La trasmissione di Gomorra - La serie su Sky Atlantic HD, il prossimo 6 maggio, rappresenterà per molti versi un vero e proprio evento. Questo perché il serial di Stefano Sollima è, a tutti gli effetti, un vero e proprio kolossal televisivo: già acquistato in 40 paesi del mondo (negli Stati Uniti addirittura da un colosso come la Weinstein Company), per un progetto che, fin dalla sua genesi, si presenta come pensato per la dimensione internazionale. In questo, la serie (di serie a tutti gli effetti si tratta: dodici episodi con un più che probabile prolungamento per una seconda stagione) è figlia del precedente, e fortunatissimo, prodotto televisivo di Sollima, Romanzo Criminale - La serie. Ma, a differenza dell'epopea criminale ispirata alle gesta della Banda della Magliana (ormai storicizzate) Gomorra è anche un prodotto che punta la sua lente di ingrandimento sul presente; su una realtà drammatica come quella dei quartieri di Napoli in mano alla criminalità organizzata, come già fecero il libro di Roberto Saviano a cui si ispira, e il successivo film di Matteo Garrone. Nel quartiere di Scampia, in particolare, le polemiche non sono mancate, tra le proteste di associazioni e cooperative impegnate nel sociale, quelle della municipalità e dello stesso sindaco del capoluogo campano, Luigi De Magistris; preoccupati, da par loro, dell'immagine che un'opera del genere, vista anche la sua propensione all'esportazione, potrebbe fornire di Scampia e di Napoli in genere.
Polemiche a parte, i primi due episodi di Gomorra (che abbiamo potuto vedere in anteprima) confermano quanto di buono sapevamo dell'approccio alla regia di Sollima; sorta di showrunner, quest'ultimo, che ha coordinato il lavoro di regia suo, e quello dei suoi due colleghi Francesca Comencini e Claudio Cupellini. La serie sembra affondare il bisturi nella complessa realtà del microcosmo camorristico, restituendone le sfumature, le contraddizioni, la brutalità senza fine; ma anche un'umanità complessa e contraddittoria. Una descrizione antropologica che finora si è centrata soprattutto su tre personaggi (il vecchio e spietato boss col volto di Fortunato Cerlino; il suo immaturo figlio interpretato da Salvatore Esposito; il suo giovane e ambizioso braccio destro, che ha le fattezze di Marco D'Amore); inserita, di suo, in una solida struttura di genere, che non manca di tensione e di elaborate, realistiche sequenze d'azione.
A presentare la serie in conferenza stampa, nella cornice del cinema Warner Moderno di Roma, sono stati lo stesso Sollima, insieme ai suoi due colleghi registi, al vice presidente di Sky, responsabile di cinema, news e intrattenimento, Andrea Scrosati, all'altro responsabile del network satellitare Nils Hartmann, al patron della co-produttrice Cattleya Riccardo Tozzi, e a una parte del cast.
Andrea Scrosati: Negli ultimi 10 - 15 anni, è soprattutto nelle serie TV che si sono sviluppati la creatività, il linguaggio, la costruzione di storie. Abbiamo circa 120 serie all'anno, in media, che arrivano dagli USA, e decine ne vengono prodotte anche nel nostro paese. Alla fine, però, ce ne sono forse 3 o 4 che lasciano dentro alcuni elementi, che fanno pensare quando smetti di vedere una puntata. Per chi svolge il nostro mestiere, l'obiettivo è proprio quello: ma è molto difficile da raggiungere, si tratta di stimolare l'emozione e il pensiero. Il nostro, crediamo sia uno di quei prodotti che ci riesce. Siamo soddisfatti anche del grande riscontro internazionale avuto: di solito questo avviene solo per le serie americane. Ciò dimostra che il nostro paese ha non solo una grande vivacità intellettuale, ma anche una capacità produttiva a livello internazionale. In un periodo di crisi, quello della creatività, cinematografica e televisiva, è un settore dinamico e che garantisce occupazione, crescita e sviluppo.
Riccardo Tozzi: Ci ha colpito il riscontro internazionale che ha avuto la serie, il fatto sia stata acquistata in tanti paesi sulla base della visione solo di una piccola parte del prodotto. Ciò perché stiamo sperimentando l'entrata sul mercato di una nuova serialità: una serialità che ha la capacità di padroneggiare il linguaggio, che tratta di temi universali come la famiglia, il disagio, lo spaesamento, attraverso il racconto di genere. Questo è però contaminato con un dato della tradizione, e cioè che il nostro cinema ha da sempre un radicamento nella realtà. Il processo era già iniziato con Romanzo Criminale, e qui si dispiega ulteriormente; tutto si confronta col vero, ma non ci sono sociologismi: questo "vero" è totalmente immesso nei meccanismi narrativi del genere. Questo fa della serialità italiana qualcosa che si può affermare nel mondo, come portatrice di un dato universale insieme a una specificità italiana. È l'incontro tra la nostra tradizione e il nuovo.
