Ken Loach non rinuncia alla sua vocazione unica e preziosa nel panorama cinematografico internazionale; l'urgenza di raccontare, denunciare, dare voce agli ultimi e agli invisibili è più forte della voglia di andare in pensione.
Ogni film di questa fase della sua carriera è un dono ma ci sentiamo - forse ancora troppo emozionati per essere del tutto lucidi, ma per nulla inclini a pentirci di aver espresso un'opinione a caldo - di dire che I, Daniel Blake è un'opera al livello dei suoi classici. Un film che abbiamo visto qui al Festival di Cannes nel silenzio più assoluto, a testa bassa, partecipi delle umiliazioni subite dai protagonisti: subite quotidianamente da migliaia di persone catturate nell'ingranaggio iniquo e disumano del sistema previdenziale britannico.
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La matita, lo scalpello e il PC
Daniel Blake è un vedovo di Newcastle avanti negli anni, un uomo spiritoso e gentile, attento al decoro del suo condominio, e attento agli altri. Dopo un grave infarto, impossibilitato a lavorare (è un formidabile carpentiere), per sopravvivere deve fare richiesta del contributo previdenziale, ma presto gli giunge l'amara sorpresa: la valutazione di un operatore sanitario che fa arenare la sua pratica perché gli assegna "solo 12 punti dei 15 necessari".
In attesa di un appello che potrà essere fissato solo dopo l'arrivo di una misteriosa telefonata da parte della "persona con poteri decisionali", un'entità elusiva con cui nessuno, dopo ore e ore di attesa che renderebbero intollerabile a chiunque la Primavera di Vivaldi, sembra poterlo mettere in contatto, l'unico modo che ha per andare avanti è ricorrere al contributo di disoccupazione, per ottenere il quale però Dan dovrà provare di aver cercato attivamente lavoro per un numero ingente di ore settimanali, pena sanzioni gradualmente crescenti (una sospensione dei suoi emolumenti).
Ma prima ancora di quell'inutile girotondo a detrimento suo, dei datori di lavoro e dei contribuenti britannici, Dan deve affrontare l'umiliante incombenza di inoltrare le sue pratiche on line, completamente digiuno di informatica com'è; e in qualche modo, di fronte alle trappole che gli rendono impossibile un'impresa banale che fa parte ormai della routine per la maggior parte di noi, tutti sentiamo l'eco delle nostre personali frustrazioni burocratiche con quelle procedure che sembrano ideate per convincerci a rinunciare a ciò che ci spetta di diritto. E lo sembrano perché lo sono. Ci strappa più di una risata, il magnifico Daniel Blake di Dave Johns, alle prese con form on line, pagine da "scongelare", e CV scritti meticolosamente a matita. Se non sapessimo già che questo è solo il girone più superficiale del suo inferno.
Persone, non numeri
Laverty e Loach affiancano a una delle figure tradizionalmente più deboli, l'anziano solo, malato e impossibilitato ad accedere a una pensione, un'altra delle situazioni economicamente più a rischio nella nostra "società del benessere": la madre single. Invece di concentrarsi sui propri problemi, Daniel si guarda intorno per vedere se c'è qualcuno che ha bisogno di una mano, e incontra la giovane mamma di due bambini (una deliziosa e intensa Hayley Squires) costretta a trascinare i piccoli da Londra a Newcastle per tirarli fuori da un ostello e in procinto di incorrere in una delle temute "sanzioni".
Ma quello che nasce come un sodalizio tra deboli un po' programmatico si trasforma in questo equilibrato, garbato e poetico script in una sincera e toccante amicizia che ci porta, se possibile, ancora più vicini ai personaggi: piccoli gesti, dettagli ricchi di significato, le parole di Daniel su una moglie che gli ha dato gioie e pene ugualmente infinite, una piastrella che si stacca dalla parete del bagno vanificando gli sforzi di una madre che cerca disperatamente di dare una dimora decorosa ai suoi figli, ci regalano personaggi a tutto tondo, figure memorabili e legami credibili e una delle lezioni più importanti di I, Daniel Blake: quando vi dicono che siamo solo molle in un ingranaggio, numeri in un elenco, vittime designate di un sistema che passa per tali e tanti ciechi e snervanti passaggi da perdere qualsiasi umanità, non credeteci. Siamo persone e le persone si aiutano a vicenda.
Movieplayer.it
4.0/5