Ho realizzato Mala Noche per fare qualcosa che fosse fuori dagli schemi, perché io stesso ero fuori dagli schemi e ho scelto deliberatamente del materiale che a Hollywood non avrebbero toccato in un milione di anni.
Dentro e fuori dagli schemi, appunto: è un cineasta 'bifronte', Gus Van Sant, come pochissimi altri nel panorama contemporaneo. Un regista da sempre affascinato da ciò che si trova ai margini della società e della cultura; è per questo, probabilmente, che la maggior parte dei protagonisti dei suoi film sono degli outsider, contraddistinti da un malessere che li condanna a sentirsi diversi o fuori posto. Ma Gus Van Sant, nato a Louisville, in Kentucky, il 24 luglio 1952, all'occorrenza si è dimostrato anche in grado di aderire alle tendenze e ai codici del cinema hollywoodiano, pur mantenendo uno sguardo peculiare sulle storie che ha scelto di raccontare: ne sono una prova i rari ma importanti successi commerciali della sua carriera, alternati a progetti più sofisticati e complessi.
Cresciuto con la passione per la pittura e per il Super-8, Gus Van Sant si esercita fin da giovanissimo a lavorare sulle immagini, e al Festival di Berlino del 1986 presenterà il suo primo lungometraggio, Mala Noche, girato a bassissimo costo in 16 mm. Il film, che recupera lo spirito del cinéma vérité, gli fa guadagnare una certa considerazione nel circuito festivaliero e nel 1989 gli consente di realizzare Drugstore Cowboy, ritratto di un gruppo di ragazzi tossicodipendenti basato sul libro autobiografico di James Fogle. Interpretato da un venticinquenne Matt Dillon, Drugstore Cowboy ottiene un vasto consenso e si impone fra i titoli di punta del cinema indipendente americano di fine decennio, confermando Van Sant fra gli autori più promettenti della sua generazione: una 'promessa' che, da lì a breve, sarà pienamente mantenuta, a dispetto di qualche incidente di percorso, tra cui il fiasco senza appello di Cowgirl - Il nuovo sesso nel 1994 o del suo bizzarro Psycho datato 1998.
Regista sempre pronto ad affrontare dei rischi o a imbarcarsi in nuove sfide (inclusa la scelta di ricalcare scena per scena il capolavoro di Alfred Hitchcock), Gus Van Sant si è lasciato corteggiare da Hollywood senza però rinunciare a dedicarsi pure a pellicole più 'piccole' e personali, spesso in equilibrio fra narrazione canonica e sperimentalismo. Il risultato è una produzione eterogenea all'interno della quale abbiamo selezionato, in ordine cronologico, alcuni tra i migliori film da lui diretti in quasi quattro decenni di attività dietro la macchina da presa.
1. Belli e dannati
Assoluta pietra miliare nel filone del New Queer Cinema, Belli e dannati (ma l'evocativo titolo originale è My Own Private Idaho) recupera elementi delle tragedie storiche di William Shakespeare (Enrico IV ed Enrico V) per declinarli nello scenario della West Coast e nella vita di strada di due ragazzi che sbarcano il lunario mediante la prostituzione: Scott Favor (Keanu Reeves), ricco rampollo che ha rinnegato la propria famiglia, e Mike Waters (River Phoenix), più insicuro, affetto da attacchi di narcolessia e profondamente innamorato di Scott. Mescolando racconto di formazione, cinema d'avanguardia e dramma on the road, con Belli e dannati Gus Van Sant firma il suo capolavoro: un film sincero e struggente, in cui un ventenne River Phoenix, premiato come miglior attore al Festival di Venezia 1991, regala la miglior interpretazione della sua breve carriera.