Nils Hartmann: Produrre una serie come questa è impegnativo e ci vuole tempo. Il progetto è un po' "figlio" di Romanzo Criminale: ma qui abbiamo fatto un ulteriore passo, anche dal punto di vista pragmatico, e da quello del modo di rapportarsi con un regista. Stefano ha supervisionato anche il lavoro degli altri due registi, in un progetto che ha una sua visione e una sua precisa coerenza artistica. Com'è portare sullo schermo una realtà così legata al vero?
Stefano Sollima: La difficoltà principale è quella di riuscire a riportare in forma seriale un romanzo complesso e stratificato, come quello di Saviano. Ma abbiamo forse trovato una "cifra", che forse costituisce una novità di racconto: ogni episodio offre infatti il punto di vista di un diverso personaggio. Questa differenziazione ci ha aiutato a rendere il racconto un po' più oggettivo: è un unico grande racconto, incentrato su una famiglia, con il focus però che cambia ad ogni componente. Il primo arco narrativo è dedicato principalmente al boss Pietro, poi c'è il momento in cui gli succede la moglie, Maria Pia Calzone, poi vediamo il regno del figlio Genny, interpretato da Salvatore Esposito. Servivano sguardi che fossero personali, infatti il secondo e il terzo segmento sono stati diretti rispettivamente da Francesca Comencini e Claudio Cupellini. Con un unico punto di vista, non avremmo rispettato lo spirito del romanzo.
Cosa possono dirci a riguardo gli altri due registi?
Francesca Comencini: Io ho diretto due delle dodici puntate; il "mio" punto di vista è quello della moglie del boss, interpretata da Maria Pia Calzone. Sono stata molto felice che abbiano pensato a me, perché era una sfida: sulla carta ho sempre fatto un tipo di cinema diverso, mentre qui mi si chiedeva di entrare in un lavoro collettivo con due colleghi, con cui ho avuto un confronto molto ricco. Ho potuto spezzare la solitudine che si prova dirigendo un film: qui il confronto era continuo. Ho inserito le cose che più mi stanno a cuore, si trattava di raccontare una parte spaventosa di questo paese; ma sono stata anche felice di tornare a Napoli, una città che amo (e in cui ho diretto Lo spazio bianco), e inoltre mi stimolava anche il poter dimostrare di saper girare scene d'azione. Credo che un regista, nel suo lavoro, debba essere in grado di fare un'ampia varietà di cose.
Claudio Cupellini: Abbiamo vissuto un anno intero a Napoli, e questo è il primo dato importante. Non siamo stati solo presi per fare degli episodi, abbiamo anche partecipato a tutta la genesi della serie. Rimarcherei la qualità di scrittura, visto che ci sono tre regni che si succedono, ma anche la capacità di mettere a fuoco tante altre cose: parlo della realtà che abbiamo incontrato mentre eravamo sul territorio, che ci ha fatto focalizzare ancora meglio certe situazioni. Anche gli attori ci hanno aiutato molto a restituire qualcosa che fosse estremamente vero.
Garrone, all'epoca del suo film, ci raccontava che, durante le riprese, c'era molto entusiasmo intorno a lui, che lui stesso si sentiva molto amato. Per voi è stato lo stesso? Stefano Sollima: Quando giri a Napoli, hai sempre molte persone dietro, è un entusiasmo che non può che farti piacere. Alle 9 di mattina, tra inviti a casa di questo e di quello, hai già preso 14 caffè! C'è stata un'accoglienza meravigliosa, nell'arco di un anno di riprese.
In questi due episodi si è visto un microcosmo fatto solo di camorra. Ci saranno anche personaggi esterni, magari più positivi?
Il racconto, in realtà, è più complesso di come appare in questi due episodi. L'ottica che abbiamo usato, che poi è l'unica possibile per raccontare una realtà del genere, è però quella interna. Il racconto non ha bisogno di una posizione "morale": è vero che si svolge all'interno dei clan, ma ci sono moltissimi personaggi che non ne fanno parte, e anche alcuni che lo contrastano. Il cambiamento del punto di vista, che si avrà nella serie, aiuterà ad avere un quadro molto più complesso.
I due personaggi giovani sono molto definiti: il figlio del boss, Genny, appare come un povero stupido, un debole, mentre il personaggio di Ciro è affascinante e carismatico. Parlando con dei ragazzi che avevano visto Romanzo Criminale, abbiamo potuto rilevare che questi avevano un'idea distorta della Banda della Magliana: dicevano che quelli erano "veri criminali", con un senso dell'onore. Non pensate che ci sia un rischio del genere anche qui?
