Fremont, la recensione: un film bellissimo, dentro un biscotto della fortuna

La recensione di Fremont: la forma cinematografica di un bianco e nero che racconta una storia, tra la ricerca dell'amore e la riscoperta di se stessi; quello di Babak Jalali è un film che resta, aprendosi verso il concetto di libertà. Co-scritto da Carolina Cavalli, protagonista la rivelazione Anaita Wali Zada.

Fremont, la recensione: un film bellissimo, dentro un biscotto della fortuna

Sobrio e informale, eppure strutturato come se fosse parallelamente un percorso di umana profondità, pronta a riflettersi - esplodendo sommessamente - nell'esperienza cinematografica. A cominciare dal bianco e nero della fotografia di Laura Valladao. Quel bianco e nero che, da sempre, è sinonimo di cinema, e che l'irarian-british Babak Jalali, alla sua opera seconda, utilizza non come vezzo bensì come strumento di racconto, capace di enfatizzare le ombre e, per assurdo, i colori di una protagonista strettamente contemporanea. Lo abbiamo detto tante volte, e dopo aver visto Fremont lo ripetiamo ancora: il cinema indipendente americano sta attraversando una sorta di golden age, grazie ad una poetica lontana dall'assuefazione dei contenuti e, invece, più vicina alla sostanza e all'essenza, prestandosi ad una narrazione linguistica che mischia i sorrisi alle lacrime, restando addosso senza un apparente motivo.

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Anaita Wali Zada in Fremont

Perché, alla fine di Fremont (e che bello il finale), presentato prima al Sundance e poi al SXSW, e ancora alla Festa del Cinema di Roma 2023, arriva quella strana sensazione di leggerezza, come se per un istante fosse tutto più chiaro. La vita, il destino, l'amore. Addirittura, anche la fortuna si toglie la benda, potendone noi scrutarne gli occhi. Un attimo appena, la folgorazione, e il cinema che semplifica la vita. Gli stessi occhi, nerissimi, della protagonista su cui Jalali indugia, su cui si sofferma in 4:3, acchiappandone il potere cinematografico, nonché la dimensione sociale e, perché no, politica. Perché Fremont è anche un film politico, una politica sfumata di sociale, immortalando la dimensione - a volte sorprendente, a volte faticosa - di una generazione in continua lotta per non soccombere, costretta - nonostante tutto - ad andare "comunque avanti".

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Fremont, tra Jack London e l'Afghanistan

Se la fotografia in bianco e nero è una sorta di sottotesto meta-cinematografico, la struttura di Babak Jalali, che ha scritto il film insieme a Carolina Cavalli (e ci sono tante similitudini con Amanda, il suo film d'esordio che abbiamo particolarmente apprezzato), si sdoppia seguendo sia la placida geografia del film, sia la protagonista, Donya, interpretata dalla rivelazione Anaita Wali Zada. Donya, che non riesce a dormire, e passa le notti fissando il soffitto, è una rifugiata Afghana che vive appunto a Fremont, una delle città della East Bay californiana. Passa le giornate tra il suo premuroso terapista (Gregg Turkington), che legge Zanna Bianca (anch'esso un rifugiato) di Jack London, e la fabbrica di biscotti della fortuna dove lavora, nella Chinatown di San Francisco. È una rifugiata perché ha servito gli Stati Uniti durante la guerra in Afghanistan, e quindi (in)consciamente rifiuta di vivere normalmente, sentendosi in colpa per gli afghani che vivono (di nuovo) sotto il regime talebano.

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La regia di Babak Jalali in un fotogramma

C'è una routine prestabilita nella vita di Donya, che Jalali trascrive nei gesti, nei dettagli, nei dialoghi e nei silenzi, senza che vengano quasi mai "disturbati" dalla musica. Una routine, e una distanza che Donya tiene rispetto alle relazioni, aprendosi solo fugacemente, pronta a nascondere i sorrisi dietro il sarcasmo. Ma Donya ha vent'anni, e come ogni ventenne è alla ricerca di una connessione. Certo, vivere in una comunità afghana, con i drammatici ricordi che lambiscono le notti, non è facile, eppure oltre le giornate intorpidite deve esserci qualcosa di più. Come fare, quindi? Affidandosi al destino. O perché no, affidandosi proprio ad un biscotto della fortuna...

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La comparsata folgorante di Jeremy Allen White in Fremont

Parlavamo di geografia, tanto umana quanto locale: i riverberi tornano necessariamente all'Afghanistan, e all'imbarazzante fuga dell'Amministrazione Biden nel 2021, tuttavia Fremont si avvinghia alla politica con fare leggero, spostando l'attenzione verso i pensieri di Donya, resa intensa e naturale dall'interpretazione di Anaita Wali Zada, condividendo con il personaggio lo status di rifugiata. Poco a poco, Fremont si allunga verso il suo obbiettivo, senza però snaturare la sua indole asciutta, e restando coerente tanto a se stesso quanto alle influenze di un primordiale cinema indipendente, in cui le solitudini erano materia viva di confronto e di dibattito cinematografico. Anche noi, come qualcuno ha scritto, pensiamo a Jim Jarmusch mentre sale la colonna sonora jazz di Mahmood Schricker (sì, siamo andati in sollucheri), tuttavia Fremont, pur rifacendosi al passato, è soprattutto l'emblema di un cinema del futuro già tornato a raccontare la malinconia, l'inadeguatezza, l'essenza.

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Notti insonni...

Il futuro che racconta l'oggi, quindi, tra la carta stropicciata di un messaggio affidato al caso, o nelle smorfie di una ragazza che riempiono lo schermo di sentimento, dandoci quell'empatia necessaria affinché i nostri sentimenti siano gli stessi suoi. È questo lo scambio, ed è questa la dimensione cercata da Donya, presa per mano da Babak Jalali e accompagnata in un percorso lastricato di nuove consapevolezze, di scoperte, di rivelazioni. Almeno fino allo splendido riquadro finale, lasciando idealmente Donya alla sua vita. Ormai libera di esistere, di appartenere e, chissà, anche di (tornare ad) amare. Che meraviglia.

Conclusioni

La fotografia in bianco e nero come racconto, la colonna sonora jazz, sparuta ed essenziale, come aggancio narrativo che avvolge le immagini. La dimensione umana e la ricerca dell'amore nello sguardo di Babak Jalali, che in Fremont rivede i confini di una solitudine generazionale nonché sociale. Come scritto nella recensione, il film sottolinea lo stato attuale del cinema narrativo americano, che spinge sulle emozioni, sulla semplicità, sull'essenza.

Movieplayer.it
3.5/5
Voto medio
3.0/5

Perché ci piace

  • Anaita Wali Zada, bravissima
  • La colonna sonora.
  • La fotografia, che racconta una storia.
  • Jeremy Allen White...

Cosa non va

  • ... che avremmo voluto vedere un po' di più!