Belli e dannati, 25 anni dopo: il ricordo del film con River Phoenix e Keanu Reeves
2. Will Hunting
Accolto dagli studios hollywoodiani e forte del buon responso per la black comedy Da morire (1995), nel 1997 Gus Van Sant viene ingaggiato dalla Miramax, su richiesta dei co-sceneggiatori Matt Damon e Ben Affleck, per dirigere quello che si rivelerà di gran lunga il suo film più visto e più popolare di sempre: Will Hunting. Incentrato sul rapporto fra il protagonista eponimo, un ragazzo dei sobborghi di Boston con capacità intellettive fuori dal comune, e il suo psicologo, il dottor Sean Maguire (Robin Williams), Will Hunting è un dramma più tradizionale rispetto ai precedenti lavori di Van Sant, ma attraversato comunque dalla sua sensibilità e da una forte empatia per i personaggi. Il film registra cinquanta milioni di spettatori in tutto il mondo, trasforma Matt Damon in una star di prima grandezza, vince due premi Oscar e fa guadagnare a Van Sant la nomination per la miglior regia. Nel 2000, inoltre, Van Sant dirigerà un film molto simile, Scoprendo Forrester, sempre basato sull'amicizia fra un giovane di grande talento e una figura più adulta che lo aiuterà a trovare la propria strada.
Robin Williams: il nostro ricordo e i 10 ruoli indimenticabili
3. Elephant
Ma l'inizio del nuovo millennio segna soprattutto il ritorno di Gus Van Sant a un cinema dal taglio più marcatamente autoriale e quanto mai lontano dalle logiche di mercato: prima con Gerry (2002) e subito dopo con uno dei suoi titoli più acclamati, Elephant, nato dalla proposta di Diane Keaton (qui in veste di produttrice) di realizzare un film ispirato al massacro di Columbine. Interpretato da giovani attori non professionisti, Elephant adotta uno stile minimalista che aderisce in tutto e per tutto allo sguardo dei personaggi (a partire dal ricorso a lunghi piani sequenza) per descrivere la placida quotidianità di un liceo nei sobborghi di Portland e l'improvviso bagno di sangue provocato da due studenti, Alex ed Eric. Ricompensato con la Palma d'Oro e con il premio per la miglior regia al Festival di Cannes 2003, Elephant si propone come un'indagine quanto più possibile lucida sulla "banalità del male", senza alcuna concessione alla spettacolarità né all'enfasi.
4. Paranoid Park
L'inquietudine e il senso di alienazione dell'adolescenza e della giovinezza, temi-chiave di gran parte del cinema di Gus Van Sant, sono anche al cuore di Paranoid Park, basato sull'omonimo romanzo di Blake Nelson e presentato al Festival di Cannes 2007. Appartenente anch'esso al versante più sperimentale e innovativo della filmografia del regista, Paranoid Park è costruito attorno ad Alex (Gabe Nevins), un sedicenne di Portland appassionato di skateboard e responsabile di un fatale incidente che provocherà la morte di un uomo. Frammentando la linearità cronologica, l'opera ci trasporta così all'interno del mistero della personalità di Alex e delle sue contraddizioni, senza imporre giudizi allo spettatore.
5. Milk
Più legato all'ottica del sistema hollywoodiano dei generi, ma capace comunque di ergersi ben al di sopra della media dei film biografici, Milk segnerà un altro successo trasversale di critica e di pubblico per Gus Van Sant, che nel 2008 porta sullo schermo la vera storia di Harvey Milk, attivista per i diritti degli omosessuali e consigliere comunale della città di San Francisco. La pellicola ripercorre l'ascesa politica del protagonista, a cui presta il volto un intenso Sean Penn, i suoi rapporti con la comunità gay di San Francisco, la campagna contro l'aberrante Proposition 6 e infine il suo omicidio per mano del collega Dan White (Josh Brolin). Animato da un pathos che ben si coniuga alla natura militante del film, Milk riceve due premi Oscar, incluso quello per la performance di Penn, e varrà a Van Sant una seconda nomination come miglior regista.
Da Stonewall a oggi, 50 anni di cinema americano tra omosessualità e diritti LGBT