Stefano Sollima: Io aspetterei almeno sei episodi, prima di dire una cosa del genere. Vi assicuro che il prodotto, in sé, è molto più complesso di come può apparire in questi due episodi, l'evoluzione dei personaggi è tutt'altro che scontata. Il racconto che spazia tra diversi punti di vista serve proprio a non creare un centro di empatia.
Andrea Scrosati: Come broadcaster, il nostro ruolo è quello di realizzare l'eccellenza nel prodotto che offriamo ai nostri abbonati; e questo scopo lo si raggiunge scegliendo le persone migliori. A queste va dato il massimo di libertà "culturale", e di lavoro. Vi assicuro che se qualcuno prova un briciolo di empatia con i personaggi della serie, quella persona ha un grande problema con se stessa. Romanzo Criminale aveva un elemento di fantasia ed invenzione, c'era anche un aspetto di costume visto che trattava eventi di 25 anni prima; ma qui l'aspetto di realtà è molto più forte.
Riccardo Tozzi: Qui siamo partiti dal reale: e nel reale non ci sono il "figo" e lo stupido. C'è la realtà, invece, che è molto più complessa. In Romanzo Criminale c'era davvero un elemento di mitizzazione, perché si trattava di qualcosa di finito che si era svolto nel passato.
Maria Pia Calzone, lei come si è rapportata al personaggio della moglie? Sembra una donna complessa, che deve avere a che fare con un marito capoclan e con un figlio problematico...
Maria Pia Calzone: E' stato semplicissimo, in realtà: avevamo un testo che ci permetteva di essere creativi, e inoltre avevamo registi che costantemente ci riportavano alla realtà di ciò che dovevamo fare. Io non credo di aver fatto il ritratto di una camorrista: ho semplicemente scelto un ruolo che mi permetteva di far vedere delle cose. Il fatto che lei fosse la compagna di un uomo potente faceva parte della storia; non mi sono posta il problema di aver interpretato una camorrista.
Pif, presentando il suo film, ha specificato che nessuno gli ha chiesto il pizzo per girarlo. Voi avete avuto problemi del genere? Riccardo Tozzi: Problemi ne abbiamo avuti, ma non di quel tipo. Questa richiesta non c'è stata mai fatta. Nessuno ci ha accostato o ci è mai venuto a cercare con queste intenzioni.
Torniamo all'"entusiasmo" suscitato dalle riprese. Non vi ha preoccupato un po'? All'epoca del film di Saviano, la presenza della troupe si legò all'assunzione di modelli di comportamento criminale da parte dei ragazzi di Scampia, che fraintesero il senso del film...
Stefano Sollima: In realtà, nel nostro caso, molti di quelli che hanno mostrato entusiasmo, lo hanno mostrato proprio perché sono stati coinvolti nel film come comparse. o in altri ruoli.
Francesca Comencini: Infatti, da parte di molti, l'entusiasmo era proprio quello di poter lavorare, come comparse o manovali. C'era un'insistenza nel chiedere di lavorare nella serie, anche per solo un giorno. Questo, ovviamente, si lega a semplici esigenze economiche, in una situazione che purtroppo tutti conosciamo.
Francesca Comencini: In realtà, non è trattata né come moglie, né come madre: solo all'inizio può apparire così, ma è un'impressione erronea. A un certo punto, lei assume il ruolo di protagonista, e diventa un'imprenditrice criminale. Nelle puntate da me dirette, Imma non è assolutamente più come si pensava che fosse: la vediamo comandare e diventare anche molto crudele. È una criminale.
Gli altri protagonisti cosa possono dirci, sui rispettivi personaggi?
Salvatore Esposito: Definire Genny come un personaggio "sensibile" o "coglione" o "cretino" significa sminuire il lavoro che è stato fatto scrivendolo. All'inizio non è ancora un camorrista, ha altre pretese: donne, moto, divertimento. Quando però si troverà di fronte alla realtà cruda e spietata della criminalità, allora dovrà spiegare a sé stesso quella realtà.
Marco Palvetti: Il percorso di un attore è proprio quello di entrare in un modo, e di uscirne in un altro. L'interessante è proprio vedere un personaggio che si trasforma, viverlo fino in fondo, anche come un gioco.
Marco D'Amore: Io dico solo una cosa, più generale, sul cast: noi siamo qui, in rappresentanza di un cast di 200 attori, che secondo me è il punto di forza di questa serie. E' la dimostrazione che la nostra regione è una fucina di talenti unici.
Fortunato Cerlino: Io e altri attori abbiamo una storia professionale importante, e riflettiamo la scelta della produzione di raccontare un mondo con strumenti professionali. Stare dentro a quel mondo, viverlo, è un'altra cosa, e questo film ne restituisce l'aria. Poterlo fare è stata la nostra responsabilità, e il nostro privilegio.