Tra i film presentati in concorso in questa sesta edizione del Festival di Roma, il cinese Love for Life si è rivelato certo tra i più intensi. Diretto da Gu Changwei, già direttore della fotografia per Zhang Yimou e Chen Kaige, e regista del premiato Peacock (Orso d'Argento a Berlino nel 2005), il film è una love story dura ma toccante, sullo sfondo di una società arretrata e incapace di fronteggiare un male allora sconosciuto come l'AIDS (siamo a inizio anni '90). Un dramma che si concede anche importanti aperture umoristiche e quasi fantastiche, risultandone alla fine in un mix ben equilibrato tra melò, dramma a sfondo sociale e inserti grotteschi riusciti e mai gratuiti. Del film, e della sua complicata genesi, hanno parlato il regista e la protagonista, la bellissima Zhang Ziyi, nella conferenza stampa tenutasi nell'ambito del festival capitolino.
Gu, il film è un'opera molto importante, anche perché è la prima pellicola cinese dedicata all'AIDS e rivolta al grande pubblico. Può dirci com'è nato questo progetto? Gu Changwei: E' un discorso grande quello portato avanti dal film, specie per un paese come la Cina; il racconto di come questa comunità contadina, svantaggiata nel processo di sviluppo economico, incontra un nuovo pericolo, sconosciuto all'epoca. L'AIDS per i cinesi è un discorso molto delicato, su cui c'è una certa sensibilità: per questo non è stato facile fare un film sull'argomento, siamo anche dovuti scendere a dei compromessi. Alla fine, comunque, siamo riusciti a portarlo a termine.
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Come avete lavorato all'interno del villaggio in cui avete girato il film, e con attori non professionisti?
Gu Changwei: Poiché il tema è particolare e delicato, per raccontare questa storia bisogna conoscere il background cinese degli anni '80 e '90. Tanti contadini si sono sacrificati, col sudore e con la propria stessa vita, per arricchire la gente di città: nel film i paesani vendono il loro sangue per pura sopravvivenza. Molti artisti sono stati colpiti da questa malattia, oltre a molta gente comune; io insegno all'Accademia di Cinema e cerco di coinvolgere sempre gli allievi sul tema, di interessarli a questo argomento. Nel film ci sono tre veri pazienti colpiti dall'AIDS, tra cui il bambino che racconta la storia in prima persona; nel villaggio abbiamo anche girato un documentario intitolato Insieme, che coinvolgeva contemporaneamente persone sane e malate.
Zhang Ziyi: Nella fase preparativa ho sentito che il regista voleva coinvolgere anche veri pazienti ammalati di AIDS; da noi, il contatto con un malato è visto in genere come uno spauracchio terribile, ma a ripensarci oggi non c'è stato niente di spaventoso: mangiavamo insieme e convivevamo tranquillamente. E' stata un'esperienza meravigliosa, molto positiva e costruttiva, e penso che il film sia un'ottima occasione per il grande pubblico per conoscere l'argomento: quando interpreti un ruolo del genere devi anche tirar fuori il tuo pensiero su questo tema; la solidarietà umana aiuta, quella senza barriere, e questa può essere espressa anche dal cinema, che è un linguaggio universale. Io spero che il pubblico internazionale possa percepire il film così come quello cinese; da noi è stato accolto molto positivamente, e spero sarà così anche all'estero.
Qual è stata, esattamente, la reazione del pubblico cinese? Gu Changwei: Il grande pubblico è stato coinvolto dalla drammaticità della storia: il tema, in fondo, è la bellezza della vita, e il fatto che l'amore è la sua parte migliore. E' proprio questo sentimento che trascina i due protagonisti. Per realizzare il film ci sono voluti cinque anni di preparazione, abbiamo attraversato moltissime vicissitudini e situazioni insopportabili; ma più c'erano difficoltà, più noi eravamo stimolati, perché era un tema troppo importante da trasmettere al pubblico. Il tema dell'AIDS in Cina è quasi tabù, anche nell'ambiente ospedaliero; solo gli ospedali specializzati trattano la malattia, altrove un malato di AIDS viene emarginato. Per questo serve mettersi insieme e combattere una battaglia per l'integrazione di queste persone, una battaglia non violenta.
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Intorno alla protagonista si vede spesso il colore rosso, perché? Gu Changwei: Nel film il rosso è un segno: c'è il sangue, l'abito della protagonista, il libretto che certifica il matrimonio dei due. E' una tonalità che fa parte della storia stessa, ma non riesco a spiegarne a parole il motivo preciso.
In Cina molti intellettuali, tra cui il suo collega Ai Weiwei, vengono tuttora incarcerati. Cosa pensa della censura e del tema della libertà d'espressione nel suo paese? Gu Changwei: Io e Ai Weiwei eravamo colleghi all'università, ci siamo iscritti insieme ma lui ha abbandonato gli studi prima della laurea. In seguito ci siamo incontrati spesso a New York, io ero lì per girare un corto e lui partecipava a varie manifestazioni politiche. Non vorrei soffermarmi sul suo caso specifico, comunque: il fatto è che c'è stato uno sviluppo economico gigantesco in Cina, anche il pubblico del cinema si allargato moltissimo, ma per i temi trattati ci sono ancora molti problemi. Perché abbiamo speso ben cinque anni per fare questo film? Per trattare certi temi si deve passare ancora per un percorso molto tortuoso e complicato, ogni progetto va prima sottoposto alla censura, bisogna superare una specie di esame, e alla fine il prodotto è inevitabilmente distante dall'idea iniziale. Abbiamo dovuto tagliare tante scene: ad esempio quelle che coinvolgono il fratello maggiore, un personaggio che, nella società cinese, sarebbe molto difficile da definire come positivo o negativo. Io spero che in futuro, nel cinema cinese, possano essere trattati più spesso argomenti come questi, e che possiamo avere più apertura e libertà.
Zhang, lei due anni fa disse che, nonostante ormai abbia lavorato spesso a Hollywood, non si sente un'attrice hollywoodiana. Ha cambiato idea in questi due anni? Zhang Ziyi: Io a 19 anni ho interpretato il mio primo film con Zhang Yimou, che era La strada verso casa, poi ho lavorato ne La tigre e il dragone di Ang Lee: mi ritengo per questo molto fortunata, visto che sono cresciuta sotto la guida di grandi maestri. Per quanto riguarda Hollywood, non credo di appartenerci: a volte lì posso divertirmi un po', ma le mie radici sono nella mia patria, e i personaggi migliori che ho interpretato fanno parte di film girati nella mia lingua madre. I film riusciti che ho interpretato a Hollywood sono stati casi fortuiti, ma comunque ritengo Hollywood un mondo affascinante, e non è escluso che in futuro ci ritorni.
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Gu, è vero che per il film ha coinvolto anche gruppi che lavorano coi sieropositivi? Gu Changweu: Sì, il film è stato anche riconosciuto dal sistema sanitario cinese: loro, per il loro lavoro, hanno un grande bisogno di film come questi. Devo comunque ringraziare tutto il cast: sono stati molto forti, determinati, e inoltre hanno lavorato senza compenso. Senza il loro contributo il film poteva morire prima ancora di nascere.