Si dice che i cattivi siano più interessanti da interpretare, ma c'è da aggiungere qualcos'altro: interpretare i buoni è più impegnativo perché è più difficile renderli interessanti.
E probabilmente, pochissimi altri attori sono riusciti a rendere interessanti sul grande schermo i cosiddetti "buoni" quanto Gregory Peck. Capelli neri, un metro e novanta di altezza e quel sorriso benevolo e gentile capace di ammaliare gli spettatori ancora oggi, Eldred Gregory Peck (ma scelse di farsi chiamare con il suo secondo nome perché per Eldred sarebbe stato impossibile usare un diminutivo) ha rappresentato per decenni, un po' come i colleghi James Stewart e Cary Grant, il "volto rassicurante" di Hollywood, con quel portamento da perfetto gentiluomo che lo contraddistingueva anche fuori dal set.
Nato a San Diego, in California, il 5 aprile 1916, ma con una buona percentuale di sangue britannico nelle vene, cresciuto con la nonna paterna dopo il divorzio dei genitori e in seguito in un collegio militare, Gregory Peck vede la sua popolarità esplodere all'improvviso fin dal suo esordio al cinema, nel 1944, quando è un ragazzo di neppure ventotto anni esentato dal servizio nell'esercito a causa di un infortunio alla schiena e impegnato a dimostrare le sue doti d'attore in palcoscenico.
A Hollywood si accorgono di lui e gli affidano da subito ruoli da protagonista: nel 1944 recita quindi nel dramma bellico Tamara figlia della steppa di Jacques Tourneur e interpreta un prete cattolico che accetta di partire per la Cina come missionario ne Le chiavi del paradiso di John M. Stahl. Conforme allo spirito religioso della Hollywood dell'epoca, Le chiavi del paradiso fa guadagnare a Gregory Peck la sua prima candidatura all'Oscar come miglior attore e lo trasforma in una star: un successo fulmineo che sarebbe stato confermato da una lunga galleria di ruoli memorabili. E il centenario della nascita di Peck ci offre l'occasione di ripercorrere alcune fra le tappe fondamentali della sua carriera attraverso cinque titoli imprescindibili nella sua eccezionale filmografia.
Fra realtà e sogno: Io ti salverò
Se il 1944 sancisce lo strepitoso debutto di Gregory Peck sul grande schermo, il 1945 lo consacra, non ancora trentenne, a divo di prima grandezza, con due pellicole che si piazzano nella Top 10 dei maggiori incassi dell'anno al box office: la struggente storia d'amore La valle del destino, accanto a Greer Garson, e Io ti salverò, uno dei più fortunati thriller di Alfred Hitchcock, in cui Peck affianca la superstar Ingrid Bergman. Facendo leva sulla diffusa fascinazione nei confronti della psicanalisi e dell'opera di Sigmund Freud, Io ti salverò coniuga in maniera superba la suspense, il romanticismo e le suggestioni legate alla memoria e alle trappole dell'inconscio. La Bergman veste i panni della dottoressa Constance Petersen, psicanalista in una clinica d'igiene mentale nel Vermont, la quale si innamora del nuovo direttore dell'istituto, il giovanissimo dottor Anthony Edwardes (Peck). Ma quando questi viene accusato di essere un impostore e di aver assassinato il vero dottor Edwardes, Constance decide di restare al suo fianco e di accompagnarlo in una precipitosa fuga per far luce sull'omicidio e risalire alla reale identità dell'uomo. Ricordato anche per un'impressionante sequenza surrealista realizzata da Salvador Dalí, Io ti salverò trae gran parte della sua efficacia dall'alchimia fra Peck e la Bergman, uniti da una breve e segretissima relazione sentimentale durante le riprese (pur essendo entrambi già sposati).
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Amour fou nel Far West: Duello al Sole
Il 1946 è un altro periodo da incorniciare per la carriera di Gregory Peck, che si ritrova ancora una volta nella Top 10 annuale dei maggiori incassi al botteghino americano con le due pellicole di cui è protagonista. Il cucciolo, classico strappalacrime di Clarence Brown sull'amicizia fra un bambino e un tenero cerbiatto, ottiene un successo strepitoso, fa versare fiumi di lacrime agli spettatori di tutto il mondo e vale a Gregory Peck il Golden Globe e la seconda nomination all'Oscar come miglior attore. Ma a riportare risultati addirittura superiori, con venti milioni di dollari incassati negli Stati Uniti e un totale di cinquanta milioni di spettatori (tuttora nella classifica dei cento film più visti negli USA nella storia del cinema), è Duello al Sole, colossale produzione western in Technicolor di David O. Selznick, affidata a King Vidor e completata da altri tre registi. Jennifer Jones, superstar dell'epoca e moglie di Selznick, ha il ruolo di Pearl Chavez, ragazza meticcia in un ranch di fine Ottocento, contesa dai fratelli McCanles, il più generoso Jesse (Joseph Cotten) e il rude e cinico Lewton (Gregory Peck). Rispetto ai personaggi a lui più consoni, questa volta Peck viene spinto a cimentarsi con un ruolo diametralmente opposto: quello dell'incallito donnaiolo dall'atteggiamento audace e senza scrupoli. Per quanto alcuni aspetti del film risultino oggi un po' datati, Duello al Sole è ricordato soprattutto per un finale da antologia, con lo scontro fra le montagne fra Pearl e Lewton, destinato a un tragico epilogo.
