistoleri, solitudine e fallimenti
Film di atmosfere, ma anche di attori, I giganti è tutto giocato sulla (non) interazione tra i personaggi. I protagonisti del film si parlano, ammiccano a un passato comune o si vomitano addosso insulti, ma ognuno sembra parlare soprattutto a sé stesso. Merito dell'atmosfera straniata creata dalla regia claustrofobica di Bonifacio Angius. I richiami al western - le inquadrature strette sugli sguardi, le canzoni spagnole che sembrano appartenere a un'altra epoca (frutto della collaborazione tra il regista e il compositore Luigi Frassetto), le "donne da saloon", gli scoppi improvvisi di violenza - ammiccano allo spettatore. Tragedia sì, ma cinefila. Sfruttando il suo physique du rôle, Bonifacio Angius si ritaglia il ruolo del pistolero feroce dal passato doloroso suggerito dai frequenti flashback che vedono coinvolte la compagna del regista Francesca Niedda e la loro figlia Mila.
I giganti, Bonifacio Angius: "Mi sono sentito come un acrobata che cammina sul filo"
La scomodità di dire sempre la verità
Pur negando la presenza di una componente autobiografica stringente, anche gli altri personaggi de I giganti sembrano esasperare caratteristiche che gli appartengono nella vita reale. Così Stefano Deffenu enfatizza l'aria catatonica e la natura taciturna, mentre Michele Manca alterna spacconeria e nevrosi. Bonifacio Angius plasma i suoi attori lasciando loro la libertà di esprimere dolore, rabbia, disagio con grande naturalezza grazie anche alla situazione libera e protetta in cui il film è stato girato. Sentimenti "scomodi", soprattutto se associati al vissuto recente in una fase in cui la stragrande maggioranza delle opere post-lockdown affronta il tema in chiave comica.
Bonifacio Angius ha già ampiamente dimostrato nei lavori precedenti che il coraggio di dire verità scomode, mettendo il dito nella piaga, non gli manca di certo. Concetto ribadito ne I giganti, dove per altro Angius rivela un incredibile eclettismo scrivendo, dirigendo, recitando, producendo oltre a firmare fotografia, montaggio e improvvisandosi perfino paroliere. Anche se i toni pessimistici hanno il sopravvento in più occasioni, il regista non rinuncia alla sua ironia amara che trapela da certi dialoghi surreali. Tutto è in bilico ne I giganti, storie, personaggi, stile, suggestioni, ma il film è l'ennesima conferma che il rischio è la condizione in cui Bonifacio Angius riesce a dare il meglio di sé.
Conclusioni
Nella sua nuova regia, Bonifacio Angius osa costruendo un film libero ed estremo figlio del dolore e dell'isolamento imposti dalla pandemia. Come sottolinea la recensione de I giganti, il regista, che si mette per la prima volta in gioco come interprete, costruisce un film doloroso fatto di incontri e scontri in un'atmosfera sospesa. Un western contemporaneo che oscilla tra il mondo dei vivi e morti, un duello a cinque durante il quale la violenza esplode improvvisa senza la possibilità di catarsi.
Perché ci piace
- Bonifacio Angius si conferma una delle voci più originale e intense del panorama italiano.
- Un film che osa senza timore di mostrare fragilità e lati ridicoli della mascolinità.
- Metafore potenti si celano dietro scelte narrative e registiche apparentemente semplici.
- L'ambientazione davvero ad hoc.
Cosa non va
- Lo humor caustico e sgangherato non è per tutti.
- L'amarezza di fondo non si stempera neppure con le trovate registiche più fantasiose.