Era solo una questione di tempo prima che Daniel Alfredson, regista noto al pubblico italiano per aver diretto La ragazza che giocava con il fuoco e La regina dei castelli di carta, facesse il grande salto dalla natia Svezia verso le produzioni anglo-americane. Questo perché negli ultimi anni è divenuto un vero e proprio trend a Hollywood reclutare firme prestigiose provenienti dal cinema nordico.
Se fino a qualche anno fa il contingente scandinavo nel cinema e nella televisione USA si limitava sostanzialmente a Lasse Hallström e Bille August (con l'aggiunta del finlandese Renny Harlin per quanto riguarda alcuni titoli meno dignitosi), dal 2009 - ossia quando Uomini che odiano le donne fece il botto al box office internazionale e segnò lo sdoganamento del thriller nordico - è aumentato, e non poco: Niels Arden Oplev (Under the Dome, Mr. Robot), Daniel Espinosa (Safe House - Nessuno è al sicuro), Nikolaj Arcel (attualmente al lavoro su La Torre Nera), Baltasar Kormákur (Cani sciolti, Everest), Morten Tyldum (The Imitation Game) e ovviamente Tomas Alfredson (La talpa), fratello minore di Daniel, sono tutti passati al cinema in lingua inglese, spesso con ottimi risultati (vedi gli esiti artistici e commerciali de La talpa e The Imitation Game).
Dalla Svezia al Canada
Per la sua trasferta americana (dopo l'anglo-olandese Il caso Freddy Heineken), Alfredson ha scelto di portare sullo schermo un romanzo di Castle Freeman, Jr., spostandone però l'azione dal Vermont al Canada. Go with Me è un thriller le cui location, fredde ed isolate, si prestano bene all'occhio di un cineasta nordico. Difatti è l'atmosfera uggiosa a costituire il principale punto di forza del film, insieme ad un cast molto solido: Julia Stiles nel ruolo della donna in pericolo, Hal Holbrook come vecchio saggio, il giovane Alexander Ludwig (Vikings). Ma è interessante soprattutto la contrapposizione fra Anthony Hopkins e Ray Liotta. Il primo, già diretto da Alfredson ne Il caso Freddy Heineken e menzionato nei titoli di testa anche come produttore, offre una performance pacata, a tratti stoica, lontana anni luce dall'immagine che molti hanno di lui, cinematograficamente parlando (vedi Il silenzio degli innocenti); il secondo, nei panni del cattivo di turno, è più energico ed agitato, sfiorando la caricatura del boss locale e dando al film un'iniezione di vita che altrove viene spesso a mancare.
Provaci ancora, Daniel
Purtroppo, nonostante il potenziale a disposizione, Go with Me si rivela piuttosto piatto, procedendo verso un finale macchinoso e prevedibile senza prendersi la briga di elaborare tematiche interessanti quali il rapporto fra l'uomo e la natura ostile di questa regione canadese, il funzionamento della comunità in termini di legge e criminalità (da rivedere, in tal senso, l'ottimo Un gelido inverno), i rapporti fra genitori e figli. Alfredson, che non ha mai veramente retto il confronto con il fratello minore, si conferma quindi un regista capace ma troppo approssimativo, che si ferma al livello più superficiale, anche per via di una sceneggiatura raffazzonata ed altalenante. Ne risulta un film ben confezionato ma nel complesso inesorabilmente vuoto, indegno del passaggio fuori concorso alla Mostra di Venezia (tra l'altro l'unico incentivo per attirare il pubblico festivaliero, vale a dire il cast da esibire sul red carpet, era assente), e destinato - immaginiamo - ad una vita alquanto breve in sala. Se il regista dovesse tentare un'altra volta l'avventura americana, ci auguriamo che gli diano un materiale di base più solido.
Movieplayer.it
2.0/5