Ci sono eventi in cui tutto si ferma e lo sguardo si veste di sport. Ci sono eventi, come le Olimpiadi, in cui le urla degli atleti si mescolano a quelle del pubblico a casa, mentre i nomi abbandonano l'anonimato per entrare tra le pagine di storia. La torcia olimpica brucia, mentre noi impariamo regole destinate a essere dimenticate, e la voglia di praticare attività sportive sconosciute ci rende ostaggi, per poi liberarci poche ore dopo la cerimonia di chiusura. Per una nazione come quella italiana, fondata sul gioco del calcio, lo schermo per due settimane si lascia conquistare da ginnaste, archi, giavellotti, canoe. Al cinema, però, lo sport ha sempre trovato un'isola felice. I pugni dei pugili, le suole delle scarpe che scivolano sul campo da basket, o il tocco della pallina da baseball contro la mazza che la colpisce, sono crismi di un sottogenere come quello sportivo che ti prende, ti affascina, ti conquista.
Eppure, quante volte ci siamo lasciati ammaliare dalle imprese di grandi atlete sul piccolo schermo (una su tutte Federica Pellegrini), mentre su quello cinematografico il mondo si faceva sempre più maschile, e poco femminile? Ciononostante, in un universo che rivendica la parità di genere, ecco che le atlete femminili tentano di fare capolino anche nello spazio di un raccordo di montaggio, raccontando la propria storia, reale o non. Lo fanno distruggendo la porta d'accesso, con storie di rivincita, fragilità interne, bruciante recriminazione. Con le Olimpiadi di Parigi 2024 alle porte, scopriamo dunque 5 film in cui lo sport si fa donna.
1. Tonya
Dai 4 ai 44 anni: è questo l'arco narrativo ricoperto da Craig Gillespie per narrare la sua Tonya Harding, un'atleta che ha lasciato il segno nell'immaginario collettivo sia per le sue imprese sportive (è stata la seconda pattinatrice a compiere un triplo Axel), che a livello mediatico dopo l'aggressione ai danni della storica rivale Nancy Kerrigan prima delle Olimpiadi del '94. Agli occhi del mondo non sarà certamente stata un simbolo di sportività, Tonya Harding, eppure il ritratto eseguito da Gillespie sul corpo di Margot Robbie vuole andare oltre i contorni di una silhouette in cui la donna è stata rinchiusa. Rifiutando la celebrazione tipica del canonico biopic, e giocando di ironia, Tonya non intende rendere la sua protagonista una vincente; eppure, è proprio nello spazio di una sconfitta che si ritrova la rappresentazione in ridotto di un'America che per primeggiare è disposta a tutto, anche a colpire e atterrire gli avversari. Un'America superficiale, affamata di eroi da celebrare e di omologazioni (soprattutto estetiche) da preferire. un'America in cui Tonya Harding non riesce a trovare un proprio posto, rimanendo ai margini, con i pattini sulla spalla e nel corpo tanta rabbia.
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2. La ragazza del mare
Era il 1926 quando la giovane Trudy Ederle riuscì là dove molti fallirono: superare il canale della Manica a nuoto. Celebrata, amata, e poi da molti dimenticata. Dopotutto, a quasi cent'anni di distanza, se sei donna e riesci a primeggiare là dove molti uomini si danno per sconfitti, non ti sentirai mai all'altezza dei tuoi avversari. È il prezzo da pagare per essere figlia di una società ancora lontana dalla parità di genere, soprattutto nel campo dello sport, un campo ancora oggi percepito come qualcosa adatto "ai soli uomini". Ecco perché La ragazza del mare (tratto dall'omonimo romanzo di Glenn Stout e disponibile su Disney+), con protagonista Daisy Ridley, dietro alla natura di biopic sportivo nasconde un'anima più profonda, pronta a colpire - bracciata dopo bracciata - un dominio patriarcale che ancora oggi esiste, predomina, soffocando il respiro di mille atlete.
