In Ghiaccio, l'esordio alla regia di Fabrizio Moro, interpretano una giovane promessa della boxe (Giorgio) e il suo allenatore (Massimo), mettendo in scena un rapporto di complicità che li definisce sia dentro che fuori dal ring. Giacomo Ferrara e Vinicio Marchioni sono i protagonisti di una classica storia di riscatto che parte dalle strade della borgata romana del Quarticciolo; un film sulla boxe che fa proprie tutte le regole del genere e che i due attori raccontano così.
La video intervista a Vinicio Marchioni e Giacomo Ferrara
La preparazione fisica
Come avete costruito questo rapporto da padre-figlio?
Vinicio Marchioni: Abbiamo lavorato sulla sceneggiatura di Fabrizio e Alessio e poi nella palestra di Giovanni De Carolis, due volte campione del mondo, che ha seguito tutta la nostra preparazione fisica, atletica e le coreografie dei combattimenti; ha curato tutto quello che si vede della boxe nel film. È stato un viaggio accuratissimo e difficilissimo, perché per due attori di un film italiano è raro poter avere una preparazione di questo tipo. Ha fatto sì che, vivendo per due mesi e mezzo nella palestra di Giovanni, tra me e Giacomo si cementasse un rapporto incredibile: quando ci si allena insieme, fatichi insieme, sudi e stramazzi al suolo e poi sei costretto a rialzarti, per forza di cose si crea un'empatia e una confidenza che umanamente e professionalmente è rimasta anche dopo la fine set.
Giacomo Ferrara: Ed è stato poi semplice riportarla nel film. Con Giovanni ho avuto lo stesso rapporto che Giorgio ha con Massimo, perché quando si spende tanto e ci si mostra per la propria vulnerabilità c'è dall'altra parte un'altra persona, che ha vissuto quelle cose prima di te e che si apre totalmente da maestro, dicendoti: 'Anche io qui ho sbagliato' oppure, 'Questa cosa l'ho fatta giusta'.
Alessio e Fabrizio hanno descritto questo rapporto in maniera egregia e dopo averlo provato sulla mia pelle è stato facile portarlo in scena, non ho dovuto fare un grande lavoro.
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Giovanni De Carolis vi ha insegnato tutto quello che avete messo in scena. Oltre agli insegnamenti tecnici che cosa vi lascia questo mondo?
G.F.: Mi ha insegnato che i grandi campioni sono persone meravigliose con un cuore enorme. Sia lui che Mirko Valentino, il pugile che affronto nel combattimento finale, hanno dato tutta la propria vita e il proprio corpo ad una missione: il pugilato. E tutto questo puoi ritrovarlo anche nella vita: se vuoi raggiungere un obiettivo quella del sacrificio e del sudore è l'unica via vera e percorribile.
La boxe, metafora della vita e non solo...
Per Stanislavskij la boxe è un aspetto importante del lavoro dell'attore. Per voi?
V. M.: Esistono somiglianze a più livelli: dalla preparazione alla solitudine, al senso di sacrificio, al non riconoscimento, alla mancanza della vittoria, a quando vinci una volta e poi non vinci più, all'identità che questo mestiere ti dà, all'importanza della riconoscibilità e di quanto sia fondamentale continuare ad allenarsi e a stare dentro quel mestiere.
Nella vita c'è qualcosa per cui vale sempre la pena combattere, come si dice nel film?
G. F.: L'amore, senza non siamo niente. Giorgio all'inizio è un personaggio senza amore, vive una situazione particolare, è solo e non sa quale sia il suo posto nel mondo, lo trova solo grazie all'amore degli amici, della madre, di Massimo. V. M.: La vita stessa ti mette davanti le cose per cui vale la pena combattere. A seconda del momento possono essere i figli, il lavoro, una donna o un uomo, un sogno da realizzare, ma la cosa più importante è avere la capacità di riconoscere le cose per cui vale la pena combattere e quelle che invece bisogna mollare, perché molto spesso ci si confonde e questo crea degli errori.
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