Cinque uomini e un carro armato. In sintesi, questa è la trama di Fury, veicolo bellico per il cinquantenne Brad Pitt, sergente che si deve prendere cura dell'equipaggio del suo tank nelle ultime settimane della seconda guerra mondiale in Europa, quando l'esercito americano era già in terra teutonica. Diretto da David Ayer, mestierante con alle spalle un paio di titoli intereessanti come Harsh Times - I giorni dell'odio ed End of Watch - Tolleranza zero, Fury è una carrellata sulla diversa umanità di una famiglia disfunzionale creata dalla necessità di passare la vita chiusi in una bara d'acciaio semovente.
Un ritorno a un genere classico che Pitt, qui anche produttore esecutivo, aveva già conosciuto bene con Bastardi senza gloria, agli ordini di Quentin Tarantino, ma che qui affronta in maniera più tradizionale, ma anche con risvolti molto crudi e dal grande realismo. Al suo fianco Logan Lerman, Shia LaBeouf, Michael Peña e Jon Bernthal, tutti insieme appassionatamente anche al London Film Festival, dove Fury è stato presentato in anteprima mondiale.
Mr. Ayer, Fury non è un film di guerra come molti si aspettano.
David Ayer: No, infatti no, è uno spaccato di vita, uno studio antropologico sulla chimica e la fratellanza che si instaura tra questi ragazzi e l'affetto che nasce tra loro, tutto all'interno di uno spazio ristretto come l'abitacolo di un carro armato.
Anche le convenzioni classiche del genere sono ribaltate.
Infatti, gli alleati sono molto violenti e aggressivi, non ho voluto fare il solito film pulito e coreografato. Questo è un film unico, perché per chi ci sta dentro, per chi la guerra la vive è diverso. Il rapporto tra le truppe americane e i civili tedeschi è raccontato in maniera inedita. Ci tenevo in modo particolare. Noi non eravamo liberatori, ma occupanti, stavamo invadendo la loro terra. Non si trattava più solo di combattere contro i nazisti, ma anche di affrontare il popolo tedesco in un momento particolare della guerra, con le armate ormai armate esauste.
Eravamo quattro amici al Tank
Michael Peña, questa è la seconda volta che lavori con David Ayer.
Michael Peña: E non è facile, fare un film con David è come apprestarsi a subire una cura canalare a un dente: sai che farà male.
Mr. Pitt, ha fatto delle ricerche per entrare meglio nel suo personaggio?
Brad Pitt: Prima di tutto, David mi ha fornito un'eccellente backstory del personaggio, e poi ho parlato con dei veterani che mi hanno raccontato con dovizia di particolari la fatica, la pressione mentale, il freddo, la paura e soprattutto gli effetti devastanti che tutti questi elementi messi insieme quotidianamente hanno avuto su di loro. Ed una situazione che non cambia, a dispetto della parte in cui ti trovi. Oltre ciò, mi ha aiutato molto un magnifico libro di Dave Grossman dal titolo On Killing.
David Ayer: Tutti i personaggi hanno delle backstory, ma volevo che fossero solo per gli attori, non volevo raccontarle, ho preferito farle uscire tramite le loro interpretazioni.
Aveva già in mente il cast mentre scriveva la sceneggiatura?
David Ayer: No, non lo faccio mai, tranne con Michael, quando ho scritto il personaggio di El Gordo era logico che fosse lui. La cosa importante era trovare il cast giusto che desse il senso della famiglia.
Mr. Ayer, Fury è il film di chiusura del London Film Festival, un'ulteriore connessione con il Regno Unito.
David Ayer: Sì, sono molto orgoglioso di essere qui, esattamente un anno fa eravamo poco fuori Londra a girare le battaglie che oggi avete visto sullo schermo. È stato un privilegio essere accolto da questo paese.
Mr. Berthnal, non doveva essere facile dimenticare quello che si stava facendo sul set alla fine di ogni giornata di riprese.
Jon Berthnal: In effetti non è uno di quei per cui vai a prenderti una birra quando stacchi, o a passare una serata in città o a mangiare cinese. Quando fai in modo, per otto mesi consecutivi, che il tuo mondo sia il più cupo possibile, tornare a casa è davvero dura. Ho un rispetto enorme per quei ragazzi che hanno ancora nelle orecchie il frastuono delle vere battaglie. Ha fatto effetto a me, che sono solo una scimmia truccata.
