Francesco Di Leva è uno degli attori più sottovalutati ma più poliedrici ed interessanti del nostro cinema. Lo abbiamo visto interpretare ruoli molto diversi, a volte agli antipodi, in titoli come Il sindaco del rione sanità e Nostalgia di Mario Martone, passare alla tragicommedia di Sydney Sibilia in Mixed By Erry e ad Adagio di Stefano Sollima e la tv in Vincenzo Malinconico, avvocato d'insuccesso. Ora è al cinema dal 18 luglio distribuito da Altre Storie e Minerva Pictures il thriller psicologico Glory Hole (qui la nostra recensione), opera prima di finzione di Romano Montesarchio dopo numerosi documentari di successo, al quale ha collaborato alla sceneggiatura e del quale è protagonista.
Ambientata quasi interamente in un bunker, la pellicola narra la parabola criminale di un uomo e la sua incapacità di amare e rapportarsi alla bellezza. Il suo personaggio Silvestro, un colletto bianco della camorra, compie per amore un atto irreparabile e per salvarsi è costretto a rifugiarsi in un bunker sotterraneo che rappresenterà la sua prigione ma anche, forse, la sua via d'uscita. Lo abbiamo incontrato al BCT - Festival Nazionale del Cinema e della Televisione insieme al figlio Mario Di Leva, col quale reciterà presto per la prima volta insieme sul grande schermo.
Dal teatro al cinema
Francesco Di Leva non vuole sapere i finali dei libri... ma dei copioni sì: "Quelli li leggo ma mi prendo del tempo per arrivare al finale (ride)". Nest è un gruppo teatrale nato 15 anni fa in un'ex palestra abbandonata, ora diventata teatro a tutti gli effetti, voluta da un gruppo di artisti capitanato da Di Leva: "In realtà il 'me' è un 'noi' rappresentato da cinque persone, cinque artisti, seguendo un po' le orme del progetto Teatri Uniti. Senza fare paragoni, è il teatro che debutta al cinema. Tratto da un romanzo dello stesso regista del nostro gruppo, sarà diretto da Giuseppe Miale di Mauro, mentre il cast integrerà tutta la compagnia a partire da Adriano Pantaleo e i protagonisti a livello drammaturgico saremo io e mio figlio Mario".
Lavorare insieme sul set
A proposito dell'esperienza di riprese condivisa insieme, racconta Francesco: "Ho cercato di essere meno invadente possibile, di non essere padre ed essere collega. Ho lasciato che al regista il compito di dare le indicazioni per non far sentire il peso di una figura paterna. Sono molto esigente dal punto di vista del rigore e gli vorrei trasmettere il rispetto per tutte le maestranze. Questa cosa mi pone a volte una severità nel tono molto forte però qui ho cercato di placare questa ondata (ride). È stato un film stancante ma divertente. Sono uno di quei padri a cui fa piacere che il figlio faccia l'attore e continui la tradizione in un certo senso. Conosco la sensibilità che questo mestiere ti può insegnare (anche se può creare anche tanti stronzi, ride). Mia figlia Morena ha partecipato al Sindaco del Rione Sanità ma solo per gioco, vuole fare tutt'altro nella vita, Mario invece vorrebbe indirizzarsi verso l'alberghiero parallelamente al lavoro di attore. Anche perché io sono panettiere prima di essere attore e so cosa vogliano dire la fatica e il lavoro. Secondo me è una scelta di comodo perché pensa sia un lavoro leggero. C'è una diatriba in corso (ride).
Risponde Mario: "È stato un vero pugno nello stomaco, anche perché come ha detto lui prima, io ho pensato che mi avrebbe trattato da figlio sul set, invece si è comportato da professionista. È stato complicato ma dopo i primi giorni abbiamo trovato un nostro ritmo e una nostra quadra. Due anni fa si è fatto tatuare la frase 'Il mio attore preferito è Mario Di Leva' dopo che gli avevo rotto le scatole per 15 anni perché aveva tatuato il nome di Morena (ride). I primi soldi guadagnati li vorrei investire in una moto, ma non penso che papà sia tanto d'accordo (ride), e nello studio".