Se c'è una cosa che Charlie Brooker ha saputo fare con la sua serie più famosa - quella Black Mirror arrivata come un fulmine a ciel sereno nelle case degli spettatori inglesi su Channel 4 nel 2011 - non è solo anticipare i tempi in modo quasi inquietante attraverso l'imponente avanzamento tecnologico. È riuscito soprattutto a raccontarlo attraverso i legami emotivi tra i personaggi, vero espediente per far immedesimare gli spettatori in ciò che vedevano perché "sarebbe potuto capitare anche a loro", e perché coinvolgeva i loro affetti, più o meno vicini che fossero.

Su questa falsariga sono incentrati alcuni degli episodi più celebri della serie, oramai di casa su Netflix da quando la piattaforma l'ha "salvata" dalla cancellazione nel 2014. Proprio come conseguenza di questa acquisizione, potrebbe essere lo zampino dell'algoritmo, e il meccanismo sembra essere tornato nell'episodio probabilmente più chiacchierato della settima stagione appena arrivata in piattaforma (che, udite udite, non è il sequel di USS Callister). Ma sarà davvero così? Proviamo a ragionarci su in questo nostro speciale.
Hotel Reverie vs San Junipero: la potenza dell'algoritmo

San Junipero (il quarto episodio della terza stagione) è - guarda caso - non solo il titolo della puntata ma anche il luogo principale dove si svolgono le vicende, come nel suo "corrispettivo" (terzo episodio della stagione 7). Al centro due storie queer al femminile, quindi da tenere segrete alla massa poiché siamo sempre nel passato (anni '40 come anni '80) in un viaggio nei ricordi tra classici del cinema in bianco e nero e videogiochi arcade.
Tutti elementi volti a stuzzicare subito l'attenzione del pubblico e farlo istintivamente parteggiare per le protagoniste, che ovviamente non possono amarsi perché divise dal tempo, dallo spazio, dalle convinzioni popolari, dalla scienza.
La furbizia dei sentimenti in Black Mirror

(Fanta)scienza che parallelamente prova ad aiutarle grazie al programma San Junipero, un Aldilà alternativo digitale a pagamento sottoforma di ospedale (viene citato anche in USS Callister: Infinity quando Nanette si risveglia dopo l'attacco).
C'è chi fa un "giro di prova" come Yorkie (ma in realtà è vicina alla fine), chi oramai ha sottoscritto l'abbonamento perché gli restano pochi mesi di vita come Kelly ma mai entrambe avrebbero pensato di trovare proprio lì la loro persona, dato che la realtà comunque le aspetta dopo mezzanotte. Anche le attrici scelte non sono casuali: famose ma non troppo, di quella filiera indie che tanto piace agli appassionati doc. Da un lato Gugu Mbatha-Raw (Kelly) e Mackenzie Davis (Yorkie), dall'altro Issa Rae (Brandy Friday) e Emma Corrin (Dorothy Chambers).

In Hotel Reverie ci troviamo di fronte a due attrici meta-narrative dato che lo sono anche i loro personaggi, anche se di due epoche storiche diverse e une legata ad un classico in stile Casablanca dei fittizi Continental Studios. Quando una storia sembra scritta per poter piacere e non viceversa, ecco che si innesca nel nostro spirito critico il dubbio sulla buona fede del buon Brooker nell'aver imbastito questa sceneggiatura e nei registi scelti per averla messa in scena.

Badate bene: anche noi siamo stati stuzzicati, soprattutto a livello visivo e di concept iniziale dai crossover surreali messi in atto, ma ben presto siamo anche tornati coi piedi per terra, non riuscendo a farci trasportare da quei sentimenti che Black Mirror sembrava che dovessimo provare a tutti i costi. Chissà se è successo solamente a noi. Non si tratta di brutti episodi, ma di puntate troppo ruffiane per essere vere. Non è scattato il coinvolgimento emotivo se non solamente in parte (perché non abbiamo un cuore di pietra).
La serie Netflix risveglia il cinefilo in noi
Hotel Reverie è forse ancora più "subdolo" di San Junipero. L'episodio cita furbamente la crisi creativa della nostra epoca, con remake su remake fatti partendo da brand forti; o come in questo caso dal rifacimento di un classico con una tecnologia che inserisca solamente un interprete di oggi mentre tutto il resto rimane uguale e interagisce con quella persona come se nulla fosse.
Non solo va a toccare sentimenti - queer e non - potenzialmente facili da raggiungere nel cuore del pubblico, ma anche alcuni evidenti riferimenti mentali. La colonna sonora, le scenografie e i colori di San Junipero evocano fortemente l'epoca storica - anni '80 ma anche '90 e primi 2000 - per innescare un effetto nostalgia già sperimentato alla grande pochi mesi prima sul servizio streaming con il fenomeno Stranger Things.

Parallelamente il bianco e nero alternato ai colori e i dialoghi della golden age della settima arte misti a quelli smaccatamente moderni di Hotel Reverie accendono nel pubblico la passione cinefila per i grandi classici, tra critici in erba e studiosi incalliti, verso il periodo in cui "si faceva grande cinema" e che magari nella loro mente non si riesce a fare più. Ma proprio questo incontro-scontro tra i due stili crea un cortocircuito potenzialmente respingente. A voi è successo guardando queste due puntate o siete stati completamente trasportati da storie e interpreti?