La fortunata serie di Giovani e..., film documentari realizzati per Rai2 dal regista Alberto D'Onofrio, torna il 7 ottobre in prima serata con Giovani e droga. Dopo Giovani e ricchi, giovani e Londra, Giovani e influencer, Giovani e sport, il documentarista col polso sulle nuove generazioni ha deciso di affrontare uno dei temi caldi della nostra epoca, l'eccessiva facilità con cui i giovani si avvicinano al mondo della droga per poi diventarne dipendenti fino a perdere tutto ciò che hanno. A volte perfino la vita.
Col suo stile aperto, diretto e informale, in un film-inchiesta lungo oltre due ore Alberto D'Onofrio racconta nove storie di uomini e donne di diverse età, tutti finiti nel tunnel della droga dopo essersi accostati al consumo durante l'adolescenza. Dopo un lungo lavoro di ricerca, D'Onofrio ha identificato i protagonisti delle sue storie all'interno delle Comunità di San Patrignano e La Torre del gruppo Ceis di Modena. A dialogare col regista, raccontando la propria storia di fronte all'obiettivo della telecamera, sono gli stessi protagonisti, ma anche i loro familiari e gli educatori delle comunità, quasi tutti ex tossicodipendenti a loro volta. Ma come è nata l'esigenza di affrontare il tema della dipendenza giovanile in modo così diretto? "Mentre lavoravo all'ultima serie di Party People Italia a Riccione è morto un ragazzo di 15 anni che aveva assunto L'MD. Veniva da Perugia, era la prima volta che andava a ballare. Questa notizia mi ha gelato così ho deciso di dedicare tutta la prima puntata alla storia di questo ragazzo. Dopo il successo di Giovani e ricchi, che era molto provocatorio, ho proseguito la serie con l'intenzione di toccare anche temi drammatici, storie in cui mi ero imbattuto".
Testimonianze senza filtri
La difficoltà principale nel realizzare Giovani e droga è stata trovare persone disposte a mostrare il proprio volto, a raccontare la propria storia senza filtri. Come ammette Albero D'Onofrio, "nei primi due mesi pensavo che fosse impossibile realizzare il film. Per fortuna il sostegno del vicedirettore di Rai2 Fabio Di Iorio non mi è mai mancato. Ma le comunità avevano messo una serie di paletti, non volevano mostrare i ragazzi a volto scoperto né far parlare le famiglie. Per fortuna San Patrignano e La Torre conoscevano i miei documentari e hanno capito cosa volevo. Alla fine ho scelto di concentrarmi su nove ragazzi e sulle loro famiglie per capire quanto ci è voluto prima di ammettere la dipendenza".
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In queste storie drammatiche la famiglia ha un ruolo centrale ed è questo il motivo per cui D'Onofrio ha voluto fortemente il loro coinvolgimento: "Racconto la storia di un ragazzo di Campagnano che ha accettato di entrare in comunità costretto dal fratello, che lo aveva sorpreso mentre fumava il crack in bagno, nel caso di un altro ragazzo di Salsomaggiore la figura centrale è stata il padre, che ha deciso di denunciare il figlio ai Carabinieri prima di perderlo per sempre. Davanti alla mia telecamera, i genitori dei ragazzi spiegano quando si sono resi conto che c'era un problema, ammettono i propri limiti ed errori". Al di là dei comprensibili dubbi che hanno spinto molti dei possibili candidati a tirarsi indietro, D'Onofrio è fiducioso che la scelta di raccontare la propria storia per mettere in guardia gli altri premierà i suoi intervistati: "Sono certo che la partecipazione al film non li danneggerà. Se fossi un datore di lavoro io apprezzerei il coraggio e l'onestà dimostrati in questa occasione".
La droga è ovunque e a buon mercato
Le storie degli intervistati, almeno nelle prime fasi, sono molto simili. Un'insicurezza di fondo che li spinge a seguire amicizie sbagliate, la scoperta delle droghe leggere e il passaggio a quelle pesanti che talvolta sfocia in attività criminali per procurarsi i soldi necessari all'acquisto: "Tutte le storie che ho girato iniziano tra i 12 e 14 anni e i genitori spesso non lo sanno. Anche quando lo scoprono non si immaginano che i problemi vadano avanti da 6 - 7 anni. L'adolescenza è l'età della ribellione. O ti trasformi in un detective o perdi traccia di cosa fanno i figli. Solo un legame familiare molto stretto ti salva da questo tipo di pericoli". Giovani e droga denuncia, infatti, la facilità con cui è possibile reperire la droga: "Questo film lo dovrebbero vedere tutti i ragazzi, andrebbe mostrato nelle scuole perché ti fa capire cosa può succedere a drogarsi. La droga si trova dovunque, è una follia che sia così facile reperirla".
Il montaggio di Giovani e droga ha richiesto più di due mesi e mezzo ininterrotti, necessari per mettere ordine nella mole di materiale girato da Alberto D'Onofrio, che ha seguito i suoi intervistati riprendendoli nelle loro attività quotidiane in comunità e perfino nelle loro case. "Volevo che il film fosse fluido" spiega il regista. "Per quanto riguarda la struttura, ho separato San Patrignano da La Torre, due comunità con regole e metodi di lavoro diversi. San Patrignano è la comunità più grande d'Italia, perciò ho preferito concentrarmi solo sul reparto femminile per creare più empatia tra me e loro. Per quanto riguarda Modena, che accoglie solo 60 ospiti, ho seguito maschi e femmine. La scelta è dipesa da vari fattori, le comunità mi hanno indicato alcune persone, ma alla fine sono loro che hanno scelto me".
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Il contraddittorio alla base dello stile documentario
Alberto D'Onofrio ha deciso di fare il documentarista dopo aver visto Dillinger è morto di Marco Ferreri. "Ha impresso una svolta alla mia vita" spiega. "Prima volevo fare medicina, ma i suoi film mi sembravano così veri che mi hanno spinto ad avvicinarmi al documentario". Parlando del suo stile, il regista chiarisce: "Nei miei lavori non manca mai il contraddittorio, che è rappresentato dalla mia voce e rende il racconto più equilibrato. Non mi mostro in video, ma la mia voce è presente. Ho imparato a raccontare storie lavorando con Giovanni Minoli, ho vissuto nove anni in America, amavo molto i documentari narrativi di HBO. Mi piace il documentarista inglese Nick Broomfield, a cui mi accomunano spesso, mi piacciono i documentari più introspettivi, cinematografici. Invece non amo i documentari senza contraddittorio, i lavori a tesi alla Michael Moore. Io sono sempre pronto a cambiare strada se scopro qualcosa di nuovo".
Dopo anni di ricerca sulle nuove generazioni, l'ultima riflessione di Alberto D'Onofrio riguarda proprio i giovani d'oggi: "Sono la generazione dei cellulari e di internet, hanno moltissime informazioni, ma tendono a staccarsi dalla realtà e a perdere il senso pratico. L'abuso dei social è pericoloso, soprattutto per via dei modelli di riferimento che impongono. La famiglia e la scuola dovrebbero tornare a offrire modelli positivi nella cultura, nella musica e anche nelle professioni manuali".