Una storia che racconta la rabbia della periferia, l'amore nelle sue diverse declinazioni e la possibilità del riscatto. Per il suo esordio alla regia il cantautore Fabrizio Moro sceglie di puntare su cinema e boxe, così insieme all'amico e regista di alcuni dei videoclip delle sue canzoni, Alessio De Leonardis, scrive e dirige Ghiaccio, un racconto che arriva dritto dal suo passato. Non solo, compone anche uno dei brani della colonna sonora, Sei tu, Premio Sergio Bardotti per il Miglior Testo al 72° Festival di Sanremo appena concluso. Concepito durante il primo lockdown, il film arriva in sala il 7, l'8 e il 9 febbraio e a interpretare i due protagonisti Giorgio e Massimo, ci sono Giacomo Ferrara e Vinicio Marchioni.
La video intervista a Alessio De Leonardis e Fabrizio Moro
I riferimenti autobiografici
Il debutto al cinema è un passo importante. In questo caso avete deciso di farlo in due. Come è nato questo passo a due?
Alessio De Leonardis: Lo abbiamo scritto insieme e inizialmente pensavamo di affidarlo a un altro regista. Poi una sera ci siamo guardati in faccia e ci siamo detti: "Ma perché non lo facciamo noi?" In questo film c'è tanto di noi e della nostra storia, quindi chi meglio di noi poteva provare a raccontarla? Siamo usciti da quell'impasse in quindici secondi.
In quale personaggio avete messo più di voi stessi?
Fabrizio Moro: In entrambi i protagonisti, c'è tanto della nostra adolescenza. Non a caso il film è ambientato negli anni '90, nelle nostre strade, al Quarticciolo. Ci sono i nostri dubbi e le paure che in quel momento prendevano forma e a cui io non ho ancora dato una risposta. C'è la rabbia che se canalizzata nel modo giusto può diventare un'arma e non un impedimento, c'è quasi tutto quello che abbiamo metabolizzato o provato a metabolizzare durante il nostro percorso umano.
Dalla musica al cinema
Nelle scelte di regia avevate dei riferimenti cinematografici?
A. D. L.: Difficile non averne anche inconsciamente, soprattutto nel caso di un film come questo che parla di boxe, un argomento cinematograficamente affrontato dai più grandi registi nella storia. C'era anche un po' di paura per la facili associazioni che il pubblico può fare, dopo che hai rivisto per milioni di volte quei film se qualcuno ci vedrà delle associazioni probabilmente sono venute naturalmente e non volutamente. L'unica cosa su cui abbiamo ragionato a lungo è stata la credibilità dell'incontro finale, volevamo trovare un modo di raccontarlo come ancora non era stato raccontato nei film di boxe.
Avete scritto Ghiaccio durante il lockdown. Cosa ci è finito dentro di quel periodo?
F. M.: Se non ci fosse stato quel periodo non lo avremmo mai scritto. È una storia che ci promettevamo di portare a compimento da anni, ma non ci eravamo mai riusciti perché io ero sempre in tour e Alessio sul set. Se no ci fosse stata questa parentesi temporale, che purtroppo ci ha anche stravolto la vita, non ci sarebbe stato neanche il film.
Quali nuove possibilità o limiti ti ha mostrato il racconto per immagini rispetto a quello fatto di musica e parole a cui invece sei abituato?
F. B.: Difficoltà nessuna, perché già durante la stesura della sceneggiatura mi mettevo al pianoforte e quando immaginavo una scena scrivevo già le musiche del film. A volte portavo sul set le musiche registrate sul mio iPhone la sera prima e le facevo ascoltare ai protagonisti che venivano ispirati. Non ho trovato grandi differenze dal punto di vista dell'espressione pratica, come scrivere. Poi a volte quello che scrivo lo metto in musica, in altre lo lascio su carta e stavolta è addirittura diventato pellicola.