Aki Kaurismäki ha la fama di essere un uomo di poche parole, un tipo che si concede poco e che molto difficilmente si lascia andare ad esternazioni sopra le righe. Eppure, non c'è nulla di respingente in lui. Nulla di ombroso o di altezzoso e questo vale anche per i suoi film, minimalisti, essenziali, particolari eppure universali, dolci e aperti. Finlandese fino al midollo, ma anche pioniere di una corrente cinematografica che deve tanto a lui e al fratello, Mika, regista e produttore, soprattutto per quanto riguarda la sua affermazione sul piano internazionale.
Il ventesimo film del cineasta, Foglie al vento (qui la nostra recensione), ne è l'ennesima testimonianza: Premio della Giuria alla 76esima edizione del Festival del cinema di Cannes, campione di incassi in patria, applaudito dalla critica mondiale, da noi Film della Critica designato dal SNCCI e in short list (notizia recentissima dalle coordinate temporali dalle quali viene scritto questo articolo) nella categoria dei Premi Oscar per Miglior Film Straniero nel 2024. Un film che non doveva essere girato, come ha detto Kaurismäki più volte, dato che dopo la sua ultima fatica, L'altro volto della speranza, aveva deciso di fermarsi. A testimonianza che solo gli stupidi (o i cinici) non cambiano idea, il regista non solo è tornato con una nuova pellicola, ma ha realizzato un film che riprende in mano dei fili evidentemente secondo lui lasciati in sospeso.
Foglie al vento, distribuito nelle sale da Lucky Red, segna infatti una doppia prosecuzione. La prima, dichiarata, è relativa alla "trilogia del proletariato" composta da Ombre nel paradiso (1986), Ariel (1988) e La fiammiferaia (1990), mentre la seconda è relativa proprio al concetto di speranza. La bellezza della pellicola di Aki Kaurismäki sta infatti nel suo tentativo di farsi essa stessa portatrice di un piccolo scorcio di umanità in un momento storico in cui essa viene sempre più schiacciata, in linea con la poetica di un autore che, come accennato in apertura, è maestro nella sua capacità di essere universale e peculiare nello stesso momento.
Una realtà assediante
Per gran parte della sua filmografia, Kaurismäki si è occupato di raccontare gli ultimi (nell'ecosistema Capitalista), riuscendo a bilanciare la parte legata alla ricerca e all'analisi della realtà (non a caso lui nasce documentarista) con una tendenza a permeare tutto con una poesia figlia dell'arte. L'arte è ciò che lo appassiona di più, soprattutto il cinema (anche in Foglie al vento c'è più di una prova in questo senso), ma anche la pittura, la fotografia e la musica. Tutto ciò che riesce a dare voce all'umanità. Un aspetto delle persone divenuto ormai sinonimo di quell'empatia che viene spesso confusa con la fragilità e dunque demonizzata da un sistema che non ammette debolezza alcuna.
Tra l'altro, alcune pellicole firmate dal regista finlandese sono più nichiliste, disincantate e spigolose, ma andando avanti con l'età si è rivelata evidentemente in lui una voglia - oseremmo dire quasi viscerale - di mettere in scena storie in grado di regalare allo spettatore uno scorcio di luce alla fine di un tunnel spesso molto oscuro. E non c'è da sorprendersi, anche gli intellettuali più negativi con il tempo possono diventare ottimisti, per convinzione o necessità. Guardate Woody Allen e il suo Colpo di Fortuna, assolutamente ottimista, specie per una personalità come quella del regista di Brooklyn, che di pessimismo cosmico qualcosa ne sa.
In questo caso, anche riprendendo trovate già affrontate in altre pellicole, Kaurismäki dipinge nuovamente una Helsinki figlia della mentalità ultracapitalista, in cui regna lo sfruttamento, dove persone già fredde per natura non si parlano, spesso inseguiti da fantasmi che non hanno la minima voglia di abbandonare le vite di uomini e donne, dove l'apparenza diventa la moneta di scambio principale nei rapporti tra i sessi ("la tua amica ha giudicato male la mia età") ed è facile lasciarsi andare a vizi tossici come l'alcolismo. In questo ambiente l'esterno incombe, sotto forma della fredda cronaca della guerra in Ucraina che riempie le ore delle trasmissioni radiofoniche, alle quali i personaggi spesso soccombono. Specialmente quando non riescono a trovare riparo nel silenzio, nella musica o nello sguardo di un'altra persona.
Foglie al vento, recensione del film di Aki Kaurismäki: la poesia del quotidiano
La speranza esiste ancora
Foglie al vento è una citazione de Les feuilles mortes di Édith Piaf, cantata durante i titoli di coda della pellicola dal famoso cantante finlandese Olavi Virta (che nel film ci regala anche una sua versione di Mambo Italiano), un brano d'amore dal sapore malinconico, che ci parla di una coppia che si amava, ma che poi la vita ha diviso, e il cui sentimento vive ancora grazie all'evocazione suggerita dalle foglie autunnali che cadono.
Stretti in una morsa, i due protagonisti hanno l'opportunità di trovare l'amore della loro vita e divenendo così, metaforicamente, quelle foglie al vento, in modo da essere di ispirazione all'umanità tutta, ricordando ad essa come sia ancora possibile perdersi in una storia fatta di sentimenti, bellezza e poesia. Una descrizione che può essere adoperata anche in merito alla visione stessa dell'arte da Kaurismäki e, di conseguenza, del cinema. Il Ritz, non a caso, è il riparo che Holappa (Jussi Vatanen) e Ansa (Alma Pöysti), i due innamorati, trovano in mezzo alla tempesta che è composta non solo dalle avversità dettate dalla realtà storica e sociale, ma anche da tutti quegli ostacoli ed equivoci che da sempre contraddistinguono la commedia romantica e il melò. Ecco l'equilibrio nella commistione delle anime filmiche, essenziale per una pellicola che è anche un manifesto della poetica di Kaurismäki.
Foglie al vento è un film che parla della visione del cinema di un regista e al tempo stesso ne è espressione diretta. Un cinema ironico, dolce, universale e fuori dal tempo, che è fatto da silenzi interrogatori, spazi di coinvolgimento per lo spettatore, sequenze in grado di individuare criticità e indagini del reale e, infine, divenire palcoscenico della lotta dell'uomo per trovare la propria felicità. Traguardo che passa dalla forza di scacciare le amenità della vita e trovare qualcosa al di là di essa. Musica, cinema, arte, amore. E le foglie al vento. Dopotutto lo disse anche Bob Dylan ormai qualche anno fa: "The answer, my friend, is blowin' in the wind. The answer is blowin' in the wind".