"Trasformare il dramma in avventura e il diverso in meraviglia". Sono le intenzioni che hanno spinto Giorgia Farina, regista capace di reinventarsi ad ogni film (Amiche da morire, Ho ucciso Napoleone, Guida romantica a posti perduti), a realizzare Ho visto un re (in uscita il 30 aprile grazie a Medusa Film), una favola antifascista ispirata a eventi realmente accaduti. È la storia vera di Guido Longobardi, futuro giornalista, che ai tempi della campagna d'Africa, sogno collettivo e promessa di grandezza per un intero paese, era appena un bambino. Tra racconto di formazione, commedia grottesca e allegoria politica Farina catapulta lo spettatore in un mondo dominato dalle storture del fascismo, ma dove è ancora possibile rintracciare angoli di meraviglia grazie allo sguardo puro del piccolo protagonista.
Una storia di scoperta

Una "storia di scoperta" dell'altro e di se stessi, dove il potere dell'immaginazione diventa strumento di liberazione e resistenza, e l'innocenza di un bambino l'unica arma contro la xenofobia e l'ideologia fascista. Ho visto un re è questo e molto altro: è racconto popolare, è favola, commedia ma è soprattutto un cinema profondamente politico, capace di riappropriarsi di scampoli di umanità e responsabilità civile che i tempi moderni sembrano aver smarrito.
Tutto parte da Roccasecca, che nel 1936 è una tranquilla cittadina di provincia, dove la vita scorre pigramente tra slogan mussoliniani, bambini rigorosamente divisi tra Balilla e Piccole italiane, donne confinate al ruolo di mogli e madri con l'unico compito di dedicarsi al governo della casa e podestà pervasi dalla retorica di regime e dall'entusiasmo generale per la conquista dell'Etiopia, in un fervore coloniale senza precedenti. L'Africa è un luogo mitico e lontano, terra di conquista e mistero, relegata ai racconti epici e leggendari che arrivano dai libri di Salgari.

La vita del piccolo paese laziale è destinata ad essere sconvolta dall'arrivo di un ospite d'eccezione, Abraham Imirru (Gabriel Gougsa), un Ras etiope catturato e rinchiuso in una voliera nel giardino della villa del podestà Marcello (Edoardo Pesce). La sua presenza accende l'immaginazione degli abitanti, abituati a una vita semplice e scandita dalla propaganda politica e diventa rapidamente oggetto di curiosità, paura e pettegolezzi tra i cittadini. Per Emilio, un ragazzino di dieci anni con la passione per Sandokan, figlio del podestà e di Regina (Sara Serraiocco), il Ras non è né un nemico, né una minaccia.
Nella sua mente abitata dalle letture di Salgari e dalle fantasie di terre lontane, quel prigioniero non è un selvaggio incapace di "spiccicare una parola di italiano" e nemmeno uno "scimmione puzzolente", me è semplicemente Sandokan, il suo eroe. Attraverso gli occhi sognanti di Emilio la realtà si trasforma, e la brutalità della guerra e della sopraffazione si dissolve nel desiderio di conoscere ed evadere dai rigidi dogmi del mondo paterno.
L'infanzia come strumento di resistenza

Giorgia Farina firma una favola moderna in bilico tra l'incanto dell'infanzia come arma di evasione e i toni caricaturali della commedia che riflette sulle bassezze e le contraddizioni del fascismo. Il piccolo Emilio, straordinariamente interpretato da Marco Fiore, incarna la capacità dell'immaginazione di superare i pregiudizi e di vedere oltre la retorica della propaganda. In un'epoca in cui l'altro è ridotto a una caricatura da dominare o compatire, Emilio riconosce nell'uomo in gabbia un compagno d'avventura, un simbolo di libertà e di resistenza. La forza del film sta tutta nello sguardo innocente e senza filtri che solo l'infanzia può avere, una visione pura e priva di sovrastrutture che permette di trasformare il reale in un'avventura straordinaria, fatta di scoperte e della possibilità di stupirsi ancora.
Ho visto un re, quando la favola diventa denuncia
Ho visto un re diventa così un racconto di denuncia e la favola un mezzo per riflettere sul razzismo, la propaganda, l'autoritarismo, l'emancipazione femminile e il potere salvifico della fantasia. Il giovanissimo protagonista che sogna Sandokan e i suoi fedeli tigrotti e il taciturno Abraham, capace con un solo sguardo di raccontare la sofferenza e l'incrollabile dignità degli ultimi, rappresentano la possibilità di una resistenza silenziosa.
Come pure lo zio omosessuale di Emilio (Lino Musella), "un comunista nascosto in una bottiglia di grappa", a cui Farina affida una delle frasi manifesto del film: "Viviamo in un mondo di deficienti, mi vergono e le chiedo perdono a nome dell'Italia antifascista". Tutto intorno si agitano podestà e federali ridotti a figure caricaturali, macchiette vittime della loro stessa smania di grandezza; sono il volto di un'umanità piccola e ridicola nei gesti e nei pensieri. Un mondo tristemente grottesco, dal quale però ci si può salvare: basta guardare l'orizzonte e aspettare che arrivi Sandokan.
Conclusioni
Usando espedienti a lei cari, come le incursioni animate per rappresentare il mondo immaginario del piccolo protagonista, il tono grottesco della commedia e quello sognante della favola, Giorgia Farina realizza con "Ho visto un re" un piccolo capolavoro. Attraverso un racconto di formazione riflette sul valore della libertà e sul potere dell’immaginazione come atto sovversivo. Lo sguardo senza filtri di un bambino diventa un’arma di ribellione e resistenza antifascista.
Perché ci piace
- La favola come strumento di denuncia.
- La riflessione sul potere salvifico dell’immaginazione, che diventa un vero e proprio atto di resistenza al fascismo.
- La combinazione equilibrata di grottesco e favolistico.
Cosa non va
- La caratterizzazione di alcuni personaggi resta spesso troppo superficiale.