Shia LaBeouf, anche lei ha avuto così tanto in cambio da Fury?
Shia LaBeouf: Assolutamente, questa è stata senza alcun dubbio la più incredibile e appagante esperienza della mia vita, sia professionale che umana. Davvero, è stato un momento magico per me.
Logan Lerman, il rapporto sul set tra lei e Brad Pitt ricordava quello che avete nel film?
Logan Lerman: Senz'altro c'è stata una sorta di emulazione inconscia, ma era anche abbastanza naturale. Abbiamo passato i tre mesi precedenti alle riprese a preparare il film, da soli ma molto più spesso insieme. Brad e io abbiamo molte scene insieme e c'è questo rapporto tra novellino ultimo arrivato e padre e comandante che in qualche modo è venuto da solo. Sul set spesso mantenevo una rispettosa distanza nei suoi confronti, lo osservavo molto. E ho imparato anche di più.
Regole d'ingaggio
Mr. Ayer, come mai ha deciso di girare il film in pellicola?
David Ayer: Per la differenza che c'è tra il girare un film e girare un video. Non ho niente contro il digitale, ma la pellicola ama la pelle degli attori, ama le sfumature e, mi dispiace, tutte queste cose le camere digitali non riescono a riprodurle. Amo la pellicola, penso sia ancora oggi un oggetto incredibile.
Brad Pitt: Sono d'accordo con David. Credo che le possibilità creative che offre la tecnologia digitale siano eccezionali, soprattutto per giovani cineasti che vogliono mostrare il loro talento a costi contenuti. Ma la pellicola è un'altra cosa.
Quanto difficile è stato per lei girare ricreando lo spazio angusto di un carro armato?
David Ayer: Abbastanza. Abbiamo ricostruito gli interni assolutamente identici allo Sherman originale. La possibilità di movimento è praticamente nulla e devo ringraziare davvero questi ragazzi eccezionali che hanno sostenuto una lavorazione davvero molto faticosa.
Brad Pitt: In effetti pensare a quel posto come una casa era una distorsione della realtà. Non c'era neanche un posto dove appoggiare il Nescafe, per entrare e uscire ti dovevi aggrappare con le dita, c'era solo lo spazio necessario per stare alla radio, guidare, caricare il cannone e sparare per gente che dormiva e faceva tutto là dentro. Alla fine sono diventato un po' possessivo nei confronti del "mio" carro armato.
Sono affari di famiglia
Mr. Pitt, c'è qualcosa di questo film che in qualche modo l'ha cambiata?
Brad Pitt: Il rapporto che si è instaurato con gli altri ragazzi è stato eccezionale, ci sono entrato dentro, mi sono preso cura di loro, ho cercato di capire sia i loro personaggi che gli attori stessi. Credo che questo film mi abbia insegnato a essere un padre migliore.
A proposito di famiglia, lei e sua moglie Angelina Jolie avete girato nello stesso periodo due film che raccontano, in maniera diversa la seconda guerra mondiale.
Brad Pitt: A dire il vero è stata una bella coincidenza. Di solito non lavoriamo mai tutti e due contemporaneamente, ma le nostre agende erano davvero intasate ed è andata a finire così. Ci siamo ritrovati a studiare insieme la seconda guerra mondiale, lei lo scenario del Pacifico, io il teatro europeo. È stato divertente, ma mentre il nostro film parla soprattutto dei danni psicologici provocati dal conflitto, il film di Angelina è il trionfo dello spirito umano contro l'orrore della guerra. Vi assicuro, Unbroken è un film bellissimo e sorprendente.
Mr. Pitt, ma lei come reagirebbe se uno dei suoi figli venisse precettato dall'esercito americano per andare a combattere?
Brad Pitt: Certamente non sarei felice, ma senz'altro gli farei sentire di essere fiero di lui e gli raccomanderei tutto il possibile per tornare a casa sano a salvo. Cercherei di passare con lui tutto il tempo che ho. E poi sicuramente piangerei.