Eroismo quotidiano contro i pregiudizi: Barriera invisibile
Un personaggio sicuramente più consono all'immagine di Gregory Peck, che un anno dopo Il cucciolo torna a prestare il volto ad un amorevole padre di famiglia e a un modello positivo per il pubblico: Philip Schuyler Green, il giornalista, vedovo e padre del piccolo Tommy (Dean Stockwell), al centro della storia di Barriera invisibile. Diretto da Elia Kazan sulla base del romanzo Gentleman's Agreement di Laura Z. Hobson, Barriera invisibile racconta la coraggiosa inchiesta di Philip, il quale decide di scrivere un reportage sul diffuso antisemitismo dei salotti newyorkesi fingendosi ebreo e assumendo il nome di Phil Greenberg: il suo 'esperimento', però, avrà conseguenze ancora più drammatiche del previsto. Meritevole di aver toccato un nervo scoperto della società americana, Barriera invisibile si aggiudica tre premi Oscar, tra cui miglior film, mentre a soli trentun anni Gregory Peck riceve la terza nomination della sua carriera.
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A spasso con Audrey: Vacanze romane
Fra tutti i film di Gregory Peck, Vacanze romane, datato 1953, resta probabilmente quello in cui l'attore californiano sprigiona maggiormente il suo fascino da leading man grazie al ruolo di Joe Bradley, un reporter americano di stanza a Roma, in grado di sfoderare il carisma e la simpatia necessari per un'impresa tutt'altro che semplice: conquistare la fiducia (e l'affetto) di Ann, giovanissima principessa in visita in Italia, ansiosa di sfuggire agli impegni diplomatici per trascorrere una giornata da comune turista. Diretto da William Wyler su un copione firmato (sotto pseudonimo) da Dalton Trumbo, Vacanze romane è una delle commedie romantiche più apprezzate negli annali della Hollywood classica, soprattutto grazie all'apporto della radiosa ventitreenne Audrey Hepburn, ricompensata con uno dei tre premi Oscar vinti dal film. E l'alchimia fra i due comprimari è uno dei segreti alla base della riuscita della pellicola: si pensi soltanto alla proverbiale scena dello scherzo di Joe alla Bocca della Verità (assente dal copione e improvvisato sul set).
Una lezione di umanità: Il buio oltre la siepe
Per Gregory Peck, da sempre acceso sostenitore dei diritti civili e impegnato in prima fila contro ogni forma di discriminazione e di pregiudizio, il ruolo della vita sarebbe arrivato sottoforma di un personaggio che, a mezzo secolo di distanza, continua ad essere considerato un simbolo universale di solidarietà e di progressismo: Atticus Finch, l'integerrimo avvocato di una cittadina di provincia dell'Alabama, nato dalla penna della scrittrice Harper Lee (scomparsa poche settimane fa). Atticus, padre vedovo dei piccoli Jem e Scout, è il protagonista di un magnifico classico del 1962, Il buio oltre la siepe, trasposizione dell'omonimo romanzo pubblicato dalla Lee appena due anni prima, per la regia di Robert Mulligan: il racconto della battaglia giudiziaria condotta da Atticus per difendere un ragazzo afroamericano accusato di stupro, in una comunità che sembra aver già sancito la propria condanna.
Lucido e amarissimo spaccato di un'America attraversata da un razzismo quotidiano, Il buio oltre la siepe coinvolge profondamente Peck: "Ho messo tutto in quel ruolo: tutti i miei sentimenti e tutto quello che avevo imparato in quarantasei anni di vita sulla famiglia, i padri e i figli. E i miei sentimenti riguardo la giustizia razziale e la disuguaglianza". Acclamato dalla critica, Il buio oltre la siepe riscuote un enorme successo, vince tre Oscar e fa guadagnare a Gregory Peck il Golden Globe e il premio Oscar come miglior attore (alla sua quinta e ultima candidatura); e nel maggio 2003, due settimane prima della morte di Peck, un sondaggio dell'American Film Institute eleggerà il suo indimenticabile Atticus Finch come il più grande eroe nella storia del cinema.
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