Guardare al passato per raccontare il presente. Un'operazione molto interessante da compiere, soprattutto se lo si fa attingendo a uno dei capolavori della letteratura italiana, Gli Indifferenti di Alberto Moravia, trasposto liberamente da Leonardo Guerra Seràgnoli nel film distribuito in digitale sulle principali piattaforme dal 24 novembre, in attesa di poter trovare anche la via della sala non appena sarà possibile.
Lo assicura il produttore Massimiliano Orfei di Vision, che sottolinea come sia "un film che merita il grande schermo", un progetto di una elevata complessità che hanno sposato con convinzione, perché "per noi di Vision è importante confrontarci con la complessità delle sfide". La via, almeno provvisoria, scelta è quella del Premium VOD, "una modalità distributiva che nel prossimo futuro avrà un grande spazio" e che permette al film di raggiungere un grande pubblico. "La scelta" spiega infatti Orfei "era tra aspettare o giocare una partita nuova e abbiamo pensato che fosse giusto portare il film al pubblico in questo momento storico."
L'attualità di un capolavoro
Una sfida a cui fa riferimento anche Fabrizio Donvito di Indiana, che ha prodotto questo nuovo adattamento de Gli indifferenti con Vision. Una sfida che hanno voluto affrontare perché si tratta di "una storia formidabile, umana, che rispecchia i tempi contemporanei", ma Donvito ammette i timori con cui hanno accolto, almeno inizialmente, la proposta di Leonardo Guerra Seràgnoli, che li ha convinti presentando vari adattamenti insieme allo sceneggiatore Alessandro Valenti. Il loro lavoro insieme è stato "lungo e approfondito" e ce lo racconta il regista spiegando come "si sia basato su due aree di ricerca: la prima sul lavoro di Moravia e l'evoluzione del romanzo e dei suoi personaggi, che rivivono anche in altre storie con sfaccettature diverse; la seconda analizzando in che modo i temi del romanzo risuonassero ancora oggi."
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Gli Indifferenti oggi
"Ci siamo chiesti" conclude infatti Leonardo Guerra Seràgnoli, "chi fossero gli Indifferenti oggi", mentre Alessandro Valenti ha approfondito il concetto: "la domanda che ci siamo posti è questa: come reagisce oggi un ceto sociale che non ha gli strumenti culturali per elaborare una crisi come quella che stiamo vivendo?" Uno spunto interessante su cui lavorare per provare a "ricostruire un immaginario della crisi" con molte similitudini tra il passato e il mondo di oggi: "Nel romanzo c'era l'attesa del fascismo, oggi siamo in attesa di qualcosa che non sappiamo ancora."
Una modernità che ha aiutato anche il lavoro degli interpreti, a cominciare da Beatrice Grannò che porta su schermo Carla: "Interpreto una streamer, una realtà poco conosciuta ma gigantesca per le ragazze", un ruolo per il quale si è messa in contatto con qualcuno che lo fa per mestiere e che "mi ha messo davanti alla telecamera per due o tre ore. Mi ha fatto capire cosa voglia dire parlare con un pubblico dall'altra parte dello schermo così a lungo." A lei il regista ha chiesto un lavoro in sottrazione, "come una sfinge". un suggerimento che l'ha aiutata a "contenere tutte le emozioni."
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Il mondo che cambia
Il passaggio alla modernità è stato più naturale per Valeria Bruni Tedeschi che dà vita a Mariagrazia: "cambia l'epoca, cambiano i vestiti, cambia il modo di porsi in società e io sono un'attrice di oggi con una modernità di oggi. Non ho cercato di renderla diversa da un secolo fa, mi sono detta che sarebbe stata naturalmente diversa. Ho lavorato sul suo mondo interiore e su come questo la facesse porre nei confronti della vita." Ma l'attrice è pessimista e pensa che indifferenti lo siamo un po' tutti, lei per prima: "dobbiamo prendere coscienza di questo egoismo che ci fa accelerare il passo e non guardare a quello che ci circonda. Se lo facessimo, saremmo naturalmente portati verso l'altro."
L'opera originale è stata un punto di riferimento anche per Vincenzo Crea nel tratteggiare Michele: "La cosa importante nell'avere tutte le informazioni che Moravia dà nel libro è che permettono di capire il personaggio. Michele prova delle emozioni, le mette da parte e mostra al pubblico tutt'altro. Il lavoro sul corpo è stato molto importante, ho lavorato come un leone ferito che si trascina sugli oggetti." Approccio diverso per Edoardo Pesce per il suo Leo: "un ruolo non facile per me, che mi dava la possibilità di tirar fuori qualcosa che non avevo mai potuto affrontare. Ho cercato di dare al personaggio una sfumatura da bambino non cresciuto, di qualcuno che cerca di prendere con la forza ciò che non gli viene dato."