Un tributo a Jean-Marc Vallée, il cinema italiano che diventa internazionale, uno sguardo sul presente, e la sfida di "remare tutti verso la stessa direzione. In fondo, siamo a Venezia!". Alla sua quarta direzione artistica de le Giornate degli Autori, Gaia Furrer spiega quanto la rassegna, autonoma rispetto alla Mostra del Cinema di Venezia, sia un appuntamento fondamentale, che nasce nei mesi autunnali, dopo "un meritato bagno al mare alla fine del festival". Durante la nostra intervista, Gaia Furrer ha raccontato i tratti di questa edizione delle GdA (qui il programma completo), arrivata al ventesimo anno. Un'edizione, spiega, unita da un filo. "Inizialmente i film sono slegati, ma quando li vediamo insieme, troviamo un discorso, un discorso a posteriori. Ed è stupefacente rendersi conto di quanto il nostro sguardo inconsapevole vada verso una direzione unica. Nel 2020 il tema, per assurdo, era il viaggio. E mi sono interrogata: senza Covid avremmo scelto gli stessi film?".
E per il 2023? "Quest'anno ci sono diversi filoni: c'è l'Italia internazionale, con tre film italiani ma girati all'estero. Ci portano in un altrove geografico, anche produttivo. Poi, come tema c'è il racconto delle donne, che si costruiscono un'identità attraverso lo scambio. Attraverso solidarietà, condivisione. Le linee guida per affrontare questa epoca. Sono temi macroscopici. E poi c'è un attenzione verso la politica, verso i problemi sociali. Nel programma c'è un documentario sulla rivoluzione iraniana, sulla diaspora palestinese, sull'Ucraina. Fino al cambiamento climatico, toccato da Edoardo Morabito nel documentario L'avamposto, girato in Amazonia. Riceviamo tanti film, e abbiamo poco tempo per visionarli. In una manciata di mesi vediamo un migliaio di film. Il complicato è poi farli comunicare tra loro".
Giornate degli Autori 2023: l'Italia e la competizione
Tra i film in programma alle Giornate degli Autori 2023, andando in ordine sparso, troviamo l'apertura affidata a Tommaso Santambrogio, con Gli oceani sono i veri continenti (Los Océanos son los Verdaderos Continentes), girato interamente a Cuba, e poi ancora Sidonie au Japon di Élise Girard, e poi Vampire Humaniste Cherche Suicidaire Consentant della canadese Ariane Louise-Seize. Attenzione poi al documentario Photophobia, girato appunto in Ucraina e all'opera di Gianluca Matarrese, L'expérience Zola, e l'esordio alla regia di Alessandro Roja, La grazie di un Dio, inserito nella sezione Notti Veneziane. Un programma fitto, che prende corpo ben prima di agosto. "Nei mesi autunnali e invernali facciamo molta ricerca", spiega la Furrer. "Frequentiamo i workshop, incontriamo produttori e registi, che stanno producendo i loro film, e iniziamo a capire cosa c'è in giro. Poi arriva Berlino, un mercato importante. Lì incontriamo i distributori internazionali, capiamo quali film potrebbero esserci. E poi ecco Cannes, un altro step importante".
Ma quanto è agguerrita la competizione tra festival? "C'è grande competizione, ma è sana e costruttiva. Come se fosse un Campionato, ecco. Le Giornate sono un appuntamento importante, alcune volte ci innamoriamo degli stessi film, poi sono i registi a scegliere". Del resto, sia le Giornate degli Autori, così come la Mostra che la SIC, sono un evento accomunato dal lido: "Sì, sono contenta che ci sia una sola Venezia alla fine. Siamo tutti sfaccettature del Lido. Poi ogni insieme è frutto di uno sguardo personale, con le dovute differenze. L'obbiettivo è collaborare, essere dalla stessa parte".
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Lo stato dell'arte e la generosità di Céline Sciamma
Se ogni festival è la diretta conseguenza della visione dei propri curatori, lo stato dell'arte rispecchia un'industria italiana che deve sensibilmente essere migliorata, sia dal punto di vista della qualità, che dell'inclusione. "In Italia si produce molto, ma non sempre la grande quantità corrisponde ad un'altissima qualità", prosegue Gaia Furrer. "I festival sono la penultima catena di montaggio, dal punto di vista distributivo. Oggi c'è fermento, senza dubbio. E i giovani autori sono bravi. Abbiamo tre giovani registi, ed è un bel segno. Rappresentano un'intuizione positiva. Tante opere prime, e tanti esordi. Tuttavia, non c'è ancora una parità di genere. La metà dei film che abbiamo ricevuto sono di esordienti, ma la stessa proporzione non è relativa alle donne. Bisogna lavorare per raggiungere un'equità. Da parte nostra, ci siamo innamorati dei film femminili che sono stati presentati. Ci sono cinque film diretti da donne su dieci film in concorso. E non è una proporzione inseguita, perché il punto di partenza è sempre la qualità. Riassumendo: i festival sono un barometro, e non c'è ancora parità di genere".
Come da tradizione, le Giornate degli Autori si legano poi al progetto Miu Miu Women's Tales, nato nel 2012, creando una commistione di talento e creatività al femminile. Un appuntamento che, ogni anno, mette al centro due cortometraggi, e annessi dibatti e Q&A. Quest'anno c'è Lila Avilés con Eyes Two Times Mouth, e poi Antoneta Alamat Kusijanović con il corto Stane. La natura delle giornate è un ventaglio di cose e di momenti, e affrontiamo tanti argomenti". Se dovesse scegliere, su quale film punta Gaia Furrer? "Del concorso, dico di puntare sull'Italia. Il film di apertura, Gli oceani sono i veri continenti, è notevole. Girato in bianco a nero, a Cuba. Punto sulla nascita di un nuove autore italiano. Tommaso Santambrogio. Punto poi su Céline Sciamma, con il corto This is How a Child Becomes a Poet, e su 21 Days Until the End of the World di Teona Strugar Mitevska. Ci hanno portato e regalato due film incredibili: un cortometraggio e lungometraggio. Due opere autoprodotte, libere, e personali. Punto su di loro, anche per la fiducia".