È solo una questione di tempo. Di tempo e di pazienza. Vale per i film e vale per gli eroi che oltrepassano gli anni per capire se stessi, per diventare consapevoli di quello che sono e di quello che valgono. La loro storia viaggia tra la gente, come fanno i miti e le leggende, tramandandosi grazie al passaparola. Questo è il destino che lega Connor MacLeod e Highlander - L'ultimo immortale, l'eroe e la sua storia. Il primo è un valoroso guerriero del 1500, appartenente ad un fiero clan delle Highlands scozzesi. Un giorno Connor viene ferito in battaglia con un colpo che avrebbe ucciso chiunque. Chiunque ma non lui. Perché MacLeod è un Highlander, parte di una stirpe di uomini con il dono (o la condanna) della vita eterna. Il secondo, invece, è un film che gli assomiglia molto.
Uscito nel 1986, Highlander ha il coraggio di presentarsi al pubblico con una veste inedita e ardita, assieme a una doppia linea narrativa che unisce tempi lontani, personaggi diversi, epoche distanti secoli interi. L'audacia dell'opera di Russell Mulcahy però non viene premiata dal pubblico e l'etichetta "flop" è una condanna forgiata dai numeri: costato 16 milioni di dollari, ne incassa soltanto 13 negli Stati Uniti. Poi succede qualcosa. Succede che le sue spade con il passare degli anni non si arrugginiscono, anzi, ritrovano un'insperata lucentezza. Lo spettatore riscopre Highlander, la sua epica originale raccontata con sfrontata genuinità. Così il film attraversa il tempo come il suo eroe, passa da flop a guilty pleasure, per poi elevarsi a stato di cult. Noi, oggi, a 30 anni da quella sfortunata uscita, vogliamo celebrare il buon Connor e capire attraverso 5 ricordi come abbia fatto ad arrivare sin qui senza perdere la testa.
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1. L'eroe dei due mondi
Dai fumosi vicoli di una New York moderna alle verdeggianti valli scozzesi post-medievali. La fotografia cupa che abbraccia palazzi e automobili che si mescola a immagini limpidissime di destrieri e antichi eroi. Highlander è un film dalla doppia anima, affascinato dal passato e calato nella contemporaneità. È curioso come la pellicola passi con estrema nonchalance dal 1500 agli anni Ottanta, attraverso carrellate orizzontali e verticali che aprono squarci spazio-temporali dove McLeod funge da unica costante, quasi una guida che invita lo spettatore a seguirne l'avventura infinita. Questa scelta narrativa si è tradotta anche in una particolare impronta cinematografica, una natura ibrida che non permette di inquadrare Highlander in un unico genere. Se le sequenze nel passato portano i segni di un classico low fantasy (l'eroe solitario, l'ambientazione realistica, un destino da affrontare), le scene newyorkesi, tra indizi, indagini e sospettati, creano uno strambo giallo. Poi, però, l'esplosivo scontro finale mette a nudo la fiera anima da urban fantasy di questa camaleontica creatura cinematografica.
Le stelle sono solo punte di spilli nel manto della notte
2. Una fiaba postmoderna
Un eroe. Una missione. Un nemico. Un mentore. L'avventura di McLeod è un lunghissimo (e per certi versi classico) percorso di formazione di un uomo che sa di avere un appuntamento a cui arrivare. "Ne rimarrà soltanto uno" è il motto della sua esistenza, l'assillante monito che lo conduce verso l'agognata Adunanza, ovvero il giorno fatidico in cui l'ultimo degli eroi immortali riceverà la Ricompensa. Quello di Connor è quindi un archetipico viaggio dell'eroe, preso per mano da un fondamentale maestro di nome Ramirez, assediato da un nemico (Kurgan) e costretto a scoprire valori, gioie e dolori nel corso del suo cammino. Attraverso il suo racconto, Highlander ci presenta una fiaba adulta che non rinuncia mai ad un respiro epico. Questa miscela di generi e questa capacità di sfuggire ad una definizione univoca, ne fanno una perfetta opera postmoderna.
È meglio bruciare subito che spegnersi lentamente
3. Amare la vita grazie alla morte
Dono o condanna? La vita eterna è invidiabile o detestabile? Il dilemma esistenziale posto da Highlander è molto profondo e con il passare dei minuti protende per le seconde risposte. Il nostro Connor non sembra mai cadere nel vezzo della vanagloria e dell'onnipotenza, anzi, vive la sua vita da Highlander con l'atteggiamento di chi è stato investito di un dono e, di conseguenza, di una grande responsabilità. Ma se da una parte l'immortalità gli permette eroici atti di altruismo (come salvare una bambina dai nazisti), dall'altra lo pone dinanzi alla prospettiva dell'inevitabile scomparsa delle persone care. Il suo amore con Heather, nella sua semplicità, ci regala scene di sincero romanticismo. Lo fa con piccoli gesti, con attimi quotidiani ma non per questo meno preziosi, vissuti in compagnia di una coppia isolata dal resto del mondo e che basta a se stessa. Infine, il fatto che la tanto attesa Ricompensa sia la mortalità, rende Highlander un piccola, grande riflessione sul senso della vita.
4. Connery. Sean Connery
Quella dote innata chiamata "presenza scenica" non è qualcosa che si quantifica orologio alla mano. Non è qualcosa che ha nei minuti la sua unità di misura, perché ai grandi attori basta un attimo per imporre il proprio segno sul film e soprattutto per rimanere impressi negli occhi del pubblico. È quello che accade qui con quel concentrato di fascino, eleganza e carisma che risponde al nome di Sean Connery. Scozzese puro sangue, nel film veste gli eccentrici panni piumati di Juan Sanchez Villa-Lobos Ramirez, maestro d'armi egiziano che inizia Connor all'arte della spada e segnare la via del suo percorso eroico. Il minutaggio di Connery è esiguo, ma l'attore riesce a dare così tanta umanità a questa sorta di grillo parlante da farci subito affezionare a lui. La sua voce, il suo aspetto, il suo modo di esprimersi danno forma a questo nobile giullare difficile da dimenticare.
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5. L'anima fiera degli anni Ottanta
Basta la scena d'apertura nel parcheggio per spiegare tutto. Quelle capriole del tutto immotivate, quel duello enfatizzato dallo scontro tra spadone stranianti e l'espressione, indimenticabile perché unica (nel senso che è una sola), di un Christopher Lambert granitico. Visto e recuperato con gli occhi di oggi, Highlander trasuda anni Ottant da ogni poro, attraversato in ogni suo fotogramma dall'anima smaccatamente pop di quell'epoca cinematografica. Ingenuo e genuino nel desiderio di intrattenere, il film di Mulcahy mantiene alta la tradizione di un cinema di combattimento votato all'azione, caratterizzato da un certo machismo che non manca di sconfinare in un pizzico di maschilismo (si contano almeno due scene in cui viene proferita la frase: "Zitta, donna!"). A questo vanno aggiunti i look da dannate rockstar dei nemici e poi la meravigliosa colonna sonora dei Queen che dona forza poetica a tante sequenze. E mentre Freddy Mercury si chiede chi voglia vivere per sempre, noi sappiamo che la risposta è quasi sempre dentro un film.