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3. La battaglia dei sessi
La battaglia dei sessi è molto più di un semplice film sul tennis. La palla che rimbalza, le racchette che colpiscono al volo, le grida urlate a pieni polmoni, sono parti integranti di una sfida che va al dl là della natura sportiva, per farsi proiezione di lotte quotidiane per una parità di genere che si fa sempre più complessa, difficile, a volte ignorata. I registi Jonathan Dayton e Valerie Faris decidono pertanto di scrivere il proprio saggio di carattere socio-culturale sfruttando il tennis come semplice pretesto: la loro è una sfida che da sportiva si fa sguardo diretto su due modi distinti di affrontare la vita. E così, se Bobby Riggs (Steve Carell), non ha paura di dimostrare la superiorità del sesso maschile tanto dentro, quanto fuori, il campo da tennis, Billie Jean King (Emma Stone), decide di sfruttare il proprio status di campionessa per rivendicare un movimento femminista all'interno della sfera sportiva. A fare da contorno alla realizzazione di questa "battaglia dei sessi", sono le autentiche partite giocate nell'intimità personale e domestica, soprattutto da Billie Jean che, nonostante l'apparente appagamento per un matrimonio felice e tutto sommato solido, si innamora della bella parrucchiera Marylin (Andrea Riseborough). Un ulteriore tentativo di stravolgimento di un predominio maschilista in uno sport dove le tenniste non sono solo corpi da coprire con minigonne, ma universi pronti a colpire, distruggere i pregiudizi con la forza di un ace potente, vincente, impossibile da prevedere e fermare.
4. Million dollar baby
Credere in se stessi; crederci così tanto da permettere anche agli altri di credere in te. È un circolo virtuoso che solo il destino può frenare, per un colpo, o per una rovinosa caduta contro un maledetto sgabello. Eppure, in quella corazza inviolabile, in quella resistenza cucita da una determinazione invidiabile, lo sport si fa complice e avversario, aiutante e sfidante. Ti può far volare in alto, oppure sbatterti a terra. In Million Dollar Baby, Maggie Fitzgerald (Hilary Swank) irrompe nella vita dell'anziano manager di pugilato Frankie Dunn (Clint Eastwood), alla ricerca di un mentore. Uomo che vive ingoiando un rancore dietro l'altro, Frankie si lascerà contagiare da quella caparbietà giovanile di Maggie, stabilendo l'inizio di un sodalizio che continuerà un successo dopo l'altro, e che solo un incidente fatale potrà recidere. Maggie non è Alì, e non è il Jim Braddock di Cinderella man - Una ragione per lottare; non lotta per combattere i propri fantasmi, colpisce per dimostrare di avere ragione: è veramente lei la più forte, la più grande in circolazione, forse anche più grande dei propri colleghi maschi. Sostenuto dalla potenza di un carattere femminile come quello di Maggie, lo sport perde i propri connotati per vestirsi di altro; tra le mani di Eastwood il pugilato si fa espediente di un discorso intimo, profondo, dove un destro ben assestato si fa metafora di rimpianto, crudeltà esistenziale, emozioni rigenerate e una generosità d'animo nascosta dietro ombre annientanti la bellezza del mondo.
5. Veloce come il vento
Giulia ha solo 17 anni, ma sulle spalle porta il peso di troppe responsabilità. Ha un fratello minore da accudire, una casa da pagare, un'adolescenza da non perdere. Ispirandosi alla vita di Carlo Capone, campione di corsa negli anni '80 dalla storia personale tormentata, con Veloce come il vento Matteo Rovere affida all'olio del motore, e ai tubi di scarico di macchine roboanti, la decostruzione del pregiudizio sportivo, investendo di alloro e vittoria quella giovane adolescente con il ciuffo azzurro e la benzina che scorre nelle vene. Sfruttando la naturalezza interpretativa di Matilda De Angelis, Rovere va a toccare il mondo dell'automobilismo - sport solitamente associato al genere maschile - per denunciare come la velocità non sia più solo una questione da maschi, e quanto al giorno d'oggi un detto come "donna al volante, pericolo costante" non sia più accettabile. Se Giulia è un pericolo, lo è solo per i propri avversari, perché a ogni cambio di marcia si ritrova in lei quella disperazione disperatissima di rivalsa e rivincita: per sé, per la propria famiglia, per un mondo che la sottovaluta, ricoprendola di pregiudizi, accuse, ignorando che anche le donne sanno volare e andare veloce come il vento.