Una comicità quieta e silenziosa, l'incontro fortuito di due ragazzi nel Giappone contemporaneo e il desiderio come elemento che sfugge ad ogni tipo di rappresentazione. Passa da qui il ritorno alla regia di Adachi Shin, autore giapponese noto soprattutto per le sue sceneggiature (100 Yen Love ispirò il successo cinese Yolo), che negli anni si è saputo ritagliare uno spazio anche alla regia con titoli indimenticabili come A beloved wife, commedia umoristica infarcita di situazioni da sit com e ispirata al suo romanzo autobiografico del 2016.

Al Far East Film Festival (in programma dal 24 aprile al 2 maggio) presenta in questi giorni un piacevole road movie, Good Luck, con cui continua a portare avanti la sua poetica di decostruzione della commedia romantica iniziata proprio con A beloved wife. Niente lacrime, né amori impossibili in cui lo spettatore possa crogiolarsi, ma solo lunghi scambi di battute sul senso della vita, mentre sullo sfondo si adagia un desiderio che non troverà mai la forza di consumarsi. A prelevare è il reale con la sua bizzarra e strampalata comicità.
L'antiromanticismo di Good Luck
Con Good Luck, Adachi Shin prende in prestito la struttura narrativa di Prima dell'alba di Richard Linklater a cui il film si richiama costantemente e che i protagonisti della storia citeranno nel finale in un esilarante scambio di battute ("Non c'era un film così?", "Un film straniero. Era di Ethan Hawke", "Prima del tramonto!", "Non era "Prima dell'alba?", "Prima del tramonto era il sequel"); ma invece di realizzare una agrodolce commedia sull'amore fugace e irrealizzabile, il regista ribalta i cliché del genere e firma un'opera profondamente anti-romantica e buffa servendosi di situazioni surreali e bizzarre.
Anche qui come nel precedente A beloved wife mette in scena il suo alter ego, affidandolo al personaggio maschile, Taro (Sano Hiroki), un giovane cineasta confuso e incapace di esprimersi, un talento poco più che mediocre che viene invitato a partecipare con il suo documentario a un festival di cinema indipendente, in una storica sala di Beppu nella prefettura di Oita. A sostenerlo economicamente e a incoraggiarlo è la sua fidanzata Yuki (Kato Saki), protagonista del documentario dedicato proprio a lei, "la persona più importante della sua vita".

Ma su quel palco il viaggio di Taro prenderà una piega inaspettata: distrutto dalla presentatrice, che confessa di aver trovato il suo lavoro a dir poco noioso e che lo incalza con domande scomode ("Perché fai cinema?"), il ragazzo si concede una visita in città e incontra Miki (Amano Hana), una giovane donna, libera e solare, che trascorre la maggior parte del tempo a girovagare in solitaria facendo amicizia con degli sconosciuti e cercando di trovare un senso alla propria vita. Con lei Taro deciderà di partire per una breve gita alla scoperta di Bungo-Ono villaggi vicini e trascorrere così il tempo che gli rimane prima del suo ritorno a Tokyo.
I 5 migliori film di Richard Linklater: la vita tra sogno e realtàUn bizzarro diario di viaggio
L'improbabile incontro tra i due, che ricorda quello di Jesse e Celine in Prima dell'alba, non ha però nulla di struggente, anzi: tutto si muove nella direzione di una racconto sull'impossibilità del desiderio o sull'incapacità di provarne uno. Taro è un passivo cronico, non sa quello che vuole, né cosa raccontare nei suoi film, è incastrato in una relazione di cui probabilmente non gli importa nulla, e ora si ritrova a confidarsi con una sconosciuta.

Miki dal canto suo si è ormai rassegnata ad un peregrinare senza meta nell'attesa di provare a "fare cose" che realmente le importino "prima di morire". I due parlano, si raccontano e si affidano l'uno alle confidenze dell'altro, ma il regista si guarda bene dal concedere alle loro intime confessioni alcunché di romantico o sexy, tra i due non c'è un minimo accenno di seduzione. Adachi Shin inanella una serie di incontri stravaganti per ottenere l'esatto contrario di quello che ci si aspetterebbe da una classica commedia sentimentale: la cupa locandiera della pensione in cui alloggiano, l'eccentrica direttrice del festival o la stramba ragazza all'accoglienza del campeggio new age immerso nel verde tra onsen e case sugli alberi. Spazio anche a un intermezzo onirico, dai risvolti metacinematografici, che ha però il limite di interrompere bruscamente il flusso della narrazione. Un assurdo diario di viaggio, che è insieme dramma sull'incapacità umana di esprimersi e divertita digressione sul genere della commedia romantica.
Conclusioni
Con Good Luck, Adachi Shin riesce ancora una volta nell’impresa di usare le regole del genere ma per rivisitarlo a proprio modo. In questo caso realizza una commedia sentimentale che di romantico non ha nulla; l’incontro di due giovani sconosciuti, che ricorda quello dei protagonisti di Prima dell’alba di Richard Linklater, diventa l’occasione per ribaltare i cliché che ci si aspetterebbe da un racconto simile. Un road movie per riflettere sull’impossibilità di rappresentare il desiderio o di provarlo, oltre che un dramma esistenziale sull’incapacità di esprimere le proprie passioni.
Perché ci piace
- L’utilizzo del genere, la commedia romantica, ma solo per ribaltarne gli stilemi.
- Il susseguirsi di situazioni assurde.
- Il mix equilibrato di dramma esistenziale e comicità.
Cosa non va
- L’irrompere della dimensione onirica interrompe il flusso naturale della narrazione.